Rubrica per genitori
Come anticipato in occasione della pubblicazione dell’intervista alla dott.ssa Paola Caldironi (direttrice della Fondazione Robert Hollman), con il suo aiuto e quello della dott.ssa Elena Mercuriali (psicologa del Centro di Padova e referente per il percorso di attenzione precoce), proseguiamo la nostra conoscenza del Centro di Padova e, in particolare, di ciò che viene fatto per e con i genitori.
Per l’impostazione teorica adottata dalla Fondazione Robert Hollman, sia presso il Centro di Padova che presso il Centro di Cannero Riviera, gli aspetti riabilitativi si inseriscono all’interno di un pensiero-progetto che pone grande attenzione agli affetti.
– Il lavoro sugli aspetti affettivo-relazionali funge da sfondo a qualsiasi attività e proposta per il bambino e la sua famiglia. L’accogliere e l’utilizzare gli affetti, anche molto intensi e dolorosi, che accompagnano le famiglie che arrivano da noi, ci aiuta a comprendere il contesto relazionale che quel bambino e quella famiglia vivono ed è lo sfondo all’interno del quale viene dato significato a ciò che succede tra bambino-genitori, bambino-operatori, genitori-operatori.
– A questo si lega l’attenzione posta sullo sviluppo psicoaffettivo del bambino: sappiamo infatti che sui bambini che accedono in Fondazione grava lo spettro della chiusura psichica come risposta ad un mondo difficile da percepire, codificare e quindi da comprendere, ma anche come conseguenza di una relazione spesso difficile con i primi oggetti d’amore (i genitori).
Pur in una variabilità individuale, il nostro lavoro ci ha portato ad elaborare alcune riflessioni sulle dinamiche che spesso incontriamo nell’operare con le famiglie che giungono a noi. La diagnosi dell’avere un figlio con disabilità, infatti, mette in moto sul piano conscio e soprattutto inconscio dinamiche differenti di accettazione. I genitori vivono una ferita narcisistica accompagnata da un profondo senso di fallimento che comporta l’emergere di sensi di colpa, dovuti in parte all’aver generato quel bambino malato, e, in parte, all’ambivalenza dei sentimenti sperimentati verso di lui.
La malattia rende, inoltre, necessario un lungo percorso medico con interventi e ospedalizzazioni ed inevitabilmente scatta la necessità di delegare alle figure mediche prima, e riabilitative poi, la cura del proprio bambino, con un vissuto d’impotenza da parte dei genitori.
A tutto questo si aggiunge, soprattutto in caso di cecità, la difficoltà per i genitori di comprendere i flebili segnali del bambino, spesso amimico e poco espressivo, e di entrare in relazione empatica con lui, mancando il contatto oculare. Lo scambio degli sguardi rappresenta, infatti, nei primi mesi di vita, il principale canale di comunicazione affettiva tra mamma e bambino, nonché il mezzo fondamentale attraverso cui si attuano i processi di rispecchiamento e di sintonizzazione.
Il tempo, quindi, che intercorre tra la nascita e la comparsa del linguaggio, rischia di essere a volte un tempo vuoto di significato, in cui il bambino viene incontrato in modo intermittente e dove è intenso il dolore relativo alla mancanza dello scambio di sguardi attraverso cui trasmettere e cogliere le emozioni dell’altro.
Quindi, fattori aspecifici, legati al trauma della diagnosi, e specifici, legati alla grave ipovisione-cecità, travolgono e stravolgono la triade genitori-bambino, rubando a queste famiglie il tempo dell’incontro, del conoscersi e del riconoscersi, quel clima magico che si crea tra la mamma e il suo bambino appena nato. La sintonizzazione è compromessa, lasciando spazio al rischio che prevalga un’emergenza riparatoria per “aggiustare” il bambino “rotto” sia da parte degli operatori, che tendono a proporre fin da subito contesti riabilitativi a volte stressanti, sia da parte degli stessi genitori che rinunciano alla possibilità di scoprirsi, conoscersi e riconoscersi nel loro ruolo, proponendosi anch’essi con modalità “tecniche” (come riabilitatori, infermieri o quant’altro).
Questi traumi emotivi multipli spesso offuscano la mente dei genitori rendendoli vulnerabili e spaventati di fronte a sé e al loro bambino “rotto” e portandoli a focalizzare la loro attenzione sulla sua corporeità e fisicità piuttosto che sulle sue emozioni e stati d’animo. E’ quindi importante aiutarli a sentirsi competenti ed indispensabili per il proprio figlio, non solo in termini prettamente pratici (cure mediche, riabilitative, ecc.), ma soprattutto per la sua crescita psichica e relazionale, recuperando così il ruolo genitoriale.
Da qualche anno giungono in Fondazione bambini sempre più piccoli, grazie alla collaborazione con gli ospedali, per cui abbiamo la possibilità di osservare ed intervenire sulla relazione precoce madre-bambino, padre-madre-bambino, cercando di mettere a punto degli interventi che vadano a favorire l’incontro-contatto. A tal proposito è stato avviato presso la sede di Padova un progetto di intervento di attenzione precoce.
Il percorso di attenzione precoce offre ai bambini tra 0 e 24 mesi, con un importante deficit visivo, e ai loro genitori, un breve percorso di 5 incontri, ripetibili, con l’obiettivo di dare risposta ai loro bisogni specifici legati a questa fascia di età.
Il lavoro è condotto da una psicologa e da una terapista della riabilitazione.
La famiglia giunge al percorso attraverso l’equipe multidisciplinare del Centro che accoglie il bambino e i genitori in prima battuta per un inquadramento diagnostico funzionale globale e medico (oculistico e neuropsichiatrico).
– Il punto di partenza è l’osservazione degli aspetti sensoriali e neuro-psicomotori del bambino nella sua interazione sensoriale con il mondo esterno a sé. Si osservano così le sue competenze e preferenze sensoriali nella spontaneità, nel contesto strutturato e nel gioco guidato; si ricercano le situazioni posturali più idonee a favorire l’attenzione sensoriale e il tipo di ambiente e di materiali capaci di suscitare l’attivazione delle potenzialità visive e uditive. Si osserva quale può essere la dimensione plurisensoriale più idonea a far emergere l’iniziativa motoria del bambino, valutando le sue potenzialità e difficoltà nella tolleranza percettiva di cambiamenti posturali e nella tolleranza percettivo/emotiva nell’interazione con l’adulto.
– Parallelamente si cerca di sostenere l’avvio della relazione favorendo l’incontro-contatto mamma-bambino e papà-bambino e aiutando i genitori a prendere confidenza con i bisogni del loro piccolo promuovendo così un attaccamento “sufficientemente buono”.
I genitori non sono spettatori passivi all’interno di questo lavoro ma ne sono parte integrante. E’ importante, quindi, soprattutto nella fase iniziale, ricercare la sintonizzazione con loro per creare una buona alleanza di lavoro in cui siano chiari le finalità, le modalità e l’organizzazione della proposta, utilizzando linguaggi e materiali vicini alla loro quotidianità per consentire una facile comprensione e comunicazione, facendoli sentire a proprio agio e liberi di esprimersi.
Tutto ciò avviene in modo pratico, seduti insieme a pavimento, genitori, bambino, psicologo e terapista. Le parole possono così rafforzare il lavoro dell’operatore che guida con le proprie mani quelle della mamma nell’interazione col bambino, mostrando posture e stimoli che possono facilitare il suo benessere.
Tutto questo non sostituendosi ai genitori nella relazione con il bambino, ma cercando di restituire loro le proprie competenze genitoriali e aiutandoli ad utilizzare di nuovo la mente e a rimettere in moto le risorse.
Nel corso degli incontri ad esempio, ci si sofferma insieme a considerare e riflettere su come le ospedalizzazioni e gli interventi subiti dal bambino possano aver influenzato il processo fisiologico di attaccamento, come anche le competenze affettive dei genitori e del bambino stesso. Si osserva insieme come alcune esperienze possano più di altre far ritrovare una vicinanza e un contatto emotivo genitore-figlio, dal momento che quando il canale visivo è deficitario c’è comunque bisogno di attivare canali comunicativi vicarianti lo sguardo. Sempre insieme a loro si valutano tutte quelle situazioni che convogliano informazioni plurisensoriali di inequivocabile riconoscimento delle persone in “gioco” come l’odore, la vibrazione corporea all’emissione della voce, il contatto pelle a pelle, etc…
Si crea dunque uno spazio di ascolto e di sostegno per poterli aiutare a vedere il loro bambino, conoscerlo e riconoscerlo come proprio figlio, con i suoi limiti e le sue competenze, affrontando ciò che può ostacolare la sintonia con lui.
– Un altro aspetto importante, durante il percorso, è l’accompagnamento dei genitori nell’iter medico-diagnostico; ciò viene fatto sia concretamente entrando nelle visite mediche presso la Fondazione, sia fornendo uno spazio e un tempo per comprendere le informazioni diagnostiche formulate da medici esterni alla Fondazione stessa. Sappiamo infatti che può essere breve e definito il tempo della formulazione e della comunicazione della diagnosi, ma è invece molto lungo e variabile il tempo necessario ad elaborarla.
Nell’ultimo incontro viene restituita una sintesi del percorso fatto insieme: il livello di sviluppo del bambino e le sue modalità di funzionamento, i suoi punti di forza e le sue difficoltà, i suoi bisogni attuali. E’ un momento di sintesi e di riflessione, se possibile, senza il bambino, dove spesso emergono intense le emozioni e le preoccupazioni per il futuro.
In questa sede viene proposto ai genitori di proseguire il percorso nella modalità del piccolo gruppo con il Baby Massage e, successivamente, con il Germoglio dei Sensi (che si basa sulla ricerca delle situazioni plurisensoriali preferite dal bambino), ciascuno strutturato in 5 incontri. L’obiettivo è ancora, innanzitutto, il sostegno alla relazione, ma in una dimensione gruppale, con le sue particolari specificità. Il gruppo crea, infatti, la possibilità per le mamme e i papà di non sentirsi soli, di vedere che ci sono altri bambini nati con disabilità e di sentirsi compresi nella particolarità dei loro vissuti. Lo spazio del gruppo diventa quindi spesso momento di racconto reciproco, di espressione di emozioni positive e negative, e di costruzione di una rete. Infatti, a fine percorso, alcune famiglie si scambiano i loro recapiti e si incontrano al di là della frequenza in Fondazione.
Si tratta, quindi, di proposte finalizzate a creare un contesto non strettamente riabilitativo, dove il genitore possa trovare un suo modo di incontrare il bambino, vicariando l’assenza della vista. Lo si aiuta così a percepire i segnali del figlio sul piano senso motorio e ad attribuirvi un significato comunicativo, emotivo, relazionale, favorendo una possibilità di rispecchiamento.
Non è sempre facile proporre questo tipo di lavoro anche perché spesso le famiglie arrivano da noi con una pressante richiesta riabilitativa finalizzata a “riaggiustare” ciò che non va nel bambino; a volte, inoltre, sono poco disponibili e spaventati nel dover “mostrare” le loro difficoltà relazionali. E’ quindi un percorso che si costruisce gradualmente insieme, nel rispetto delle fragilità e delle risorse di ogni coppia genitoriale.
All’interno di questa attenzione all’ambiente affettivo-relazionale, laddove è necessario, devono poi collocarsi gli interventi tecnici-riabilitativi.
L’intervento infatti può sfociare in diverse soluzioni quali la trasformazione dell’intervento breve in una vera e propria presa in carico in Fondazione o la programmazione di incontri di monitoraggio periodici sull’aspetto visivo funzionale/oculistico e sugli aspetti dello sviluppo globale del bambino.
In conclusione, il nostro obiettivo è aiutare i genitori a scoprire che il loro bambino con problemi di vista è prima di tutto un bambino. Il genitore ha bisogno di essere aiutato a comprendere i messaggi del suo piccolo anche se flebili e insicuri, per poterne riconoscere le competenze. Questo lo rassicurerà e lo renderà più fiducioso nelle potenzialità evolutive del suo piccolo che, contemporaneamente, potrà rispecchiarsi in quell’immagine fiduciosa divenendo sempre più desideroso di esplorare, provare, capire.
Dott.ssa Elena Mercuriali
Psicologa della Fondazione Robert Hollman di Padova e referente per il percorso di attenzione precoce.
Dott.ssa Paola Caldironi
Direttrice Fondazione Robert Hollman
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