Il permesso per abbattere le barriere architettoniche non occorre. A stabilirlo è la terza sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 38360 del 18 settembre 2013. La Suprema Corte ha, poi, sottolineato che per quanto concerne la definizione di «barriere architettoniche» per i soggetti disabili, deve ricordarsi che: «le opere funzionali all’eliminazione delle barriere architettoniche sono solo quelle tecnicamente necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e non quelle dirette alla migliore fruibilità dell’edificio e alla maggior comodità dei residenti» (si veda anche Tar Campania, Salerno, sez. 2, 19 aprile 2013, n. 952; Tar Abruzzo, Pescara, sez. 1, 24 febbraio 2012, n. 87; Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. 1, 8 novembre 2011, n. 526). Ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera b), del Dpr n. 380 del 2001, tali opere rientrano nell’attività edilizia libera qualora «consistano in interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio».
Qualora vi sia, invece, la realizzazione di rampe o ascensori esterni o manufatti che comunque comportino un’alterazione della sagoma dell’edificio, trattandosi di opere non ricomprese nell’art. 10 trova applicazione l’art. 22 dello stesso Dpr, a norma del quale sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’art. 10 e all’art. 6.
I giudici osservano, poi, che a tale disposizione si sovrappone oggi l’art. 19 della Legge n. 241 del 1990, come modificato dal Dl n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 122 del 2010, il quale consente che, per le opere soggette a Dia ordinaria, si proceda, in via semplificata, con Scia (Segnalazione certificata di inizio attività). Tale è l’interpretazione autentica data dall’art. 5, comma 2, lettera c), del Dl n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106 del 2011, il quale prevede che: «Le disposizioni di cui all’articolo 19 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal Dpr 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire».
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)