La sciagurata abitudine di tanti vedenti di non farsi riconoscere in modo adeguato da noi ipovedenti
Qualche giorno fa, mentre mi recavo a compiere una commissione, nel passare davanti al portone del medico di famiglia, venni intercettato, con un roboante “Buongiornooo!”, da una misteriosa signora. Dal suo modo di appellarmi sembrava essere una vecchia conoscenza, ma io non ricordavo per niente quando, come e dove l’avessi conosciuta. Pensai potesse essere una paziente del medico con la quale, in una lontana occasione, durante le lunghe attese in sala d’aspetto, avevo avuto una di quelle anonime conversazioni sui rispettivi stati di salute. Io, ipovedente con un basso residuo visivo, solitamente riesco a distinguere una persona dalla sua conformazione fisica generale, perché i lineamenti del viso risultano sfuocati e non distinguibili; ovviamente, quando conosco bene una persona, mi è sufficiente il saluto per riconoscerla, ma in certi casi questo non basta, ed allora la situazione si fa ostica.
In effetti, è una maledetta, e diffusa, abitudine di molte persone vedenti quella di abbordare noi ciechi ed ipovedenti senza farsi riconoscere chiaramente, supponendo che il loro timbro di voce sia più che sufficiente ad identificarli: mi succede sovente di incontrare persone per strada che conosco e che mi fanno un cenno di cui non mi accorgo, con il risultato di sembrare scortese per non aver restituito il saluto. Mi è capitato nel passato che alcune persone abbiano smesso di salutarmi per questo! E’ decisamente una mancanza di cultura circa i minorati della vista, quella di approcciarsi in maniera sbagliata ad una persona con problemi visivi; per un cieco assoluto la questione non ammette dubbi, ma per chi come me e tanti altri pur avendo un basso residuo visivo, riesce a muoversi in autonomia, la situazione è alquanto antipatica e conduce sovente ad esiti imbarazzanti.
Torniamo alla donna del mistero che incontrai davanti al portone del mio medico: senza attendere una mia risposta, ha iniziato a raccontarmi la storia della sua vita. Ha quarantasette anni, il suo mestiere è quello della parrucchiera, il marito l’ha abbandonata quattro mesi fa perché frequentava una donna più giovane, e la solitudine è per lei insostenibile. Mi ha quindi invitato a bere un caffè da lei e, di fronte al mio diniego (avevo da fare!), mi ha preso sotto braccio trascinandomi all’interno del portone. Dopo avermi accompagnato all’ascensore mi ha riferito che abita al primo piano e che la porta del suo appartamento è quella di centro. Visto il mio recalcitrare mi ha fatto promettere che nel pomeriggio sarei passato a prendere il famoso caffè. Per liberarmene le dissi di sì, e a fatica riuscii a guadagnare la libertà, nonostante lei tentasse di placcarmi davanti all’uscita. Un fatto è certo: ancora oggi, non ho la più pallida idea di chi sia. Di sicuro, la prossima volta che mi recherò dal medico di famiglia, mi farò accompagnare da mia moglie come guardia del corpo. Io, d’altronde, sono come l’arma dei carabinieri: fedele nei secoli!
Qualche giorno dopo, raccontando l’episodio ad un mio caro amico non vedente al quale è rimasta la curiosità di come fosse andata la faccenda del caffè, appreso che alla fine il caffè non l’avevo mai bevuto, mi ha detto che ero tutto scemo e mi ha chiesto se potevo cortesemente fornirgli l’indirizzo della signora…