Pluridisabili: dei fratelli che non ci è lecito dimenticare

Autore: Angela Mazzetti

Sono referente per la mia Regione, la Lombardia e, per il secondo mandato, componente della Commissione nazionale per le pluridisabilità. Mi è stato chiesto di scrivere un articolo su questo argomento e lo faccio volentieri, perché da tanti anni ormai sento la condizione della pluridisabilità, connessa alla minorazione visiva, come un fardello da condividere sia con quelli che sono costretti a portarselo addosso giorno dopo giorno, sia con le loro famiglie. La numerosa letteratura in proposito e la conoscenza diretta, ottenuta sul campo, del problema mi hanno convinto che, se tutte le disabilità presentano un prezzo da pagare, questa si porta dentro il costo più alto. Mi riferisco, com'è ovvio, ad una situazione in cui il deficit intellettivo si coniuga con carenze più o meno gravi di ordine motorio e prassico, alle quali si aggiungono, limitazione ulteriormente pesante, le complicanze visive.
Una volta definita dagli esperti la diagnosi, talora purtroppo incompleta e-o tardiva, si presenta per la famiglia il primo e forse più difficile ostacolo da superare: l'accettazione e la presa in carico del bimbo e del suo problema. Non esiste comunque condizione di vita tanto grave che non sia passibile di riabilitazione: la prima e fondamentale tuttavia è quella che si fonda e scaturisce (lo dico senza retorica, ma per convinzione profonda) dalla consapevolezza che ogni persona è di per sé un valore intrinseco ed è portatrice di diritti inalienabili che esigono di essere rispettati.
Tutti dobbiamo farlo e tanto più lo dobbiamo noi, che possediamo la capacità di pensare e di agire, di muoverci e di dare un nome ai sentimenti ed alle cose, nonostante il nostro limite.
Le sezioni dell'Unione devono spalancare le porte per accogliere loro e le loro famiglie; nelle nostre relazioni programmatiche essi devono trovare uno spazio e delle specifiche strategie di intervento da portare alla scuola e-o alle strutture che se ne fanno carico, perché possano prepararsi alla vita o sentirsi "bene", perché curati e, possibilmente, amati.
Siamo responsabili del loro benessere o dei loro piccoli o grandi successi; dobbiamo darci da fare perché trovino accoglienza ed amicizia là dove vivono: l'integrazione non è un diritto e una conquista soltanto per noi. E lo stesso discorso vale per il lavoro, se ne hanno le capacità.
Ma basta con la teoria! Consentitemi invece di raccontarvi le storie di due bimbe, che hanno attraversato e una ancora attraversa la mia vita e quella della mia Sezione. Le chiamerò Lisa e Flora, due nomi che mi piacciono per il suono gentile e armonioso. La mamma di Lisa la chiameremo Vera.
Vera suonò al nostro cancello verso la fine dell'inverno 2002; eravamo in chiusura di giornata. Eletta Presidente da pochi mesi, avevo tante speranze e altrettante preoccupazioni. Vera posò la piccola sulla mia scrivania e Paola, la mia sensibile ed efficientissima segretaria, rimase un momento con noi. Aveva un bambino di qualche mese più giovane. Vera era tesa, angosciata; Lisa aveva il sondino naso-gastrico, perché non era in grado di nutrirsi regolarmente. Se ne stava silenziosa, con le membra rigide e gli occhi semichiusi. La storia era quella di sempre. Un parto difficile, l'anossia, i primi interventi riparativi in ospedali diversi. Di fatto una prognosi incerta e da ultimo sedute fisioterapiche dilazionate nel tempo. Ad un certo punto Vera mi si gettò tra le braccia, scoppiando in un pianto disperato, fatto di stanchezza e di impotenza. Condividemmo le sue lacrime, poi iniziammo insieme la risalita. Paola rientrò,verificò e raccolse i documenti, mentre io al telefono prendevo per Vera un appuntamento per un più adeguato, almeno speravo, programma riabilitativo.
Così ebbe inizio il percorso di recupero, faticoso, ma impostato e condotto a trecentosessanta gradi. Niente fu lasciato al caso. Stimolazioni basali prima e poi neurovisive; logopedia e fisioterapia: Lisa era ed è costretta su una sedia a rotelle, ma le mani hanno recuperato motricità, anche se non quella fine. Vennero, con le prime parole, i segni di una buona capacità di comprensione. Vera ed il marito lottarono senza posa, per ottenere quanto era necessario alla loro bambina e noi fummo loro accanto in quell'avventura. La scuola dell'infanzia, con tanti sussidi utili condivisa e vissuta nella stessa aula coi compagni normodotati. Accanto a Lisa le maestre curriculari ed una splendida educatrice, Gabriella, che ancora oggi, in quinta elementare, la supporta, grazie anche alla sensibilità delle Istituzioni scolastiche e non. Da quando è stata in grado di comprendere e di decidere, Lisa ha sempre preteso di essere presente agli incontri d'équipe che la riguardavano, anche se poi, ogni volta che si rendeva conto della sofferenza della madre, scoppiava in pianto, suscitando in tutti un'emozione altrettanto forte.
Da qualche anno in famiglia c'è un nuovo arrivato, un fratellino per cui all'inizio Lisa ha provato gelosia (diceva di volerlo vendere al mercato), ma che ora difende come una leonessa quando la mamma lo sgrida per i disastri che combina. "Lo difendo", dice, " perché lui può fare tutto ciò che io vorrei ma non posso fare".
Ed ora vi racconto la storia di Flora. Venne da noi alcuni mesi dopo l'arrivo di Lisa, tra le braccia dei suoi genitori, una giovane e splendida coppia che l'aveva accolta ed accettata senza riserve e che era tutta protesa su di lei, la loro prima creatura. Era di alcuni mesi più piccola di Lisa ma presentava lo stesso quadro clinico, anche se, almeno in apparenza meno esasperato. Parlai a lungo coi genitori: avevano intorno una famiglia grande con tanti nonni, zii e cugini. Flora avrebbe avuto affetto e protezione da tutti e naturalmente avrebbe anche iniziato un adeguato programma terapeutico. Continuammo ad incontrarli di tanto in tanto: mantenevano la loro serenità, ma rifiutarono assolutamente l'idea della scuola materna. L'assistente sociale del comune di residenza ci telefonò preoccupata della resistenza della coppia ad ogni proposta di inserimento: volevano tenere il più possibile con loro la piccola, riabilitandola, ma senza staccarla dal contesto familiare. Era fragile, spesso ammalata e questo li mandava enormemente in ansia. Giunse il momento dell'iscrizione alla scuola elementare: mesi prima i genitori avevano però scelto di collocare la figlia per alcune ore al giorno in un centro dell'ANFASS destinato ad accogliere bimbi gravissimi e abbastanza vicino alla loro abitazione. Vi si recava al mattino per un programma vario di riabilitazione, di gioco e musicoterapia. Dopo il pranzo però tornava in famiglia perché questa riteneva troppo gravoso per la piccola un distacco troppo prolungato.
Incontrai il padre insieme ad un altro genitore, con il quale stavamo conducendo un lavoro di ricognizione sulla condizione di vita dei nostri iscritti con pluri-handicap. Flora per il secondo anno ancora non frequentava la scuola, il padre era accompagnato dal fratellino di quattro anni e si mostrava piuttosto reticente a parlare. Gli chiedemmo se non ritenesse utile inserire la bimba alle elementari anche se per alcune ore ben programmate e supportate, così da ottemperare all'obbligo scolastico. Ci rispose che per il momento non riteneva di doverlo fare: la bimba si trovava bene dov'era e in ogni caso loro non erano disposti né a sottoporla ad un inutile stress né a separarsene per troppo tempo, provavano il bisogno di "coccolarla", di tenersela vicino, di farla sentire protetta ed amata. Due anni dopo furono ancora una volta i genitori a richiamarci: la piccola era morta ed essi avevano vissuto il dramma di quella perdita come un trauma profondo, una ferita che non avrebbe mai potuto essere sanata. Si erano anche decisi a spostare la residenza in un altro paese. Il colloquio fu difficile e lunghissimo intercalato da molte pause. Ne uscii davvero sconvolta e mi interrogai a lungo su come avrei dovuto e potuto fin da subito stare loro vicino ed essere più propositiva.
Di Flora mi resta il ricordo struggente, di Lisa la gioia di una speranza che, piano piano potrà trasformarsi in certezze consolanti.
Ecco mi piacerebbe che su queste storie si aprissero da parte di tanti lettori riflessioni e confronti: sarà utile a tutti e sarebbe un dono di condivisione e di affetto per tanti nostri fratelli e per le loro famiglie.