Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha accolto, in parte tre ricorsi presentati contro il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 159/13 e cioè il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) appena entrato in ore ( lo è dal 1 gennaio u.s.).
Le tre Sentenze (Sezione Prima del TAR del Lazio, n. 2454/15, 2458/15 e n. 2459/15) hanno di fatto modificato parzialmente l’impianto per il calcolo dell’Indicatore della Situazione Reddituale (ISR).
Il TAR, nello specifico, ha accolto soltanto il ricorso sull’illegittimità del regolamento dell’ISEE nella parte in cui considera come reddito disponibile anche i proventi legati alla disabilità (pensione e accompagnamento con la sentenza 2458). E nella sentenza 2459 ha ritenuto illegittima la franchigia prevista per i maggiorenni con disabilità e quella più alta per i minorenni con disabilità.
Riguardo al ricorso conclusosi con la sentenza 2458, la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Tar) ha accolto infatti solo il sesto dei nove motivi formulati dai ricorrenti.
Il Tar, richiamando i fondamentali principi della Costituzione enunciati negli artt. 3, 32 e 38, dichiara che la pensione di invalidità e le indennità di accompagnamento non devono essere inseriti tra i redditi disponibili. Il loro inserimento, costituirebbe infatti una penalizzazione nei confronti delle fasce sociali più deboli.
Per questo motivo, il nuovo Isee, adottato dopo interminabili lavori parlamentari ed entrato in vigore solo lo scorso 1° gennaio, è stato giudicato illegittimo dal Giudice Amministrativo nelle parti dove è previsto che nel reddito complessivo venga conteggiata anche la pensione e l’indennità ricevuta dal soggetto, accertato disabile.
Come già detto l’accoglimento del Tar è limitato solo una delle istanze presentate, nelle quali si lamentava la vaghezza e indeterminatezza dell’intero provvedimento, la sua approvazione fuori tempo massimo, la presenza di criteri “alternativi” su base regionale, il conteggio sull’intero nucleo familiare anche in caso di ricovero del disabile in strutture residenziali diurne o continuative, l’impossibilità di limitare al nucleo ai soli figli conviventi, l’utilizzo del valore catastale Imu per valutare il patrimonio immobiliare, la mancata previsione di una revisione e un aggiornamento delle franchigie e delle detrazioni.
Il giudice amministrativo ha decretato illegittimo invece solo in parte l’indicatore della situazione economica equivalente e limitatamente a ciò che concerne la valutazione delle condizioni di chi fa richiesta di servizi di pubblica utilità o di prestazioni agevolate.
Infatti, la richiesta è stata accolta nell’ottica di respingere l’errore di includere, come reddito disponibile, l’indennità e la pensione ricevuta dal soggetto che, tuttavia, si trova in una situazione di svantaggio, pure economico, che si allarga impropriamente anche alla sua famiglia.
Segue la motivazione con cui il Tar ha accolto il sesto motivo del ricorso integralmente stralciata dalla sentenza appena commentata.
“Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli. Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legato all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie. Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di “reddito disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina.
Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 d.p.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit. L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.”
I tre dispositivi del Tar Lazio vanno comunque letti in modo combinato per quel che concerne gli effetti di illegittimità che produrranno sull’ISEE.
Innanzitutto le sentenze determinano l’esclusione dal computo dell’Indicatore della Situazione Reddituale i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche» (articolo 4, comma 2 lettera f); ossia tutte le pensioni, assegni, indennità per minorazioni civili, assegni sociali, indennità per invalidità sul lavoro, assegni di cura, contributi vita indipendente ecc.;
e annullano il DPCM 159/13 nella parte in cui prevede un incremento delle franchigie per i soli minorenni (articolo 4, lettera d, nn. 1, 2, 3).
Riguardo il regime delle franchigie va ricordato che il DPCM 159/13 prevede una franchigia forfettaria così differenziata:
1. persone con disabilità media: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 4.000 euro, incrementati a 5.500 se minorenni;
2. persone con disabilità grave: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 5.500 euro, incrementati a 7.500 se minorenni;
3. persone non autosufficienti: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 7.000 euro, incrementati a 9.500 se minorenni.
Poiché il G.A. non è stato esplicito non si può ritenere che le stesse franchigie previste per i minori siano ora da applicare anche ai maggiorenni.
Inoltre nella sentenza 2459 poiché nelle motivazioni, ma non nel dispositivo, si censura la disposizione che prevede che l’opportunità di ricorrere all’ISEE ridotto (personale o proprio e del coniuge) sia riservata ai soli disabili maggiorenni e non invece anche ai minorenni, si crea una evidente disparità di trattamento che solo nuovi interventi potranno ovviare.
Si legge infatti «L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF».
Va inoltre evidenziato che nelle sentenze viene pure dichiarata la liceità di ricorrere al computo dei redditi dei familiari civilmente obbligati, nel caso di anziani ai fini del ricovero in RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), istituti, case di riposo.
Cosa accadrà ora? Difficile da dire, le possibilità sono sostanzialmente due.
Il Governo dovrà correggere la norma per adeguare il sistema a quanto stabilito dal TAR, a meno che l’Esecutivo non decida di presentare ricorso contro le decisioni. Ma comunque, anche in questo caso, l’esecutività delle sentenze non verrà meno e nella pratica le problematiche maggiori le dovranno affrontare i Comuni e le Regioni. Saranno loro a dover risolvere, concretamente, i problemi che derivati dal mutato scenario in quanto Enti erogatori delle prestazioni sociali agevolate.
In allegato testi integrali delle sentenze commentate.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
N. 02459/2015 REG.PROV.COLL.
N. 03683/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3683 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore -OMISSIS-, -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore della
minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella
qualità di tutore di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno
di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e
nella qualità di genitore e tutore di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di amministratore di sostegno del marito -OMISSIS-, in proprio e in qualità
di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e
nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di
genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in qualità di amministratore di sostegno del fratello
-OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di
genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, nonché, giusta procure speciali notarili, da -OMISSIS-, nella qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella
qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore
e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore
di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitori della figlia minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di
genitore e amministratore di sostegno del figlio -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e tutore di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno della figlia
-OMISSIS-, in qualità di presidente del consiglio direttivo e legale rappresentante dell’associazione
Strada Facendo Onlus, tutti rappresentati e difesi dall’avv. prof. Federico Sorrentino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere delle Navi, 30; contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12; per l’annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 5 dicembre 2013, recante il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 19 del 24 gennaio 2014, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in epigrafe, tutti disabili medi o gravi o non autosufficienti o loro familiari conviventi -oltre ad Associazione con scopo statutario di tutela dei diritti e interessi delle persone disabili -che percepiscono trattamenti assistenziali, indennitari o assistenziali, ovvero appartengono a nuclei familiari del quale fanno parte disabili che usufruiscono di dette provvidenze, lamentavano le nuove modalità di determinazione dell’ISEE di cui al d.p.c.m. in epigrafe, recante, appunto, il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione di tale “indicatore”, ai sensi dell’art. 5 d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011.
In particolare i ricorrenti lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“I. Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, con riferimento agli artt. 87 e 95 Cost.”.
Riproponendo il “nucleo” dell’art. 5 d.l. cit., i ricorrenti evidenziavano che il regolamento di attuazione ex art. 17, comma 1, l. n. 400/1988 in questione, se poteva derogare alle regole procedimentali di cui all’art. 17 cit., non poteva omettere la previsione della deliberazione del Consiglio dei Ministri né demandare l’emanazione del regolamento stesso ad altri che al Presidente della Repubblica, in quanto è l’art. 87 Cost. – e non l’art. 17 l. n. 400/1988 – ad attribuire solo a tale organo il potere di emanare i regolamenti, potere estraneo alle prerogative del Presidente del Consiglio ai sensi dell’art. 95 Cost.
Se pure si volesse ritenere il dpcm in questione alla stregua di un decreto ministeriale, esso era illegittimo perché non rientra nelle competenze amministrative del Presidente del Consiglio dei Ministri la materia dell’ISEE, propria del Ministro del Lavoro e del Ministro dell’Economia.
“II. Illegittimità dell’art. 4, comma 2, lettera f) del d.P.C.M. n. 159/2013. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. Eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta
ingiustizia. In via subordinata, illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214”
L’art. 5 d.l. cit., nel determinare che si sarebbe dovuta “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale”, doveva interpretarsi da parte dell’Autorità emanante nel senso di eliminare le lacune della precedente regolamentazione, ove era considerato privo di reddito chi, pur disponendo di cespiti anche cospicui, non era soggetto a relativa dichiarazione IRPEF (ad es: redditi tassati all’estero, pensioni estere non tassate in Italia, dipendenti stati esteri, quali Città del Vaticano, lavoratori frontalieri con franchigia IRPEF, coniugi divorziati percipienti assegno di mantenimento per i figli), come confermato dal contesto integrale dello stesso art. 5 che prevedeva una maggiore valorizzazione della componente patrimoniale ed il rafforzamento del sistema dei controlli, anche al fine principale del risparmio di spesa mediante sostanziale “emersione” di situazioni di “povertà fittizia”.
In concreto, però, il dpcm in esame era andato oltre le intenzioni del legislatore, includendo tra i redditi tutti i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari a qualunque titolo percepiti, anche in ragione proprio della accertata invalidità.
Quest’ultima costituisce in realtà una oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, e i trattamenti assistenziali previdenziali e indennitari sono tutti volti ad attenuare tale svantaggio, tendendo all’attuazione del principio di uguaglianza, senza alcun intento “speculativo” proprio delle fonti di reddito “ordinario”.
La stessa giurisprudenza consolidata ha evidenziato la natura indennitaria del grave disagio economico ed esistenziale delle indennità di accompagnamento – pure ricomprese ai sensi della richiamata lett. f) – cui possono assimilarsi in tal senso i contributi erogati a titolo di rimborso (sia pure parziale) delle spese per le necessità quotidiane del disabile e del suo nucleo familiare, le pensioni e gli assegni erogati dall’INPS ai disabili in stato di bisogno economico, gli indennizzi INAIL del danno biologico subito nello svolgimento di attività lavorativa (di carattere risarcitorio), gli assegni mensili per indennizzo dei danni da vaccino, emotrasfusioni e da emoderivati.
In via subordinata, quindi, i ricorrenti evidenziavano una questione di costituzionalità per violazione degli artt. 3, commi 1 e 2, e 38 Cost. qualora fosse ritenuta condivisibile l’interpretazione dell’art. 5 cit. sotto il profilo dedotto, non potendo rilevare l’eccezionalità della situazione economica statale contingente ai fini di deroga del principio di uguaglianza.
“III. Illegittimità dell’art. 4, comma 3, lettera c, e comma 4, lettere b), c) e d) del d.P.C.M. n. 159/2013. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, irragionevolezza e manifesta ingiustizia”.
Le detrazioni e le franchigie previste dalla norma in rubrica non erano comunque sufficienti a garantire uno standard di vita accettabile.
Il riferimento alla necessità di presenza di tali spese nella dichiarazione dei redditi IRPEF non considerava la possibilità di esenzione dalla dichiarazione in questione o di avvalimento di regimi fiscali agevolati che non consentono deduzioni o detrazioni di spese mediche e sanitarie.
Se è pure prevista la possibilità di presentare comunque tale dichiarazione, i ricorrenti evidenziavano che, per il primo anno di entrata in vigore del nuovo ISEE, era probabile la mancata conservazione della documentazione a comprova delle spese in tal senso sostenute e che, per gli anni successivi, si dava comunque luogo ad un adempimento fiscale vessatorio, cui il contribuente in linea generale non era tenuto.
Inoltre, il tetto massimo di euro 5.000,00 per le spese mediche e sanitarie era troppo basso in ipotesi di presenza di malattie gravi con necessità di terapie continue, spesso non rimborsate dal SSN, e/o di assistenza infermieristica a domicilio.
Irrazionale era poi la possibilità di sottrarre per i disabili gravi non autosufficienti le spese sostenute inclusive dei contributi INPS versati per collaboratori domestici e addetti all’assistenza personale solo fino all’ammontare dei trattamenti assistenziali, indennitari o previdenziali percepiti a qualsiasi titolo, al netto di una franchigia del 20% (max 1.000,00 euro), perché discriminatoria nei confronti dei disabili che ricevono minori sussidi pur avendo disabilità gravissime e che risiedono in regioni e comuni eroganti provvidenze minori rispetto ad alte realtà territoriali a parità di disabilità.
Analoga considerazione i ricorrenti proponevano per le franchigie introdotte, chiaramente insufficienti e non consideranti la realtà dei costi effettivi che i disabile e le loro famiglie devono sostenere.
Irrazionali erano infine, la differenziazione delle franchigie in esame, di cui alla lett. d), tra disabili minorenni e maggiorenni, come se al compimento della maggiore età si desse luogo ad una automatica diminuzione di spese connesse alla situazione di invalidità, nonché la mancata previsione di una indicizzazione delle spese e delle franchigie stesse.
“IV. Illegittimità dell’art. 6, comma 3, del d.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159”.
La normativa in questione presupponeva erroneamente l’esistenza di un obbligo generalizzato dei figli di integrare i redditi dei genitori versando loro una quota della loro ricchezza, obbligo che però non è previsto dall’ordinamento se non per i genitori in stato di bisogno e non in grado di provvedere al proprio mantenimento (obbligo alimentare) che espressamente lo richiedono.
Pure incoerente si palesava, infine, la previsione per la quale la norma ritiene che il figlio corrisponda al genitore non la somma ai sensi dell’art. 438 c.c. ma una quota del suo reddito determinata con le modalità previste dall’Allegato 2 al decreto, quota che può essere maggiore dello stesso assegno alimentare. Inoltre, mentre al reddito del disabile che intende usufruire delle prestazioni di cui all’art. 6 dpcm cit. viene aggiunta la quota qui contestata, relativa alla presenza di eventuali figli maggiorenni facenti parte di un diverso nucleo familiare, questi ultimi non possono giovarsi invece della corrispondente detrazione ai fini del calcolo del proprio ISEE.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, illustrando le proprie tesi, orientate alla reiezione del ricorso, in nota allegata. In successiva memoria per l’udienza pubblica le Amministrazioni costituite evidenziavano preliminarmente anche l’inammissibilità del ricorso per carenza di lesione effettiva, in assenza di atto applicativo delle norme regolamentari contestate, e per carenza di interesse al ricorso al momento della proposizione in quanto il nuovo ISEE sarebbe diventato operativo entro trenta giorni dall’approvazione del modello DSU, a sua volta da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore dell’impugnato dpcm avvenuta in data 8 febbraio 2014.
In prossimità della pubblica udienza anche i ricorrenti depositavano un’ulteriore memoria illustrativa delle proprie ragioni.
In data 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, non rileva l’inammissibilità del ricorso sotto i profili dedotti dall’Amministrazione resistente, in quanto il d.p.c.m. impugnato, pur quale atto generale, contiene determinazioni precettive direttamente applicabili ai fini del lamentato innalzamento dell’ISEE sotto i profili dedotti dai ricorrenti e anche ai fini delle conseguenze indirette subito percepibili in campo sociale.
Passando all’esame del ricorso, il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo.
Sul punto concorda, infatti, con le tesi delle Amministrazioni resistenti, evidenziando la natura regolamentare del d.p.c.m. impugnato, come riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 297/12 che ha esaminato proprio l’art. 5 d.l. n. 201/77, conv. in l. n. 214/11, sia pure sotto diverso profilo.
Inoltre, si richiama anche la pronuncia della Sezione Consultiva Atti Normativi del Consiglio di Stato (n. 5486/12) su tale decreto, ove è evidenziata come legittima la scelta di adottare un unico regolamento con la forma del d.p.c.m., in virtù della previsione anche del sistema di rafforzamento dei controlli di cui all’art. 5 d.l. cit. da demandare a separato d.m. rispetto alla riforma dell’indicatore e dei suoi campi di applicazione. Il d.p.c.m. e il d.m. costituiscono fonti di rango “pari ordinato” e il primo si distingue, inoltre, per le maggiori garanzie date dall’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri oltre ai Ministri proponenti e/o concertanti, nel caso di specie coincidenti, evitando anche vuoti normativi connessi all’effetto abrogativo di precedente disciplina a anche di rango primario.
Il secondo motivo di ricorso si palesa invece fondato.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba essere nel senso prospettato dai ricorrenti. La volontà del legislatore
coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
Correttamente i ricorrenti richiamano i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa – come osservato criticamente dall’Amministrazione resistente secondo l’osservazione dei ricorrenti – il Collegio ritiene che tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legata all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali, le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità” è stato adottato.
Né può convenirsi sul punto con le difese delle Amministrazioni costituite, secondo cui tale estensione della nozione di “reddito disponibile”, di cui non si nega l’esistenza nel d.p.c.m., sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che “in gran parte dei casi” ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina.
In primo luogo, il riferimento alla “gran parte dei casi”, attesta che ciò non avviene in tutti i casi e tale conclusione, per un atto normativo di carattere generale, non appare razionale.
In secondo luogo, manca completamente il richiamo e l’approfondimento sull’effettiva volontà del legislatore, tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche
detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 dp.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.
Per completezza espositiva e poiché gli ulteriori motivi riguardavano diverse determinazioni del d,p.c.m. in questione, il Collegio deve esaminare anche la restante parte del gravame.
Infondato solo in parte è il terzo motivo di ricorso.
il Collegio rileva che la disposizione di cui all’art. 4, comma 3, lett. c), d.p.c.m. cit. – sotto il primo profilo dedotto dai ricorrenti – non appare illegittima.
In primo luogo, l’affermazione per cui le detrazioni e le franchigie previste dalla norma in rubrica non sarebbero comunque sufficienti a garantire uno standard di vita accettabile appare generica e indimostrata per ciascuno dei ricorrenti.
Per quel che riguarda le detrazioni fiscali, il Collegio osserva che, come è noto, la dichiarazione dei redditi “forfetaria” non impedisce comunque la presentazione di una dichiarazione “integrale” e/o di allegare la documentazione di spesa sanitaria.
E’ una scelta del contribuente quella di provvedere alla prima forma, per cui ben può in futuro essere necessaria la dichiarazione nella seconda forma ai fini di ottenere le detrazioni previste.
Analogamente, la previsione di un tetto massimo di detrazione, se correlata alla rideterminazione del reddito secondo i parametri evidenziati nell’esaminare il secondo motivo di ricorso, non appare illogica o penalizzante nel senso prospettato dai ricorrenti, in quanto la stessa Amministrazione, nella nota allegata in atti, chiarisce che il limite massimo previsto va applicato a ciascuna persona del nucleo che detrae, quale sottrazione al suo reddito personale, mentre in precedenza nessuna detrazione di spesa per la “disabilità” era prevista, con la conseguenza che tale conformazione è coerente con la disposizione legislativa di cui all’art. 5 d.l. n. 201/11 cit., secondo cui con il d.p.c.m. sono individuate le agevolazioni fiscali che a partire dal 1 gennaio 2013 non possono più essere riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso.
Profili di fondatezza si rinvengono invece per la residua parte del motivo.
Non è dato comprendere, infatti, per quale ragione le detrazioni previste all’art. 4, comma 4, lett. d), nn. 1), 2) e 3), siano incrementate per i minorenni, non individuandosi una ragione per la quale
al compimento della maggiore età, una persona con disabilità, sostenga automaticamente minori spese ed essa correlate. Né è convincente sotto tale profilo la tesi della difesa erariale, secondo cui i minori con disabilità non possono costituire nucleo a sé, gravando l’obbligo del mantenimento in capo ai genitori, e per i maggiorenni è relativamente più facile ridurre sostanzialmente l’ISEE, se non azzerarlo, potendosi non considerare il reddito dei genitori.
Tale conclusione non appare sostenuta da elementi specifici, almeno statistici, che dimostrino il grado di incidenza sulla popolazione dei disabili dei maggiorenni costituenti “nucleo a sé” rispetto a quelli che non possono farlo mentre il decreto impugnato, per le sue caratteristiche di generalità e astrattezza, impone direttamente e indistintamente la detrazione considerata, senza legarla alla effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne.
Sotto tale profilo, quindi, le norme di cui ai richiamati nn. 1), 2) e 3) devono essere annullate per la parte in cui introducono una indistinta differenziazione tra disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest’ultimi, senza considerare l’effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare anche tale disposizione nel senso ora evidenziato.
Infondato è infine il quarto motivo di ricorso.
Il Collegio trova condivisibili le tesi dell’Amministrazione, secondo cui la previsione dell’art. 6, comma 3, d.p.c.m. cit. tutela la necessità di differenziare la condizione economica del beneficiario che ha figli in grado di aiutarlo, se tenuti alla corresponsione di alimenti e secondo i propri carichi familiari diretti, rispetto a quella di coloro che non hanno alcun sostegno al fine delle spese di ricovero. Il limite alle sole prestazioni residenziali è poi coerente con i principi propri della giurisprudenza più recente (C. Cost. n. 296/12 e Cons. Stato, 14.1.14, n. 99), secondo cui in sostanza, la normativa di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti”.
C’è da osservare, infine, che anche nel precedente regime non vi era una considerazione del reddito del solo “assistito” per tutte le spese ma solo per quelle per prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi integrati di natura sociosanitaria e che la definizione di “prestazioni agevolate di natura sociosanitaria” di cui all’art. 1, comma 1, lett. f), d.p.c.m. cit. può includere anche prestazioni strumentali e accessorie oltre che interventi economici.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), e comma 4, lett. d), n. 1), 2) e 3) -nella parte in cui prevedono indistintamente un incremento delle franchigie per i soli minorenni -del d.p.c.m. n. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti ricorrenti e dei soggetti di cui si dichiarano genitori, tutori o amministratori di sostegno o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
02454/2015 REG.PROV.COLL.
N. 05119/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5119 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, in proprio e in qualità di presidente dell’Associazione Coordinamento Sociosanitario
per le Persone con Disabilità, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, quale amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, quale tutore di -OMISSIS-e in qualità di presidente di Arpa Associazione
Italiana Ricerca Psicosi e Autismo, -OMISSIS-, in qualità di tutore di -OMISSIS-, in qualità di
genitore del minore -OMISSIS-in qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-e di
presidente dell’Associazione “Il Vento Sulla Vela Onlus”, -OMISSIS-, in qualità di amministratore
di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di presidente dell’Associazione Co.Fa.As. Clelia,
-OMISSIS-, nella qualità di genitore di -OMISSIS-, nella qualità di madre di -OMISSIS-, nella
qualità di padre -OMISSIS-, nella qualità di madre di -OMISSIS-, nella qualità di amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di
madre di -OMISSIS-, nella qualità di padre di -OMISSIS-, nella qualità di tutore di -OMISSISnonché
di presidente dell’Ente Morale Istituto -OMISSIS-, nella qualità di zio di -OMISSIS-, nella
qualità di madre di -OMISSIS-, nella qualità di padre di di -OMISSIS-, nella qualità di padre di
-OMISSIS-in qualità di presidente di ODV La Lampada dei Desideri, -OMISSIS-, nella qualità di
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di presidente di ODV -OMISSIS-, nella
qualità di tutore di -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Liliana -OMISSIS-, con
domicilio eletto presso i medesimi in Roma, Piazzale delle Belle Arti, 1;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero
dell’Economia e Finanze, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato,
presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del d.p.c.m. 05/12/2013 n. 159 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 19 del
24.01.2014 avente ad oggetto: “Regolamento concernente la revisione delle modalità di
determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente
(ISEE)” con particolare riferimento all’art. 4, comma 2, lett. f), all’art. 4, comma 3, lett. c); all’art.
5, comma 2; all’art. 6; all’art. 2, comma 1, all’art. 2, comma 2, all’art. 3 nonché di qualsiasi atro atto
presupposto connesso o comunque consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell’Economia, con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in epigrafe – tutti
associazioni specificamente costituite e operanti per il riconoscimento e la tutela dei diritti dei
disabili nonchè persone fisiche con disabilità ovvero genitori o tutori o amministratori di persone
con disabilità ovvero ancora genitori conviventi di persone maggiorenni con disabilità evidenziavano
che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 5 d.l. n. 201/2011 (recante “Introduzione
dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei
relativi risparmi a favore delle famiglie), era emanato il d.p.c.m. n. 159/2013 che dava luogo ad una
nuova regolamentazione complessiva del c.d. “ISEE” (Indicatore della situazione economica
equivalente.
Soffermandosi sull’art. 4, comma 2, lett. f), e comma 3, lett. c), nonché sugli artt. 5, comma 2, 6, 2,
comma 1 e comma 2, e 3 del d.p.c.m. cit., i soggetti in epigrafe lamentavano che le nuove modalità
di calcolo dell’ISEE si traducevano in un ingiusto svantaggio ai danni dei disabili e delle famiglie in
cui era presente una persona con disabilità e quindi, in sintesi, deducevano quanto segue.
“I. Illegittimità dell’art. 4 comma 2 lett. f) (che include nel reddito disponibile le provvidenze
pubbliche per i disabili) per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 2 della legge
214/2012 nonchè dei principi costituzionali degli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost. e della Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13.12.2006 ratificata con la legge 18/2009.
Eccesso di potere per illogicità manifesta, disparità di trattamento, manifesta ingiustizia”.
Il d.p.c.m. in questione, nella disposizione in rubrica, prevedeva che dovevano essere considerate
componenti del reddito disponibile anche i “trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari,
incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non
siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lett. a) (reddito complessivo ai fini IRPEF).
Risultavano considerati a tali fini, quindi, anche tutte le provvidenze economiche per prestazioni
sociali e sociosanitarie agevolate concesse ai disabili al mero fine di recuperare lo svantaggio in cui
si trovano e per assicurare la realizzazione di diritti costituzionalmente riconosciuti. Ciò creava un
evidente ulteriore svantaggio per le famiglie già gravate dalla presenza di persone con disabilità e si
poneva in contraddizione con la natura di tali provvidenze, svolgenti funzione non di incremento
del reddito ma di contrappeso allo stato di bisogno e allo svantaggio sociale, senza tradursi in un
arricchimento del nucleo familiare ma avendo destinazione di ausilio e compensazione al fine di
ottenere prestazioni sociali o agevolazioni fiscali collegate.
Per i disabili e le loro famiglie, quindi, veder dipendere il proprio diritto all’accesso alle prestazioni
sociali o il livello di compartecipazione al costo delle indennità già concesse per la disabilità stessa
equivaleva a dare ingresso nell’ordinamento ad un ingiusto limite a tale accesso, con violazione dei
principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost.
Tale conclusione contrastava con la stessa legge n. 214/2012, che stabiliva di tenere conto dei
disabili a carico delle famiglie ma con l’intento di agevolarle e non di svantaggiarle, e con l’art. 4
della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
“II. Illegittimità dell’art. 4 comma 3 lett. c) del dpcm 159/2009 (che fissa un limite massimo di
detrazione delle spese sanitarie documentate per i disabili) per i medesimi vizi dedotti sub I”
La disposizione in esame era illegittima perché consentiva la detrazione dall’ammontare del reddito
utile ai fini ISEE delle specifiche spese indicate solo se evidenziate nella dichiarazione dei redditi,
senza considerare però che nelle dichiarazioni “forfetarie”non è prevista la specifica indicazione
delle spese detraibili.
In secondo luogo, essa era anche illegittima laddove fissava un tetto massimo (euro 5.000,00) per
tale tipologia di detrazione, non considerando che la quota ulteriore andava ad incrementare il
reddito pur se fondata su spese necessarie per assicurare i diritti fondamentali e incomprimibili a
tutela della disabilità.
“III. Illegittimità dell’art. 5 comma 2 del dpcm 159/2009 (che conteggia nel patrimonio
immobiliare anche la prima casa in base alla rendita catastale) per i medesimi profili dedotti sub I”
La norma in questione, richiamando il valore dei fabbricati definiti ai fini IMU, non teneva conto
della disomogeneità sul territorio nazionale, con conseguente incisione sull’accesso alle prestazioni
sociali e sul livello di contribuzione.
“IV, Illegittimità dell’art. 6 del dpcm 159/2009 (che ai fini delle prestazioni socio-assistenziali
considera solo il maggiorenne disabile non coniugato come nucleo familiare a se stante) per i
medesimi profili dedotti sub I”
Definendo il “nucleo familiare” come quello corrispondente alla famiglia anagrafica alla data di
presentazione della DSU, la norma in rubrica estendeva illogicamente la nozione a tutti coloro che
coabitano in quanto parenti, affini ovvero legati da vincoli di mutua assistenza, comprendendo
anche i coniugi non conviventi (salvo separazione giudiziale, esclusione di potestà sui figli,
domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio) ed i figli maggiorenni non conviventi ma
a carico dei genitori a fini IRPEF e sottraendo solo i disabili maggiorenni per le sole prestazioni
sociali agevolate di natura socio sanitaria.
Si creava così un indubbio svantaggio per il disabile coniugato con figli rispetto al disabile
maggiorenne convivente con i genitori e che non abbia famiglia propria.
Risultava così scoraggiato il diritto a formare una famiglia, tutelato dall’art. 23 della Convenzione
ONU, e si creava anche disparità tra soggetti con la medesima disabilità maggiorenni o minorenni
in quanto questi ultimi vedevano conteggiato ai fini ISEE anche il reddito dei genitori pur non
conviventi, rischiando di non accedere alle prestazioni di cui necessitano.
Sotto altro profilo, emergeva l’illegittimità dell’art. 6 cit. laddove sottraeva dal “nucleo familiare
allargato” i disabili maggiorenni esclusivamente per le prestazioni socio sanitarie agevolate e non
anche per le altre prestazioni sociali, laddove la precedente legislazione considerava il reddito del
solo assistito e non dell’intero nucleo familiare e tutelava il peso che gravava su quest’ultimo per
tutte le attività di assistenza alla disabilità.
La diversa valutazione di cui al d.p.c.m. impugnato, quindi, introducendo il principio per cui il
calcolo dell’ISEE si applica non più al reddito del solo beneficiario ma a quello dell’intero nucleo
familiare si pone in violazione degli artt. 2, 3 e 38 Cost.
“V. Illegittimità dell’art. 2 comma 1 del dpcm 159/2009 (che attribuisce agli enti erogatori la
facoltà di introdurre ulteriori criteri di concessione delle prestazioni sociali) per i medesimi profili
dedotti sub I”
La norma in rubrica era illegittima laddove prevedeva la possibilità per gli enti erogatori di
prevedere, accanto all’ISEE, ulteriori criteri di selezione volti ad identificare specifiche platee di
beneficiari, con potenziale rischio di disparità tra vari Comuni nonchè violazione della l. n. 214/11,
che prevede il solo ISEE come strumento di misurazione dell’accesso alle prestazioni sociali, e
dell’art. 117 Cost.
“VI. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 214/2011 di conversione del
decreto-legge 201/2011”.
I ricorrenti evidenziavano che la norma in rubrica aveva mancato di tenere nella dovuta
considerazione il diritto delle persone con disabilità non autosufficienti ad avere servizi
sociosanitari adeguati ad assicurare loro pari opportunità di vita, come sancito dagli artt. 2, 3, 32 e
38 Cost., violando anche gli obblighi assunti dall’Italia con l’adesione alla Convenzione ONU
ratificata con la l. n. 18/2009, con conseguente violazione anche dell’art. 10, comma 1, Cost. in
relazione alla mancata individuazione di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati, dato
che i diritti dei disabili sono ora considerati non più indipendentemente dal nucleo familiare di
appartenenza.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, illustrando le proprie tesi, orientate alla
reiezione del ricorso, in nota allegata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in cui era
evidenziata preliminarmente anche l’inammissibilità del ricorso per carenza di lesione effettiva, in
assenza di atto applicativo delle norme regolamentari contestate, e per carenza di interesse al ricorso
al momento della proposizione, in quanto il nuovo ISEE sarebbe diventato operativo entro trenta
giorni dall’approvazione del modello DSU, a sua volta da adottare entro novanta giorni dall’entrata
in vigore dell’impugnato dpcm avvenuta in data 8 febbraio 2014.
In prossimità della pubblica udienza i ricorrenti depositavano memoria illustrativa delle proprie
ragioni.
In data 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, non rileva l’inammissibilità del ricorso sotto i profili dedotti
dall’Amministrazione resistente, in quanto il d.p.c.m. impugnato, pur quale atto generale, contiene
determinazioni precettive direttamente applicabili ai fini del lamentato innalzamento dell’ISEE
sotto i profili dedotti dai ricorrenti e anche ai fini delle conseguenze indirette subito percepibili in
campo sociale.
Il Collegio rileva la fondatezza del primo motivo di ricorso.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost.,
ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una
definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da
imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia
sia all’estero…” debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità
di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di
risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla
componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i
lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il
coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio
di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legato all’”emersione” di
situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione
delle norme costituzionali sopra richiamate avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in
tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di
sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del
Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto
sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse
carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già
inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e
indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5
d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della
oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a
incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento,
sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o
risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le
pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da
danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn.
210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in
senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l.
cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di “reddito
disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m.
di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con
disabilità nella nuova disciplina.
Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a
riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche detrazioni e
franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 dp.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere
considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali,
previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni
pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al
richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e
in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la
funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e
orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non
sottoposto a tassazione IRPEF.
Per completezza di esposizione e poiché gli ulteriori motivi riguardavano diverse determinazioni del
d,p.c.m. in questione, il Collegio deve esaminare anche la restante parte del gravame.
Per quel che riguarda il secondo motivo, il Collegio rileva che la disposizione di cui all’art. 4,
comma 3, lett. c), d.p.c.m. cit. – sotto il primo profilo dedotto dai ricorrenti – non appare illegittima.
Come è noto la dichiarazione dei redditi “forfetaria” non impedisce comunque la presentazione di
una dichiarazione “integrale” e/o di allegare la documentazione di spesa sanitaria.
E’ una scelta del contribuente quella di provvedere alla prima forma, per cui ben può in futuro
essere necessaria la dichiarazione nella seconda forma ai fini di ottenere le detrazioni previste.
Analogamente, la previsione di un tetto massimo di detrazione, se correlata alla rideterminazione
del reddito secondo i parametri evidenziati nell’esaminare il primo motivo di ricorso, non appare
illogica o penalizzante nel senso prospettato dai ricorrenti, in quanto la stessa Amministrazione,
nella nota allegata in atti chiarisce che il limite massimo previsto va applicato a ciascuna persona
del nucleo che detrae, quale sottrazione al suo reddito personale, mentre in precedenza nessuna
detrazione di spesa per la “disabilità” era prevista, con la conseguenza che tale conformazione è
coerente con la disposizione legislativa di cui all’art. 5 d.l. n. 201/11 cit., secondo cui con il d.p.c.m.
sono individuate le agevolazioni fiscali che a partire dal 1 gennaio 2013 non possono più essere
riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto
stesso.
Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, in quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri non
ha potuto che tenere conto dell’aggiornamento complessivo della normativa fiscale e catastale
(quest’ultima in via di definizione esecutiva) vigente nell’ordinamento. Risultano comunque delle
valutazioni “temperate”, in ordine alla valutazione dei solo 2/3 dell’abitazione principale, nel
rispetto dell’impulso di cui all’art. 5 d.l. n. 201/2011 a valorizzare “in misura maggiore” la
componente patrimoniale, sia in Italia che all’estero, pur con l’attenuazione dovuta
dall’identificazione di agevolazioni fiscali.
Né può farsi una raffronto con la situazione precedente e il calcolo del patrimonio immobiliare su
base ICI, non essendo più in vigore e non più invocabile tale regime per la generalità dei cittadini.
Per quel che riguarda il quarto motivo di ricorso, il Collegio osserva che nel nuovo assetto sono
considerati i figli minorenni o maggiorenni a carico a fini IRPEF della persona disabile
maggiorenne e la loro inclusione nel nucleo familiare, in quanto privi di reddito sostanziale, riduce
l’ISEE, favorendo così il disabile con figli a carico rispetto al disabile senza prole, secondo la scala
di equivalenza di cui all’Allegato 1 al decreto richiamato dal relativo art. 1, comma 1, lett. c).
Analoghe osservazioni possono farsi in relazione all’inserimento del coniuge, che, se con reddito,
risponde a ragioni di equità sostanziale.
Altrettanto priva di illogicità e irrazionalità valutabili nella presente sede è la circostanza per la
quale i disabili minorenni non sono considerati “nucleo a sé” rispetto ai genitori, anche per
l’obbligo di solidarietà sociale familiare rimarcato dalla corte Costituzionale nella sentenza n.
297/12, ferma restando la previsione, all’uopo, di una specifica franchigia.
Per qual che riguarda, poi, la considerazione del reddito familiare e non del solo assistito il Collegio
pure richiama la giurisprudenza della Corte Costituzionale (n. 296/12) nonché del Consiglio di Stato
(Sex. III, 14.1.14, n. 99) secondo cui, in sostanza, la normativa di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi
ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte
costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una
compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può
costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il
nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla
collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti”.
C’è da osservare, infine, che anche nel precedente regime non vi era una considerazione del reddito
del solo “assistito” per tutte le spese ma solo per quelle per prestazioni sociali agevolate assicurate
nell’ambito di percorsi integrati di natura sociosanitaria e che la definizione di “prestazioni
agevolate di natura sociosanitaria” di cui all’art. 1, comma 1, lett. f), d.p.c.m. cit. può includere
anche prestazioni strumentali e accessorie oltre che interventi economici, come riconosciuto nella
stessa nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali allegata in atti dall’Amministrazione
costituita.
Infondato è poi il quinto motivo di ricorso.
Nella suddetta sentenza n. 297/2012, la Corte Costituzionale ha precisato che “…la competenza
statale alla quale va ricondotta la normativa impugnata, concernente la determinazione di livelli
essenziali delle prestazioni, non attiene ad una «materia» in senso stretto, ma costituisce una
competenza esclusiva e “trasversale”, idonea a investire una pluralità di materie (sentenze n. 203 del
2012; n. 232 del 2011; n. 10 del 2010; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 162 e n. 94 del
2007; n. 282 del 2002). Detta peculiare competenza comporta «una forte incidenza sull’esercizio
delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8 del 2011; n. 88 del
2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale collaborazione tra
Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010; n. 322 e n. 124 del 2009;
n. 162 del 2007; n. 134 del 2006; n. 88 del 2003), salvo che ricorrano ipotesi eccezionali (nella
specie non sussistenti) in cui la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) «non
permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità […] di protezione delle situazioni di estrema
debolezza della persona umana», tanto da legittimare lo Stato a disporre in via diretta le prestazioni
assistenziali, senza adottare forme di leale collaborazione con le Regioni (sentenza n. 10 del 2010, a
proposito della social card, ricondotta ai LEP e messa in connessione con gli artt. 2 e 3, secondo
comma, Cost.). Proprio in ragione di tale impatto sulle competenze regionali, lo stesso legislatore
statale, nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie o di assistenza sociale, ha
spesso predisposto strumenti di coinvolgimento delle Regioni (nella forma dell’«intesa») a
salvaguardia delle competenze di queste. Nella specie, non è dubbio che la determinazione
dell’ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie reddituali di accesso alle prestazioni
e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla competenza residuale regionale in materia
di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle finanze della Regione, che sopporta l’onere
economico di tali servizi. È, dunque, evidente che la suddetta determinazione dell’ISEE richiede la
ricognizione delle situazioni locali e la valutazione di sostenibilità finanziaria, tramite acquisizione
di dati di cui gli enti erogatori delle prestazioni dispongono in via prioritaria.
Sulla base di tali premesse (che, nel caso di specie, rinvenivano la necessità della leale
collaborazione Stato/Regione nell’attuazione dell’art. 5 cit.) deve leggersi il contesto in cui è
inserito l’art. 2 richiamato dai ricorrenti.
Tale norma deve essere interpretata sotto tale profilo, laddove prevede e “fa salve” le competenze
regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e sociosanitarie
e “le prerogative dei comuni”. La norma di cui a tale art. 2, poi, specifica con attenzione
che “…In relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non
diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie
di prestazioni, gli enti erogatori possono prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione
volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in
materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e sociosanitari.
E’ comunque fatta salva la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo
familiare attraverso l’ISEE.”
Da ciò ne consegue che l’ISEE oggetto dell’art. 5 cit. è ben differenziato e identificato nella sua
sostanza ed è prevista per gli enti regolatori – nell’ambito della ricognizione delle “situazioni locali”
anche di ordine finanziario – solo la possibilità di prevedere criteri “ulteriori” – e non integrativi –
di selezione unicamente della platea dei beneficiari e ciò in relazione alle attribuzioni regionali
specificamente previste in materia di assistenza socio-sanitaria, secondo il su ricordato riparto di cui
alla sentenza della Corte Costituzionale n. 297/12.
Non è, dunque, prevista alcuna elaborazione di criteri “paralleli” o “alternativi” all’ISEE, come
ritenuto dai ricorrenti, ma unicamente la possibilità di allargare la platea dei beneficiari mediante
criteri ulteriori, che non si sovrappongono o sostituiscono l’ISEE, ma lo integrano secondo le
attribuzioni regionali specifiche e facendo comunque salva – come ribadito esplicitamente dal
ricordato art. 2 – la “valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare
attraverso l’ISEE”, a conferma della circostanza per la quale è comunque l’ISEE il nucleo
valutativo imposto per determinare la condizione economica di riferimento.
Per quel che riguarda, infine, la questione di costituzionalità posta con il sesto motivo di ricorso, il
Collegio, oltre che evidenziarne la sostanziale genericità, rileva che un’interpretazione
costituzionalmente orientata impone le conclusioni, favorevoli ai ricorrenti, di cui al primo motivo
di ricorso, per cui se ne deduce l’irrilevanza in questa sede.
Per quanto attiene alla Convenzione ONU, il Collegio richiama la circostanza per la quale il
Consiglio di Stato (n. 99/14 cit.), con argomentazioni che il Collegio richiama facendole proprie, ha
precisato che tale Convenzione “…non esclude che alla relativa spesa partecipi, foss’anche per una
piccola frazione, pure l’assistito o chi per lui” (Cons. St., sez. III, 3.7.2013, n. 3574). Né ciò
comporta, ha osservato la Sezione, alcun vulnus alla dignità dell’assistito, giacché la di lui
situazione di intrinseca debolezza va salvaguardata anche, per quanto sia possibile e secondo quanto
afferma la stessa Corte costituzionale, con il favorire la permanenza di questi presso il nucleo
familiare. In ogni caso ritiene il Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE
non si ponga in contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi valorizzano la
posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal proprio nucleo familiare. Al
riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà familiare costituisce una ulteriore
guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere di solidarietà sociale e che tale fondamentale e
primario dovere di solidarietà familiare si esprime anche nella considerazione, da parte
dell’ordinamento dei singoli Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota
assistenziale di compartecipazione dell’assistito al mantenimento presso una struttura sociosanitaria.
Tale è del resto l’orientamento del più recente legislatore nazionale che, con l’art. 5 del d.l.
201/2011, convertito in l. 214/2011, ha previsto che, nel fissare il nuovo indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE), occorra adottare una definizione di reddito disponibile che includa
la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di
patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari,
in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico.”.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando
sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per
l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. n. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori
determinazioni dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento,
all’oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle
parti ricorrenti e dei soggetti di cui si dichiarano genitori, tutori o amministratori di sostegno o di
persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con l’intervento dei
magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 02458/2015 REG.PROV.COLL.
N. 04823/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4823 del 2014, proposto da:
U.T.I.M. -Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva e
Associazione “Promozione Sociale”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
p.t., rappresentate e difese dagli avv.ti Annamaria Torrani Cerenzia e Mario Motta,
con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, Via Portuense, 104;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa per legge
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei
Portoghesi, 12;
per l’annullamento, previa sospensione,
del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013 n. 159
“Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi
di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24.1.2014 n. 19;
nonché di ogni altro atto preparatorio, presupposto, conseguente e comunque
connesso con gli atti impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per
le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in
epigrafe evidenziavano che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 5 d.l. n. 201/2011
(recante “Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici
assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie), era
emanato il d.p.c.m. n. 159/2013 che dava luogo ad una nuova regolamentazione
complessiva del c.d. “ISEE” (Indicatore della situazione economica equivalente e di
cui chiedevano l’annullamento in parte, previa sospensione.
Soffermandosi principalmente sulle prestazioni agevolate di cui all’art. 1, lett. f),
d.p.c.m. cit. (prestazioni agevolate di natura sociosanitaria rivolte a persone con
disabilità e limitazioni dell’autonomia) e sulla rispettiva legittimazione a ricorrere, in
quanto portatori di posizioni a tutela di interessi diffusi e del gruppo sociale da loro
rappresentato, i soggetti in epigrafe lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“1) Eccezione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.
5 del DL 201/2011 convertito con la legge 214/2011”.
Risultava la violazione della Carta costituzionale (artt. 70, 76 e 77) in quanto la fonte
normativa di legge delegava alla PCM l’emanazione di un regolamento, senza però
stabilire “norme regolatrici della materia”, ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. n.
400/1988, limitandosi l’art. 5 d.l. cit. a contenere generali e vaghe linee
programmatiche che si prestano alle più varie interpretazioni e concedendo in
sostanza una “delega in bianco” alla PCM per disciplinare una materia riservata alla
esclusiva competenza del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m),
Cost.
“2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011 sotto il profilo della violazione del termine stabilito per l’emanazione del Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Il d.p.c.m. impugnato risultava pubblicato il 24 gennaio 2014, ben oltre il termine
del 31 maggio 2012 previsto dall’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit., termine da considerare
perentorio in quanto legato all’emanazione di un regolamento attuativo e non
meramente esecutivo.
“3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 117 lettera m) della Costituzione”.
Ricordando il nuovo regime di competenze delineato dall’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit.
-anche ai sensi della pronuncia della Corte Costituzionale n. 297/2012 che lo
riguardava – per il quale le soglie di accesso alle agevolazioni vengono fissate dal
Presidente del Consiglio dei Ministri e non più da ciascun ente erogatore, risultava
illegittimo l’art. 2 del d.p.c.m. impugnato laddove prevedeva invece che gli enti
erogatori potevano individuare, accanto all’ISEE, altri criteri di ulteriore di selezione
volte ad identificare specifiche platee di beneficiari ed esercitando così una
competenza riservata allo Stato ai sensi del ricordato art. 117, lett. m), Cost.
“4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011, dell’art. 38 I comma della Costituzione, dell’art. 32 I comma della Costituzione
dell’art. 23 della Costituzione e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone
con disabilità stipulata a New York il 13.12.2006 e ratificata dalla Repubblica Italiana con la
legge 18/2009”.
Gli artt. 2, 3 e 6 d.p.c.m. cit. violavano la norma costituzionale, di cui al relativo art.
38, e la ricordata Convenzione di New York in quanto conteggiavano l’ISEE, anche
nel caso di disabili non autosufficienti, considerando l’intero nucleo familiare e
imponendo, in caso di ricovero in strutture assistenziali di disabili privi di ingenti
risorse proprie, il contributo economico all’intero nucleo in questione.
Ciò andava a ledere, nello specifico, il diritto e la dignità del disabile che si vedeva
ora costretto a chiedere aiuto alla famiglia di appartenenza, la quale doveva essere
invece oggetto di tutela da parte dello Stato secondo quanto impresso nella
Convenzione di New York.
Risultava, inoltre, la violazione dell’art. 32 Cost. in quanto risultava così precluso
l’effetto di garanzia di cure gratuite a persone in stato di indigenza, soprattutto se
colpite da patologie gravemente invalidanti e da non autosufficienza e destinatarie,
in quanto tali, del diritto di esigere direttamente prestazioni sanitarie e sociosanitarie,
ex art 3, comma 3, l..n. 833/1978 e art. 54 l. n. 289/2002, quali livello essenziale di
assistenza.
Tali disposizioni del d.p.c.m. impugnato non erano comunque coerenti con (o
autorizzate da)la delega di cui all’art. 5 d.l.n. 201/2011, in quanto il richiamo in tale
norma di rango legislativo alla necessità di tenere conto delle quote di patrimonio e
di reddito dei diversi componenti della famiglia non poteva che essere considerato
in contraddizione con la precedente normativa, con i principi costituzionali e la
Convenzione di New York sopra richiamati, che espressamente prevedono la
necessità di valutare il reddito del solo assistito, a meno di considerare l’art. 5 cit.
quale norma in contrasto con la Carta costituzionale per quanto sopra richiamato.
I soggetti ricorrenti lamentavano, infine, anche la violazione dell’art. 23 Cost.
laddove il d.p.c.m. impugnato imponeva una prestazione patrimoniale senza
autorizzazione legislativa.
3 Cost.
laddove il d.p.c.m. impugnato imponeva una prestazione patrimoniale senza
autorizzazione legislativa.
5) Ulteriore profilo del motivo di impugnazione sopra dedotto. Eccesso di potere sotto i profili della
irragionevolezza, della ingiustizia minifesta e dello sviamento dalla causa tipica”.
L’art. 6, comma 3, d.p.c.m. cit. considerava che l’ISEE doveva tenere conto anche
dei figli non conviventi nel caso di prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria
erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo (salvi casi di estraneità accertati
in sede giurisdizionale e dalla pubblica autorità competente) ma tale fattispecie non
era in alcun modo autorizzata dall’art. 5 d.l. cit. e causava una abnorme estensione
della nozione di “nucleo familiare”.
Anche la su ricordata deroga appariva illogica, in quanto si escludevano dal carico
del naturale obbligo di solidarietà i figli di cui non è riconosciuto il rapporto affettivo
o la prestazione di aiuti economici, con relativa prova a carico degli interessati,
tramite autorità giurisdizionali o amministrative, ben difficile da individuare e
definire.
“6) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge 18/1980 e dell’art. 1 della
legge 508/1998.”
L’art. 4, comma 2, lett. f) d.p.c.m. cit. risultava illegittimo laddove includeva nel
computo ISEE i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di
debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, ricomprendendo
quindi indebitamente anche indennità finalizzate a fornire al disabile risorse
occorrenti per sostenere le maggiori spese in ragione della propria disabilità. Tra i
trattamenti considerati rientrerebbe, quindi, anche l’indennità di accompagnamento
di cui all’art. 1 l. 18/1980, posta a carico di persone che hanno subito gravi patologie
invalidanti e che è necessaria per le attività continue di assistenza di cui hanno
bisogno tali soggetti e non per incrementare il reddito personale. bisogno tali soggetti e non per incrementare il reddito personale.
“7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011. Eccesso di potere per irragionevolezza e disparità di trattamento”.
L’art. 5, comma 2, d.p.c.m. cit. si palesava illegittimo laddove utilizzava il valore
catastale ai fini IMU per determinare il valore reddituale dell’abitazione di proprietà.
La determinazione, in tal senso, appariva contraddittoria con il regime di detrazione,
pressoché integrale, del canone di locazione previsto invece nel precedente art. 4 e
comunque non sostenuta da alcuna disciplina nella fonte primaria.
In rapporto alla precedente regolamentazione, di cui al d.lgs. n. 109/1998, che
prevedeva il valore catastale ai fini ICI, l’attuale base di calcolo sul valore catastale
IMU si rilevava nettamente superiore, come da simulazione che i ricorrenti
illustravano in dettaglio.
“8) Violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 315 bis c.c.”
Il d.p.c.m. impugnato, nel non prevedere apposite detrazioni, non considerava che
il disabile grave, l’anziano malato cronico non autosufficiente e la persona colpita
da demenza senile richiedenti le prestazioni potevano dover far fronte talvolta
all’obbligo di mantenimento nei confronti del coniuge e dei figli sprovvisti di redditi
propri.
“9) Violazione dell’art. 38 I comma della Costituzione sotto il profilo della mancata previsione
dell’adeguamento delle franchigie al costo della vita. Eccesso di potere per irragionevolezza ed
ingiustizia manifesta”.
Le franchigie previste all’art 4 del d.p.c.m. cit., non considerando alcun
adeguamento al costo della vita, contrastavano con l’art. 38 Cost. e con il principio,
ormai generalizzato nel nostro ordinamento, della rivalutazione automatica delle
somme destinate ad assicurare l’effettiva realizzazione di esigenze sociali.
Si costitutiva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, illustrando le
proprie tesi, orientate alla reiezione del ricorso, in note allegate da Uffici del M.E.F.
Alla camera di consiglio cautelare era disposto rinvio alla trattazione del merito.
In prossimità della pubblica udienza, le parti ricorrenti depositavano una memoria
ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi, con riferimento ai motivi n. 4, 5 e 7.
Alla pubblica udienza del 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
L’art. 5 del d.l. n. 201/2011, nel testo derivante dalla legge di conversione n.
214/2011 e dal successivo d.l. n. 95/2012, conv. in l. n. 135/2012, recita
testualmente quanto segue: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze, da emanare, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio
2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della
situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile
che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle
quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi
familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la
capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita
sia in Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle
imposte relative; permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di
prestazioni. Con il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le
provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più
riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso.
A far data dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo
modello di dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la
determinazione dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio
1999, n. 221. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro 1999, n. 221. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli
dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione
e gli enti pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate,
condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel
rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse.
Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio
dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio
dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di
politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale
rassegnazione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare,
previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le
modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica
equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la
percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di
patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari,
in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità
selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in
Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte
relative; permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni. Con
il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le provvidenze di
natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più riconosciute ai
soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso. A far data
dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di
dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione
dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999, n. 221.
dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di
dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione
dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999, n. 221.
Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia
e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE,
anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti
pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate,
condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel
rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse.
Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio
dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio
dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di
politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale
riassegnazione”.
Ebbene, dall’articolato testo ora riportato non emerge la vaghezza e
l’indeterminatezza lamentate dai soggetti ricorrenti, atteso che il legislatore ha
chiaramente indirizzato il Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i
Ministri evidenziati, a rivedere le modalità di determinazione e i campi di
applicazione dell’ISEE fondandoli essenzialmente sulla (ri)definizione di “reddito
disponibile” tale da includere somme e quote patrimoniali e di reddito di soggetti
familiari determinati, valorizzando la componente patrimoniale anche estera,
considerando le tipologie diverse di prestazioni.
La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 297/2012, ha inoltre evidenziato
che “Il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, in particolare, ha affidato,
come visto, al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di determinare con
proprio decreto quei peculiari LIVEAS afferenti a prestazioni o servizi sociali o
assistenziali che sono effettuati a richiesta dell’interessato, non sono destinati alla
generalità dei soggetti e sono, comunque, collegati nella misura o nel costo a
determinate situazioni economiche. La norma, infatti, prevede che il suddetto
decreto: a) determini il nuovo indicatore del reddito (ISEE) che gli enti erogatori
debbono prendere in considerazione per consentire l’accesso a servizi agevolati; b)
introduca indicatori diversi in ragione delle varie tipologie di prestazione sociale; c)
fissi la soglia di reddito richiesta agli interessati per ottenere l’accesso alle varie
tipologie di prestazioni sociali agevolate. La predisposizione di indicatori
differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma
diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica
determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa,
infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle
prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto
concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione»,
che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte indicato come rientrante nella
competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2011; nello stesso senso,
sentenze n. 296, n. 287 e n. 203 del 2012; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008;
ziato
che “Il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, in particolare, ha affidato,
come visto, al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di determinare con
proprio decreto quei peculiari LIVEAS afferenti a prestazioni o servizi sociali o
assistenziali che sono effettuati a richiesta dell’interessato, non sono destinati alla
generalità dei soggetti e sono, comunque, collegati nella misura o nel costo a
determinate situazioni economiche. La norma, infatti, prevede che il suddetto
decreto: a) determini il nuovo indicatore del reddito (ISEE) che gli enti erogatori
debbono prendere in considerazione per consentire l’accesso a servizi agevolati; b)
introduca indicatori diversi in ragione delle varie tipologie di prestazione sociale; c)
fissi la soglia di reddito richiesta agli interessati per ottenere l’accesso alle varie
tipologie di prestazioni sociali agevolate. La predisposizione di indicatori
differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma
diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica
determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa,
infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle
prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto
concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione»,
che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte indicato come rientrante nella
competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2011; nello stesso senso,
sentenze n. 296, n. 287 e n. 203 del 2012; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008;
n. 383 e n. 285 del 2005).La norma impugnata, pertanto, costituisce espressione
dell’esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di LIVEAS,
ai sensi dell’art. 117, secondo comma lettera m), Cost.”.
Da tale ricostruzione appare evidente la completezza della struttura del testo
legislativo di delega e la conformità dell’operato del legislatore, sotto tale profilo,
all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Non si rileva infatti la perentorietà del termine del 31 maggio 2012 richiamato
nell’art. 5 cit.
Secondo i principi giurisprudenziali in argomento e sotto un profilo sostanziale, un
termine può definirsi “perentorio” quando dalla sua scadenza deriva l’impossibilità
di compiere, anche in epoca successiva, l’attività amministrativa correlata,
implicandosi così l’estinzione del potere alla scadenza del termine. Un termine,
viceversa, può dirsi “ordinatorio” allorché la sua scadenza non fa venir meno il
potere di agire, fermo restando che -salva la possibilità di proroga a mezzo della
stessa fonte che lo aveva stabilito e, altresì, prima della sua scadenza -il mancato
rispetto di detto genere di termine può esporre a responsabilità colui che, in difetto
di legittima proroga, non lo abbia rispettato, e consente ai soggetti interessati (e
quindi legittimati perchè portatori di un interesse legittimo al rispetto del termine) a
esperire in giudizio ogni azione idonea a costringere l’obbligato a svolgere l’attività
dovuta (C.G.R.S., 19.4.12, n. 396).
Nel caso di specie non vi era alcuna previsione di estinzione del potere né era
definito il termine stesso come perentorio né era prevista alcuna conseguenza
sostanziale sulla sua inosservanza, così che il medesimo può definirsi meramente
ordinatorio e il suo mancato rispetto non comporta l’illegittimità dell’intero d.p.c.m.
impugnato, come invece prospettato dai ricorrenti (Cons. Stato, Sez. VI, 27.2.12, n.
1084).
Al Collegio non appare fondato neanche il terzo motivo di ricorso.
Nella suddetta sentenza n. 297/2012, la Corte Costituzionale ha precisato che “…la
competenza statale alla quale va ricondotta la normativa impugnata, concernente la determinazione
di livelli essenziali delle prestazioni, non attiene ad una «materia» in senso stretto, ma costituisce
una competenza esclusiva e “trasversale”, idonea a investire una pluralità di materie (sentenze n.
203 del 2012; n. 232 del 2011; n. 10 del 2010; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n.
162 e n. 94 del 2007; n. 282 del 2002). Detta peculiare competenza comporta «una forte
incidenza sull’esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8
del 2011; n. 88 del 2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale
collaborazione tra Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010;
incidenza sull’esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8
del 2011; n. 88 del 2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale
collaborazione tra Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010;
n. 322 e n. 124 del 2009; n. 162 del 2007; n. 134 del 2006; n. 88 del 2003), salvo che
ricorrano ipotesi eccezionali (nella specie non sussistenti) in cui la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni (LEP) «non permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità […]
di protezione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana», tanto da legittimare lo
Stato a disporre in via diretta le prestazioni assistenziali, senza adottare forme di leale
collaborazione con le Regioni (sentenza n. 10 del 2010, a proposito della social card, ricondotta ai
LEP e messa in connessione con gli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.). Proprio in ragione di tale
impatto sulle competenze regionali, lo stesso legislatore statale, nel determinare i livelli essenziali
delle prestazioni sanitarie o di assistenza sociale, ha spesso predisposto strumenti di coinvolgimento
delle Regioni (nella forma dell’«intesa») a salvaguardia delle competenze di queste. Nella specie,
non è dubbio che la determinazione dell’ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie
reddituali di accesso alle prestazioni e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla
competenza residuale regionale in materia di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle
finanze della Regione, che sopporta l’onere economico di tali servizi. È, dunque, evidente che la
suddetta determinazione dell’ISEE richiede la ricognizione delle situazioni locali e la valutazione
di sostenibilità finanziaria, tramite acquisizione di dati di cui gli enti erogatori delle prestazioni
dispongono in via prioritaria.
Sulla base di tali premesse (che, nel caso di specie, rinvenivano la necessità della leale
collaborazione Stato/Regione nell’attuazione dell’art. 5 cit.) deve leggersi il contesto
in cui è inserito l’art. 2 richiamato dai ricorrenti.
Tale norma deve essere interpretata sotto tale profilo, laddove prevede e “fa salve”
le competenze regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle
politiche sociali e socio-sanitarie e “le prerogative dei comuni”. La norma di cui a
tale art. 2, poi, specifica con attenzione che “…In relazione a tipologie di prestazioni che
per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione
dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono
In relazione a tipologie di prestazioni che
per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione
dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono
prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di
beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali
specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari. E’ comunque fatta salva la
valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE.”
Da ciò ne consegue che l’ISEE oggetto dell’art. 5 cit. è ben differenziato e
identificato nella sua sostanza ed è prevista per gli enti regolatori – nell’ambito della
ricognizione delle “situazioni locali” anche di ordine finanziario – solo la possibilità
di prevedere criteri “ulteriori” – e non integrativi – di selezione unicamente della
platea dei beneficiari e ciò in relazione alle attribuzioni regionali specificamente
previste in materia di assistenza socio-sanitaria, secondo il su ricordato riparto di cui
alla sentenza della Corte Costituzionale n. 297/12.
Non è, dunque, prevista alcuna elaborazione di criteri “paralleli” o “alternativi”
all’ISEE, come ritenuto dai ricorrenti, ma unicamente la possibilità di allargare la
platea dei beneficiari mediante criteri ulteriori, che non si sovrappongono o
sostituiscono l’ISEE, ma lo integrano secondo le attribuzioni regionali specifiche e
facendo comunque salva – come ribadito esplicitamente dal ricordato art. 2 – la
“valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare
attraverso l’ISEE”, a conferma della circostanza per la quale è comunque l’ISEE il
nucleo valutativo imposto per determinare la condizione economica di riferimento.
Né è provato, comunque, che tali ulteriori criteri – ancora da adottare da parte degli
enti erogatori -siano già ora lesivi per i disabili rappresentati dai soggetti ricorrenti,
per cui emerge anche un profilo di carenza di interesse alla proposizione del motivo.
Infondato si palesa anche il quarto motivo di ricorso sulla circostanza di conteggiare
l’ISEE considerando l’intero nucleo familiare, anche in caso di ricovero del disabile
in strutture residenziali diurne o continuative.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 14.1.14, n. 99) la normativa
l’ISEE considerando l’intero nucleo familiare, anche in caso di ricovero del disabile
in strutture residenziali diurne o continuative.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 14.1.14, n. 99) la normativa
di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di
solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del
nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte costituzionale ha
sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una
compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei
familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la
permanenza dell’anziano presso il nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un
dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui
prossimi congiunti”.
Ebbene, in tal senso non si individua alcuna discriminazione nei confronti dei
disabili in quanto non risulta impedita nei confronti di costoro, se non
autosufficienti, l’accesso alle cure sanitarie, ai sensi degli artt. 32 e 38 Cost., in quanto
la disciplina in materia di ISEE comprende la componente sociale che non può
essere né scissa né oscurata da quella sanitaria, facendo di quest’ultima l’esclusivo
parametro di riferimento al quale ancorare, anche sul piano costituzionale, la
valutazione della normativa in materia (Cons. Stato, Sez. III, n. 99/14 cit.).
Né può invocarsi la violazione della Convenzione di New York del 13 dicembre
2006.
Sempre nella medesima sentenza n. 99/14 cit. il Consiglio di Stato, con
argomentazioni che il Collegio richiama facendole proprie, ha precisato che tale
Convenzione “…non esclude che alla relativa spesa partecipi, foss’anche per una
piccola frazione, pure l’assistito o chi per lui” (Cons. St., sez. III, 3.7.2013, n. 3574).
Né ciò comporta, ha osservato la Sezione, alcun vulnus alla dignità dell’assistito,
giacché la di lui situazione di intrinseca debolezza va salvaguardata anche, per
quanto sia possibile e secondo quanto afferma la stessa Corte costituzionale, con il
favorire la permanenza di questi presso il nucleo familiare. In ogni caso ritiene il
Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE non si ponga in
contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi
valorizzano la posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal
proprio nucleo familiare. Al riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà
familiare costituisce una ulteriore guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere
di solidarietà sociale e che tale fondamentale e primario dovere di solidarietà
familiare si esprime anche nella considerazione, da parte dell’ordinamento dei singoli
Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota assistenziale di
quanto sia possibile e secondo quanto afferma la stessa Corte costituzionale, con il
favorire la permanenza di questi presso il nucleo familiare. In ogni caso ritiene il
Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE non si ponga in
contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi
valorizzano la posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal
proprio nucleo familiare. Al riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà
familiare costituisce una ulteriore guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere
di solidarietà sociale e che tale fondamentale e primario dovere di solidarietà
familiare si esprime anche nella considerazione, da parte dell’ordinamento dei singoli
Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota assistenziale di
compartecipazione dell’assistito al mantenimento presso una struttura
sociosanitaria. Tale è del resto l’orientamento del più recente legislatore nazionale
che, con l’art. 5 del d.l. 201/2011, convertito in l. 214/2011, ha previsto che, nel
fissare il nuovo indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), occorra
adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme,
anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio
e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi
familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico.”.
Non si rileva, infine, la violazione dell’art. 23 Cost, in quanto non risulta imposta
alcuna prestazione ma solo una rideterminazione della distribuzione sociale di
obblighi di solidarietà.
Gli argomenti di cui alla precedente trattazione portano anche a ritenere infondato
il quinto motivo di ricorso, in quanto il dovere di solidarietà familiare sopra
richiamato non può essere limitato ragionevolmente ai soli figli conviventi né pare
impossibile fornire la prova della deroga per estraneità del figlio in termini di
rapporti affettivi ed economici, visto l’esplicito richiamo alla pubblica autorità
competente e alla sede giurisdizionale, soggetti che operano in maniera idonea a
fornire ogni documentazione necessaria.
Per mera linearità espositiva, il Collegio ritiene di passare ad esaminare gli ulteriori
motivi di ricorso di cui riconosce l’infondatezza.
In particolare, per quel che riguarda il settimo motivo di ricorso, il Collegio ritiene
legittimo l’art. 5, comma 2, del d.p.c.m. impugnato laddove utilizza il valore catastale
IMU per valutare il patrimonio immobiliare.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha potuto che tenere conto
dell’aggiornamento complessivo della normativa fiscale e catastale (quest’ultima in
via di definizione esecutiva) vigente nell’ordinamento. Risultano comunque dei
temperamenti, in ordine alla valutazione dei solo 2/3 dell’abitazione principale, nel
rispetto dell’impulso di cui all’art. 5 d.l. n. 201/2011 a valorizzare “in misura
maggiore” la componente patrimoniale, sia in Italia che all’estero, pur con
l’attenuazione dovuta dall’identificazione di agevolazioni fiscali.
La complessa simulazione contenuta nel ricorso, quindi, non può rilevare sotto il
profilo di cui al presente motivo, perché richiama l’intera situazione personale legata
all’applicazione del nuovo indice “ISEE” e non contiene una rivalutazione
proporzionale con la situazione precedente e il calcolo del patrimonio immobiliare
su base ICI, comunque non più in vigore e non più invocabile.
Parimenti infondato è l’ottavo motivo di ricorso.
Il dovere di solidarietà familiare sopra richiamato non può che essere interpretato
unitariamente, così che la compartecipazione al calcolo reddituale per coniugi e figli
conviventi deve essere uniforme. Ciò nel rispetto dell’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit. che
impone di tenere conto dei pesi dei carichi familiari e ferma restando la facoltà, pure
sopra ricordata, di cui all’art. 2 d.p.c.m. cit. di consentire agli enti erogatori criteri
ulteriori di selezione accanto all’ISEE.
Infondato è anche il nono motivo, in quanto l’esposizione normativa deve
intendersi allo stato attuale e non è prevista alcuna esclusione della possibilità di
revisione e aggiornamento delle franchigie e detrazioni, sia su impulso della stessa
Amministrazione che delle parti sociali interessate, al fine di renderle efficaci nel
tempo.
Premesso ciò, resta da esaminare il sesto motivo di ricorso, di cui il Collegio
riconosce invece la fondatezza.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt.
3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale
è anche il nono motivo, in quanto l’esposizione normativa deve
intendersi allo stato attuale e non è prevista alcuna esclusione della possibilità di
revisione e aggiornamento delle franchigie e detrazioni, sia su impulso della stessa
Amministrazione che delle parti sociali interessate, al fine di renderle efficaci nel
tempo.
Premesso ciò, resta da esaminare il sesto motivo di ricorso, di cui il Collegio
riconosce invece la fondatezza.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt.
3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale
prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la
percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in
misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba
essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di
eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in
realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco
il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le
pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano),
i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che
percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a
rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art.
38 Cost., legato all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad
assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta
violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo
a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed
aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini elle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini
ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la
Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo
familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali
e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche,
laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel
reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali,
previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di
“reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che
l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche
economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che
dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla
componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti
riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle
situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS
alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi
da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da
indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono
costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di
“reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE
e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di
“reddito disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata
dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero
l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova
’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero
l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova
disciplina.
Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente
orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad
introdurre specifiche detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito”
(impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 d.p.c.m.
siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né
che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno
luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a
qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata
“disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove
prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile”
eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l.
cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando
attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale,
previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di
reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della
fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi
di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. n.
159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con
l’intervento dei magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)