Un po’ per gioco e molto per davvero, di Tommaso Daniele

Autore: Tommaso Daniele

Carissimi,

 è appena calato il sipario sulla manifestazione di mercoledì 31 ottobre, organizzata dalla rete di associazioni "Cresce il welfare, cresce l'Italia", un importante evento da archiviare senz'altro con il segno più.
È stato bello, infatti, sfidare la pioggia e trovarsi lì tutti insieme: le associazioni che si riconoscono nella Fand e nella Fish e le numerose sigle sindacali che hanno a cuore le sorti dello stato sociale, sempre meno sociale e sempre più forte con i deboli e debole con i forti, come testimonia l'azzeramento quasi totale dei fondi relativi al sociale, alla non autosufficienza, all'occupazione dei disabili, al servizio civile volontario ed il carattere punitivo delle nuove tabelle di valutazione della disabilità, in particolare nei confronti degli invalidi civili.
È stato bello essere lì e gridare tutti insieme: "Basta con le prepotenze, basta con le ingiustizie, basta con l'affondare sempre più il coltello nelle ferite di chi deve combattere ogni giorno per evitare l'esclusione sociale!".
È stato bello perché, finalmente, sta passando il messaggio che uniti si vice, divisi si perde.
È triste usare i verbi "vincere" e "perdere" nei confronti del Governo e del Parlamento, istituiti per provvedere al benessere dei cittadini e, in particolare, per garantire le pari opportunità ai più deboli, come si deduce da una lettura, anche distratta, degli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione del nostro Paese. E ancora triste è stato aver dovuto constatare che la maggior parte del peso della manovra economica, prevista dalla Legge di Stabilità 2013, verteva particolarmente su una spesa sociale già ridotta all'osso, come dimostrano i dati relativi alla spesa sociale in Europa forniti dall'ISTAT, secondo i quali l'Italia è all'ultimo posto.
Dunque, ancora una volta la fonte a cui attingere a piene mani, l'acqua salvifica necessaria per risanare i conti del nostro Paese, era il mondo della disabilità, con l'assoggettamento all'IRPEF delle pensioni e delle indennità degli invalidi civili, di guerra e per servizio; con una forte diminuzione delle detrazioni e delle deduzioni e con un altrettanto forte aumento dell'IVA al 10% per quei prodotti e quei servizi per i quali veniva applicato il 4%.
Questa volta i Partiti politici, di maggioranza e di minoranza, sono insorti ed hanno imposto o stanno per imporre nella Legge di Stabilità, che sta movendo i primi passi, sostanziali modifiche, che se portate avanti riducono, almeno in parte, i danni.
Dunque, questa volta i Partiti sono insorti, ma viene spontanea la domanda: lo hanno fatto per senso di responsabilità o perché il prossimo aprile si va a votare?
"Qualche volta a pensare male si indovina". Infatti i disabili e le loro famiglie costituiscono pur sempre un importante serbatoio di voti, che può far pendere la bilancia da una parte o dall'altra. Se dobbiamo dar credito all'aforisma andreottiano, siamo autorizzati a pensare che, passate le elezioni, il nuovo Governo, tecnico o politico che sia, ci imporrà la stessa ricetta che ora siamo riusciti a scongiurare proprio per l'imminenza delle elezioni.
È ormai opinione diffusa in Europa – e forse in tutto l'occidente – che una delle principali cause della crisi economica risieda nello stato sociale; un lusso che non ci possiamo più permettere.
Proprio in questi giorni il candidato repubblicano alla carica di Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che se mai vincesse Obama, l'America farebbe la fine dell'Italia, proprio perché Obama ha tentato di dar vita a qualcosa di sociale nel proprio Paese. L'attacco allo stato sociale, che in Italia ha avuto il suo momento clou nel periodo della lotta ai falsi invalidi, è destinato a durare; poco importa se il risultato di una tale politica sarà un'emarginazione, un'esclusione sociale dei più deboli.
Non possiamo starcene con le mani in mano sulla riva del fiume ad aspettare che un così perverso disegno giunga a compimento e si affermi una visione del mondo diversa dal solidarismo: il fiore all'occhiello della civiltà mediterranea.
Dobbiamo adottare delle contromisure, innalzare delle barriere a difesa della nostra dignità e dei diritti conquistati in tanti anni di dure lotte e di enormi sacrifici; dobbiamo farlo in nome delle garanzie presenti nella Costituzione del nostro Paese, nella legislazione europea, nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Occorre un diverso approccio strategico, dobbiamo condizionare la politica o fare politica noi stessi, dal momento che i Partiti non ci rappresentano e non tutelano i nostri interessi di parte. Abbiamo due straordinarie occasioni: l'elezioni del prossimo aprile in Italia e il rinnovo del Parlamento europeo nel 2014. Nella prospettiva di questo evento, la Commissione Europea ha dichiarato il 2013 anno della cittadinanza attiva europea per celebrare il XX anniversario dell'inserimento del concetto di cittadinanza attiva nel Trattato di Maastricht. Il concetto di cittadinanza attiva coincide con quello di democrazia e richiede la partecipazione attiva ai processi decisionali della comunità nella quale si vive in  materia di cultura, sviluppo compatibile, non discriminazione, inclusione delle minoranze etniche, disabilità, parità di genere; espressioni, queste, del complesso dei valori che caratterizza il nostro Continente.
Se vogliamo condizionare i Partiti in occasione delle elezioni in Italia e in Europa dobbiamo esercitare il nostro diritto-dovere di cittadini attivi e pretendere di dare il nostro contributo nello scrivere il progetto politico dei Partiti, chiedendo anche ampie garanzie sulle pari opportunità.
Partendo dal concetto che uniti si vince e divisi si perde, è necessario che tutte le Associazioni di disabili, facenti parte e non di Fand e Fish, elaborino una piattaforma rivendicativa comune e la presentino ai Partiti più importanti, sottoscrivendo accordi che contengono precise clausole di salvaguardia degli interessi decifrabili; chiedendo anche di inserire nelle loro liste candidati disabili, sempre che siano disponibili persone valide. Ove non fosse possibile coinvolgere tutti, si farà con chi ci sta. Nell'ipotesi estrema che non si realizzasse nessun tipo di aggregazione, l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti dovrà elaborare la propria piattaforma rivendicativa ed entrare in contatto con i candidati del proprio collegio chiedendo garanzie e promettendo sostegno.
Occorre entrare nell'ordine di idee che la vita è tutta una partita di dare e avere, che ci piaccia o no.
Negli ultimi anni ho registrato un'eccessiva distanza tra noi e la politica e questo ha fatto ricadere sulle spalle di pochi il peso delle rivendicazioni associative.
Prima di concludere queste mie riflessioni sui nostri rapporti con la politica, voglio rendervi partecipi di un'idea che da un po' di tempo mi frulla per la testa; ve ne parlo un po' per gioco e molto per davvero.
I Partiti tradizionali sono in grande affanno, il loro indice di gradimento è sceso ai minimi storici. Il movimento della protesta assorbe solo in parte il numero dei delusi e degli scontenti. Nell'ultima competizione elettorale in Sicilia gli astenuti hanno raggiunto  quasi il 50%, la tutela dei più deboli è all'anno zero; ho la sensazione che ci sia lo spazio per tentare qualcosa di nuovo; ad esempio una lista civica che metta insieme l'Italia della solidarietà, il mondo del volontariato, i disabili, i poveri, i disoccupati che, insieme alle loro famiglie, costituiscono un enorme bacino di potenziali elettori.
Sarebbe una bella avventura, una bella scommessa, chissà, forse un grande salto di qualità e di responsabilità; un atto di arroganza che ci avvicinerebbe sempre di più al traguardo delle pari opportunità.
Sarebbe bello smettere di porgere l'altra guancia, di andare con il cappello in mano a chiedere il rispetto dei nostri diritti.
Forse è un sogno, ma ho sempre saputo che un sogno rimane tale se a sognare è uno solo, ma se diventiamo tanti quel sogno diventa realtà. Forse è un'utopia, ma sappiamo anche che le strade della storia sono costellate di grandi utopie. Sgombriamo subito il terreno da possibili equivoci: non sono mosso da ambizioni personali. La mia età, il mio impegno di Presidente Nazionale dell'Unione, a cui non intendo rinunciare per i prossimi tre anni, non me lo consentirebbero. Tuttavia, qualora questa idea che ho esposto, un po' per gioco e molto per davvero, dovesse incontrare un minimo di consenso, ne sarei contento.
C'è un'altra cosa da chiarire: l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti è e rimane apartitica. Chiunque dovesse far parte dell'ipotetica lista civica, lo farebbe a titolo personale, come ogni altro cittadino italiano.
Non vi ho neppure accennato alla montagna di problemi e difficoltà che dovremmo superare qualora tentassimo di attuare una così pazza idea. Rinuncereste prima di cominciare, perdereste prima di combattere e a me non piace perdere senza combattere.
Dunque una pazza idea, che innegabilmente ha qualcosa di rivoluzionario e di logico insieme, proposta da me, che rivoluzionario non sono, fa certamente scandalo; ma si sa che assai spesso la rivoluzione è figlia dell'altrui prepotenza.
Io credo che la nostra classe politica, arroccata nella cittadella del potere, all'ombra del privilegio, voglia far pagare ai più deboli il prezzo della drammatica crisi economica che attraversa il nostro pianeta.
Di fronte ad una così eclatante manifestazione di egoismo e di arroganza, non si può che ripetere, come un ex Presidente della Repubblica: "No, io non ci sto!".

 

IL PRESIDENTE NAZIONALE
Prof. Tommaso Daniele