Il mercato del lavoro caratterizzato, fino alla fine degli anni 80, dallo sviluppo industriale e da una costante crescita occupazionale, ma tutto sommato in lenta trasformazione sul piano dell’organizzazione del lavoro e dove la “popolazione” dei disabili visivi presentava una maggior percentuale di ciechi assoluti, è entrata in crisi e la figura dell’operatore telefonico, dopo aver garantito l’occupazione dei disabili visivi per oltre mezzo secolo, rischia di scomparire.
Con il profilo professionale, oggi risulta inadeguato anche il modello formativo di quegli anni mirato ad “addestrare” allo svolgimento di professioni “standardizzate”.
Nell’attuale contesto lavorativo sempre più complesso, in veloce e costante evoluzione e mutamento, con professioni che si concretizzano applicando modalità operative e procedure in continua evoluzione che, a seconda dei contesti, possono realizzarsi in condizioni molto diversificate tra loro e dove l’impiego delle nuove tecnologie è determinante, non si tratta tanto di individuare percorsi formativi riferiti a specifici profili professionali, occorre innanzitutto rendere il disabile visivo capace di “muoversi” in questo contesto, fornendogli le competenze di base necessarie: una buona autonomia personale nel muoversi e nell’utilizzo degli “strumenti” per il lavoro, lo sviluppo di capacità di relazioni positive e una buona conoscenza e competenza nell’uso delle nuove tecnologie.
Queste ultime, che pervadono ormai ogni professione, hanno ampliato a dismisura la possibilità di “accesso” ed elaborazione dei documenti e possono consentire oggi ai non vedenti una operatività “alla pari”, in lavori prima impensabili permettendone l’inserimento in molteplici “situazioni di lavoro”.
Si tratta di cercare la possibilità di inserimento in “situazioni” e non “in nuove professioni”: è in questo che sta la profonda differenza nell’inserimento dei disabili visivi nella nuova organizzazione del lavoro nella società postindustriale, tranne rarissime eccezioni, non si tratta più di individuare specifici profili professionali “di massa” e di predisporne i percorsi di formazione, ma piuttosto della ricerca di quelle “situazioni operative” nelle quali il disabile visivo che abbia i titoli di studio e/o accademici previsti per l’esercizio della professione, possieda le competenze e le capacità di base sopra indicate possa esprimere appieno le sue capacità lavorative.
È questa la modalità di approccio al problema adottata dall’I.Ri.Fo.R. nella ricerca di nuove opportunità di lavoro per i disabili visivi. Questo modello operativo, che muove dalla valutazione delle capacità individuali, se è vero che apre nuove opportunità lavorative ai ciechi assoluti ,è ancor più vero che è l’unica idonea a favorire il collocamento degli ipovedenti, categoria, questa, percentualmente sempre più numerosa tra i disabili visivi e ancora troppo spesso dimenticata. Vale la pena di ricordare che, in questi anni, a questi nostri amici, essendo impedito l’accesso a causa dell’elevato residuo visivo ai corsi per centralinisti e fisioterapisti, spesso è stata preclusa ogni possibilità di lavoro, mentre, al contrario, per loro le situazioni di lavoro nelle quali essi potrebbero essere “lavoratori alla pari” dei normovedenti, sono decisamente superiori, in particolare nell’ambito delle professioni a non elevata specializzazione.
Questa modalità operativa fondata sull’attenzione allo sviluppo e sulla valorizzazione delle capacità individuali mirata alla individuazione delle “situazioni operative” che possano rappresentare una specifica opportunità di lavoro per l’individuo, potrà anche incrementare il numero dei “collocamenti mirati” per quei soggetti che, oltre alla disabilità visiva, abbiano anche qualche difficoltà aggiuntiva e per i quali, quasi mai vi sono state prospettive concrete di inserimento lavorativo.
Per questo era necessario “guardare oltre”, senza continuare a “crogiolarsi” sui successi di un passato, anche se “glorioso”, e superare quei” modelli formativi” che non sono più idonei per rispondere ai bisogni occupazionali di oggi, operando una vera e propria “rivoluzione copernicana” nel metodo di ricerca. Non partire più dallo studio di specifici profili professionali sui quali sviluppare percorsi formativi coi quali preparare i disabili visivi all’inserimento lavorativo, ma, muovendo da un “bilancio delle competenze” del soggetto, svilupparne le capacità e prepararlo a “potersi adattare” alla situazione lavorativa nella quale concretamente si esplica una determinata professione e per far ciò con successo, per procedere alla ricerca e individuazione delle situazioni lavorative idonee al collocamento, occorre operare in stretta collaborazione tra associazioni di disabili e con le associazioni datoriali, le organizzazioni sindacali, gli ordini professionali ed in sinergia con i servizi sociali ed i centri per l’impiego e le Società per il lavoro interinale del territorio.
È questo il metodo applicato dall’I.Ri.Fo.R. nella sua ricerca di nuove opportunità lavorative di nicchia ad alta qualificazione da offrire ai giovani laureati con disabilità visiva. In collaborazione con l’Associazione italiana di fonetica forense, un gruppo di periti e alcuni laboratori di fonetica operanti per diversi tribunali e l’Università della Calabria, per primi nel nostro paese dove le intercettazioni telefoniche ed ambientali sono trascritte da persone prive di preparazione specifica, abbiamo formato il primo gruppo di giovani laureati a svolgere il lavoro del “Tecnico dell’analisi e trascrizione di segnali fonici e di gestione della perizia di trascrizione in ambito forense”,: questa la denominazione data alla qualifica dalla regione Toscana all’atto del suo riconoscimento. Allo stesso modo, collaborando con la prima Società di mediazione iscritta nell’elenco degli enti riconosciuti per la mediazione civile istituito nel 2010 presso il Ministero della Giustizia e con il loro Ente di formazione, abbiamo preparato all’esercizio della nuova professione di “mediatore civile e commerciale” un altro gruppo di laureati con disabilità visiva.
Infine per fornire nuove opportunità ai nostri giovani, in stretta collaborazione con una società “sviluppatrice” di questo prodotto in Italia, stiamo valutando l’accessibilità digitale di una “piattaforma” per help desk così da consentire anche ai disabili visivi lo svolgimento di questa nuova professione .
Con la stessa metodologia di lavoro “in rete “, con il progetto “Occhio allo svantaggio” realizzato con i finanziamenti del P.O.R. Sardegna, abbiamo realizzato una sperimentazione per tentare il reinserimento di un gruppo di disabili visivi adulti con bassa scolarizzazione collaborando con le associazioni datoriali e gli EELL e le aziende pubbliche e private della provincia del Medio Campidano. Con essi abbiamo sviluppato un percorso di formazione di base utile a reinserire nel mondo del lavoro alcuni disabili visivi ultra quarantenni di quel territorio e privi di specializzazione e a bassa scolarizzazione.
Questo nostro impegno tuttavia, stante il particolare momento di crisi, non ha prodotto gli effetti sperati: nonostante la preparazione dei disabili visivi e l’individuazione delle “situazioni di lavoro” possibili, gli ostacoli al loro effettivo inserimento lavorativo non mancano, oltre alle difficoltà generali derivanti dalla attuale “depressione” dell’offerta lavorativa, causa questa della difficoltà di inserimento degli amici sardi, vi sono state specifiche cause per il permanere di difficoltà negli inserimenti lavorativi.
In particolare per i tecnici trascrittori forensi, il maggior ostacolo è rappresentato dalla mancata istituzione (voluta) da parte del Ministero della Giustizia di uno specifico elenco di Periti tecnici forensi da mettere a disposizione dei tribunali dal quale i giudici debbano attingere per poter disporre di “esperti qualificati” all’interpretazione delle intercettazioni e dalla “non accessibilità” di alcuni sofware normalmente utilizzati per l’analisi e l’elaborazione dei segnali audio.
Per i neo mediatori civili la recente obbligatorietà della mediazione civile e la sua successiva eliminazione avvenuta nel 2012da parte della CC, a causa di un ricorso alla Corte Costituzionale e ripristinata solo da agosto 2013, interrompendo il diffondersi e lo sviluppo nel ricorso a questa modalità di risoluzione delle controversie, ne sta ritardando l’occupazione.
Il maggior ostacolo al concreto inserimento dei disabili visivi, che mette a rischio il loro inserimento socio-lavorativo, non ha nulla a che fare con la crisi occupazionale, ma dipende unicamente dalla mancanza di una cultura dell’accessibilità digitale, cosa che in una organizzazione del lavoro basata sull’utilizzo delle nuove tecnologie, ne impedisce l’accesso a molte “situazioni di lavoro” resta a prescindere dalle capacità e competenza dei singoli individui.
La non “accessibilità digitale” di molti sofware gestionali e delle piattaforme digitali utilizzati nei processi di lavoro e nella gestione dei servizi aziendali, preclude di fatto ai disabili visivi professioni quali il “recupero crediti”, la “gestione ed analisi dati”, l’operatore di help desk , solo per ricordarne alcune e questo solo perché i prodotti informatici utilizzati continuano ad essere progettati senza rispettare le norme sull’accessibilità digitale.
Luciano Paschetta