Il 23 ottobre si è svolto un incontro informale presso L’azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze.
L’incontro è stato organizzato dalla società svizzera Second sight, in collaborazione con la clinica oculistica universitaria di Firenze, diretta dal prof. Stanislao Rizzo.
Erano rappresentate varie Regioni del Nord, centro e Sud:
Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Calabria.
Era un incontro informale, ma proprio per questo è stato possibile condividere i buoni risultati e gli elementi da migliorare, senza i formalismi dei verbali, dei documenti finali, delle votazioni, che in questo caso avrebbero ingabbiato una realtà ancora molto fluida ed invia di evoluzione.
I lavori vengono introdotti dalla dott.ssa Carboni e dalla dott.ssa Arsieri di Second sight.
La dott.ssa Carboni illustra lo stato dell’arte della tecnologia Argos e gli sviluppi per l’immediato futuro, sia sotto il profilo tecnologico che chirurgico.
Attualmente l’apparecchio si basa su 60 punti visivi, che rappresentano una piccolissima parte di quelli presenti nell’occhio umano. In futuro avremo una macchina con un numero maggiore di punti, in grado di decodificare i colori principali. L’occhiale sarà personalizzabile rispetto alle misure ed al confort; l’hardware sarà più leggero e più potente, e si prevede l’introduzione di software specifico per le diverse situazioni, quali: individuazione di ostacoli, adattamento a diverse condizioni di luminosità, un numero maggiore di regolazioni, eccetera.
Da un punto di vista chirurgico, è importante notare che Argus potrà essere utilizzato anche per la degenerazione maculare senile, oggi molto diffusa nei Paesi Occidentali. Infine, presto sarà possibile impiantare la tecnologia nella zona occipitale, quindi in pratica inviando i segnali direttamente al cervello, senza chiamare in gioco il nervo ottico, aumentando quindi il numero degli utenti potenziali.
La Dott.ssa Arsieri, dal canto suo, ha chiarito alcuni particolari tecnici, sottolineando che il nostro Paese è all’avanguardia rispetto agli altri. In tutto il mondo si contano circa 150 pazienti impiantati, con risultati molto diversificati, in relazione alla storia personale e familiare, al livello di motivazione, alle aspettative del paziente, alla capacità di far fronte a situazioni nuove, eccetera.
Dopo questa introduzione, abbiamo ascoltato le esperienze dei pazienti impiantati. Erano solo due, ma rappresentativi della varietà e della complessità delle esperienze di chi ricomincia a vedere.
Riccardo (Prato) ha ripercorso insieme a noi il suo “pellegrinaggio”, in playback, dal momento del risveglio, ai primi passi con Argos 2, alle complicanze post operatorie, al lungo e paziente lavoro di riadattamento alla macchina, con le sue regole, i suoi vincoli, ma anche con i suoi doni preziosi: sono i volti delle persone care, sono la possibilità di guardare in faccia l’interlocutore, sono la possibilità di camminare più sicuro, individuando quegli ostacoli che ci fanno imprecare alla inciviltà dei nostri concittadini: porte semiaperte, biciclette fuori posto, fioriere e cassette di vario genere e dimensioni, .
Rossana (anche lei di Prato) ci ha presentato la sua storia, di una persona che, dopo aver perduto la vista in età avanzata, ben presto ha ricominciato a vedere. Anche per lei il ritorno “a riveder le stelle”, di dantesca memoria, non è stato facile, e il suo viaggio continua ogni giorno. Rossana ci ha trasmesso la gioia di ritornare a casa, di approdare sulla terra promessa, l’emozione del naufrago che si ritrova vivo su una spiaggia amica, anche se ancora tutta da scoprire.
Le domande sono piovute, dirette e senza gli infingimenti del politically correct. Sono le domande dirette, dove il tu presto cede il posto al Lei di cortesia:
cosa è cambiato per te?
Puoi farci vedere come ti muovi in questa sala?
Ce la faresti a leggere qualcosa?
Proprio questo Question time ha consentito a tutti di rendersi meglio conto della diversità delle situazioni, delle potenzialità, dei limiti e delle prospettive della nuova tecnologia.
La dott.ssa Arsieri ci ha ricordato che per ora la visione è in bianco e nero, anche se alcuni pazienti riescono a distinguere certi colori, e non è lontano il giorno in cui la macchina consentirà di migliorare questo aspetto importantissimo.
Si tratta di una visione a 60 punti, che sono una infinitesima parte rispetto ai punti percepibili dall’occhio umano. Un campo di soli 20 gradi circa, ma ho ancora in mente la voce di Riccardo e di Rossana, che, come chi ha patito stenti, fame e sete, hanno usato parole commoventi per descrivere quell’aria nuova, il sapore della vita ritrovata, per cui le parole scritte sono solo una eco sbiadita delle voci e dei silenzi di noi in sala.
Ascoltando la descrizione di quello che per chi vede sono solo briciole di realtà, mi è venuta in mente una frase di un missionario, che, parlando dei bambini africani diceva: sorridono sempre, eppure hanno tanto meno di noi!
Dopo il racconto dei pazienti e le spiegazioni della dott.ssa Carboni e della dott.ssa Arsieri, è stato il turno degli operatori:
oculisti, ortottisti, psicologi, specialisti di orientamento e mobilità, e io stesso, che portavo il saluto del Presidente Nazionale e la disponibilità della nostra organizzazione a formare un partenariato con Second Sight, offrendo la nostra esperienza, quella dei nostri centri per la riabilitazione visiva, e, se occorre, risorse economiche ed umane per migliorare i percorsi riabilitativi.
La proposta è stata bene accolta da Second Sight, e, durante la discussione, il nostro contributo è stato apprezzato dai presenti.
Nella seconda parte della mattinata e nel pomeriggio, la discussione si è concentrata sui percorsi riabilitativi.
Tutti hanno potuto riferire sulla loro esperienza, e ne è emerso un quadro quanto mai vario e complesso: le sensibilità locali, la storia personale e famigliare dei pazienti, le loro aspettative, la diversa propensione a rapportarsi con una macchina complessa che ha le sue regole, i suoi vincoli, la disponibilità ad avvalersi dei canali non visivi, sono tutte componenti che incidono sul percorso riabilitativo.
Anche per quanto riguarda i tempi, le fasi del percorso, la discussione ha messo in luce diversi punti meritevoli di attenzione. Ad esempio: verifiche periodiche, anche dopo il termine della fase intensiva; brevi periodi residenziali nelle fasi più difficili, magari formando un gruppo di autoaiuto; rieducazione sensoriale, per sostenere e compensare la iniziale difficoltà a “rivedere”; eccetera.
Dai racconti dei pazienti e degli operatori si ricava l’impressione che il paziente si trova a scalare una montagna non sempre docile, con le sue impennate, le sue piccole insidie, le attese, gli imprevisti. Il paziente deve acquisire una nuova dimensione umana, prima ancora che sensoriale, tecnologica, e tutto questo richiede tempo, pazienza, coraggio, resistenza alla frustrazione, e, naturalmente, l’aiuto giusto, tempestivo e adeguato.
La second sight ha distribuito una bozza di protocollo, per uso interno, per ricevere commenti, osservazioni e suggerimenti dagli addetti ai lavori.
In conclusione, non nascondo l’emozione che ho provata, ed il desiderio che la nostra Unione dia il suo contributo alla costruzione di un futuro più luminoso per i non vedenti.
Second sight. Stato dell’arte e prospettive, di Antonio Quatraro
Autore: Antonio Quatraro