Leggiamo su Repubblica del 21 u.s. l’articolo di Adriano Sofri dal titolo Quei professori di sostegno considerati di Serie B e, dall’esperienza che deriva dall’essere stato un “uomo di scuola” e dall’aver vissuto in questi 40 anni in “prima linea” il processo di integrazione a fianco delle famiglie dei ragazzi con disabilità, ed in stretto contatto con dirigenti e docenti, vogliamo esprimere il nostro motivato dissenso alle critiche che l’autore dell’articolo rivolge alla proposta del sottosegretario Davide Faraone e contenuta nella PDL presentata dalla FAND (Federazione nazionale associazioni disabili) e dalla FISH (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) di istituire una specifica classe di concorso per il sostegno.
Oggi la realtà è che il docente di sostegno deve avere l’abilitazione per una qualsiasi classe di concorso, mentre deve essere “contitolare” per il sostegno con docenti di discipline diverse dalle sue (ad es. un insegnante abilitato in educazione fisica, dovrà fornire il necessario sostegno per l’inclusione dell’alunno con disabilità al docente di matematica o di lettere, piuttosto che a quello di lingue straniere, ecc.). In che cosa si potrà concretizzare la sua “contitolarità”? Come eserciterà il suo ruolo di sostegno nei confronti del collega? Non certo in rapporto alle conoscenze disciplinari, ma unicamente in riferimento alle sue competenze didattiche e relazionali rispetto alla disabilità dell’alunno. Via via passando dalla scuola primaria, alla secondaria di primo e a quella di secondo grado, dove gli apprendimenti disciplinari diventano sempre più specifici, le difficoltà nello svolgimento di questo suo ruolo di contitolare per il sostegno aumentano e proprio questa difficoltà nel supportare il docente della disciplina nello sviluppare un percorso inclusivo, favorisce la delega dell’alunno disabile da parte degli insegnanti titolari al docente di sostegno ed al suo progressivo isolamento dal contesto della classe e, sempre più spesso, li porta a svolgere le attività didattiche nell’”aula di sostegno”, magari in compagnia degli altri alunni con disabilità dell’istituto.
Questo è ciò che avviene ora e, contrariamente a quello che sostiene Sofri nel suo articolo, non sarà l’istituzione dello specifico ruolo per il sostegno a favorire il meccanismo della delega e la “separazione” dell’“insegnante normale” dall’insegnante speciale”, ma viceversa, come cercherò di spiegare esso contribuirà ad eliminarlo.
Credo che tutti siano d’accordo nel ritenere che per una scuola realmente inclusiva occorra una maggior specializzazione dei docenti, ma credo lo siano altrettanto, nel pensare che non sia possibile una specializzazione di tutti i docenti con la conseguente eliminazione del docente di sostegno.
Da queste osservazioni nascono le proposte contenute nella PDL FAND-FISH che prevede ,per i docenti titolari delle discipline, una formazione di base e continua che li prepari ad un corretto approccio educativo-relazionale con l’alunno con disabilità tale da renderli “capaci” di farsi responsabili dell’insegnamento disciplinare, sia pur con il supporto sul piano metodologico del docente di sostegno, prevedendo però per questi ultimi una specifica specializzazione.
Specializzazione questa che non può essere solo, come avviene ora, “general-generica”, ma deve comprendere anche conoscenze didattiche e competenze tecnico-metodologiche efficaci in riferimento alle specifiche disabilità, solo così la “contitolarità” tra docente di classe e di sostegno potrà essere reale e si potrà sviluppare una progettazione didattica efficace ed inclusiva.
Il ruolo del docente specializzato per il sostegno , esperto in “metamodelli inclusivi” non è quello dell’educatore, né quello del riabilitatore, meno che mai la sua preparazione deve essere di tipo medico-sanitario, come sostiene Sofri nel suo articolo, ma quello di un docente esperto di didattica e docimologia, con specifiche competenze di pedagogia speciale, progettista ed attuatore di percorsi formativi, sviluppati e realizzati in team con i colleghi titolari delle discipline, ma potrà anche essere quello di “figura obiettivo” e di mediatore didattico per l’inclusione capace di contribuire all’elaborazione di un POF inclusivo e di rendere “accogliente” l’intero contesto.
L’azione didattica per essere efficace necessita di due competenze: quella disciplinare e quella metodologico didattica. Di fronte a “complessità educative” come quelle che possono derivare dalla presenza in classe di un alunno con disabilità, può essere necessaria la contitolarità di più docenti ma perché tale contitolarità sia reale, è necessario che ciascun insegnante sia portatore di specifiche competenze complementari con quelle del collega.
Questa considerazione porta a prevedere la necessità di una classe di concorso che prescinda dal disciplinare, ma si fondi su competenze pedagogiche, metodologiche e didattiche capaci di rendere efficaci ed inclusivi gli insegnamenti disciplinari in presenza di alunni con disabilità.
Solo così potrà venir meno la possibilità della delega: chiarito che gli insegnamenti disciplinari sono di esclusiva competenza del docente di classe, egli non può più delegare la sua funzione di insegnante di fronte all’alunno disabile, ma restano sue la responsabilità dell’apprendimento e della valutazione anche di questo alunno, così come per tutti gli altri.
Sostenere poi, che la figura di uno specializzato in pedagogia speciale, esperto in metamodelli di apprendimento, didattica, metodologie e tecniche per l’insegnamento inclusivo sia “altro” rispetto ad un vero docente, è difficile da sostenere: significherebbe dichiarare non insegnante proprio chi supporta la classe e l’intera scuola, nelle capacità di fornire insegnamenti inclusivi.
La formazione obbligatoria in servizio di tutti i docenti sulle tematiche generali per l’inclusione, la specializzazione dei docenti per il sostegno (che personalmente tornerei a chiamare specializzati) e la creazione della specifica classe di concorso, definiscono con chiarezza i compiti e le competenze dei diversi ruoli dando una nuova dignità al ruolo di sostegno mettendolo al servizio della classe e della scuola per lo sviluppo di un sistema scolastico veramente inclusivo e non al “servizio” del ragazzo con disabilità sostituendosi ai docenti di classe.
Infine ci è difficile comprendere l’affermazione di Sofri circa il fatto che la scelta del sostegno non possa essere una scelta definitiva, ma debba continuare ad essere una scelta “temporanea”, affermazione che potrebbe trovare giustificazione solo nella frustrazione che attualmente può derivare ai docenti di sostegno, spesso impreparati ad assolvere al compito, quando si vedono emarginati dal contesto dei colleghi, che li considerano più “badanti” che insegnanti e li isolano con il “loro” allievo, cose queste, alle quali il ruolo di sostegno, definendo compiti e competenze, contrariamente a quanto affermato da Sofri, porrà rimedio.
Altra giustificazione della affermazione che l’incarico di sostegno dovrebbe essere non definitivo potrebbe derivare dalla constatazione che, per molti, il fare il docente di sostegno spesso è stata una scelta “occasionale” quando non “opportunistica”, o un “ripiego” tutte “motivazioni” che poco hanno a che fare con l’“interesse” con il quale, di norma, ci si prepara e si sceglie un lavoro.
Non penso che siano queste le cose che possano far venir meno la convinzione nella validità della nostra proposta di istituire uno specifico ruolo di sostegno.
Una scelta fatta da chi, da sempre, ha creduto e crede nell’inclusione scolastica e sociale dei ragazzi con disabilità, che in questi anni ha operato per difendere la “via italiana” per l’inclusione, e che oggi propone una revisione del modello di inclusione che, fuori da preconcetti ideologici, muovendo unicamente dall’analisi e dalla riflessione critica sui suoi punti di forza e di debolezza, ne migliori l’efficacia e l’efficienza per poter garantire reale pari opportunità nel diritto allo studio ai giovani con disabilità e con professori specializzati di Serie A.