In questi giorni abbiamo letto quotidianamente agenzie di stampa che sottolineano la mancanza di docenti di sostegno (e quando ci sono la loro non specializzazione), Conseguenza: le famiglie vengono invitate a tenere a casa i loro figli con disabilità in attesa che la situazione del personale si “normalizzi”. Prima accusata la legge 107 sulla buona scuola, dimenticando che se è vero che le difficoltà nell’avvio dell’anno scolastico quest’anno sono state acuite dall’intrecciarsi di regole del nuovo ed il vecchio sistema di mobilità del personale in particolare in riferimento ai vincitori di concorso. A chi semplicisticamente ritiene responsabile di tutto la legge 107 sulla “buona scuola” va anche ricordato che gli effetti sull’inclusione di questa legge sono, al momento, nulli : le nuove norme previste, demandate ad un decreto delegato, non sono ancora state emanate. La causa profonda di quanto sta accadendo agli alunni con disabilità viceversa sta nella pericolosa “deriva” verso la delega del disabile al docente di sostegno interpretato come il “garante” dell’inclusione, che ha ormai pervaso il nostro modello e che, tra l’altro, per la scolarizzazione dei nostri ragazzi ha creato più danni che vantaggi.
I ritardi di questi giorni nelle nomine hanno solo reso evidenti e messo a nudo le contraddizioni dell’attuale modalità di realizzare ‘l’integrazione degli alunni con disabilità. La contraddizione avverso la normativa: la legge fa obbligo alla scuola di accettare tutti gli alunni con disabilità, nessuna norma subordina la loro accettazione in classe alla presenza o meno del docente di sostegno, ma una contraddizione ancora più grave la rileviamo rispetto ai principi pedagogico didattici che stanno alla base della corretta cultura dell’inclusione : impedendo all’alunno con disabilità di frequentare se manca il docente di sostegno, di fatto si legittima, che ai docenti titolari non competa insegnare all’alunno con disabilità e che non siano loro i responsabili del suo apprendimento, quasi egli appartenesse ad una scuola “altra”.
Scuola “altra” la cui presenza sembra essere stata in qualche modo “riconosciuta” quando per l’inclusione degli alunni con disabilità o con bisogni educativi speciali anziché chiedere alle scuole la progettazione di un P.T.O.F inclusivo (Piano triennale dell’offerta formativa) si è richiesto loro la redazione di un documento separato in riferimento all’inclusione: il P.A.I. (Piano annuale per l’inclusione) quasi che si trattasse di qualcosa particolare al di fuori del PTOF. Tutto ciò evidenzia lo stato di “malessere” della nostra scuola nei confronti della scolarizzazione degli alunni con disabilità e come questo sia causato dalla “distorsione” del nostro attuale modello di inclusione che, sempre più incentrato sul docente di sostegno, si allontana sempre più dai principi della “uguaglianza di opportunità”,, della “scuola per tutti e per ciascuno “, della “progettazione for all” e, dal contesto culturale nel quale ci riconoscevamo “tutti uguali, tutti diversi”, che, negli anni ‘70’, aprì la scuola di tutti a tutti. Questo modello di inclusione che fa del docente di sostegno il “garante” dell’inclusione è destinato a far fallire il processo stesso di integrazione: l’inclusione ha alla base la relazione positiva con l’altro (compagni, docenti e personale tutto), in attività comuni in gruppo, questo non lo garantisce il docente di sostegno ma il “contesto”.
Senza un contesto scuola inclusivo che favorisca rapporti positivi con i compagni, dove il docente titolare si occupa dell’alunno con disabilità, dove il disabile partecipa alle iniziative di pos ed extra scuola con i compagni, dove i vari ambienti siano accessibili, così come i libri ed i documenti, dove egli possa trovare gli strumenti ed i sussidi che gli permettano di seguire in pari opportunità, o comunque secondo le sue possibilità, l’attività didattica, è difficile si sviluppi un positivo processo di inclusione. Garante dell’inclusione non è e non può essere il docente di sostegno, ma un contesto che sa accogliere in pari opportunità l’alunno con disabilità e ne favorisce l’inclusione nelle diverse attività.
Noi come associazione, nonostante l’impegno, non potremo incidere più di tanto sul cambiamento della organizzazione della scuola, ma possiamo e dobbiamo fornire il necessario sostegno alle scuole per renderne il “contesto” inclusivo per i ragazzi con disabilità visiva fornendo il nostro competente supporto. All’interno delle nostre diverse istituzioni : Federazione delle istituzioni pro ciechi, Biblioteca Regina Margherita, IRIFOR e UICI sono presenti competenze e servizi che possiedono le potenzialità per farlo. Il Network, voluto dalla nostra presidenza nazionale, dopo aver messo a fuoco i principali problemi e definito le linee di intervento, ha oggi davanti a sé la sfida più importante: tradurre le idee in prassi, sviluppando un “sistema” nazionale di sostegno alle famiglie ed alle scuole. All’interno delle nostre diverse istituzioni sono presenti competenze, strumenti, buone prassi ed eccellenze, spesso sconosciute a genitori e scuole, si tratta di farle “uscire dall’oblio”, condividerle ed organizzarle in una rete strutturata a livello nazionale capace di interagire con le scuole, gli altri centri di supporto all’inclusione previsti dal MIUR: CTS e CTI e gli altri servizi del territorio. Una rete, che, definita la mappa delle strutture e delle competenze presenti, messa insieme e condividendo risorse e strategie, realizzi un “servizio nazionale di sostegno all’inclusione”. Un servizio che partendo dalle attuali risorse presenti sul territorio (Centri tiflodidattici, ex istituti per ciechi, Cooperative per l’assistenza tiflopedagogica, stamperie braille, centri di ipovisione, BIC, Museo Omero, sedi UICI e IRIFOR con specifici servizi di supporto all’inclusione, ecc.) “li riorganizzandoli in un unicum”,, ne definisca il livello dei servizi erogati sulla base di alcuni criteri quali ad es. le competenze tiflodidattiche e tifloimformatiche, i sussidi ed i materiali didattici disponibili, la capacità di formazione tiflopedagocica, il numero e la qualifica degli operatori, le strutture (aule e attrezzature), individuando: Centri di sostegno di base di I libello, Centri di sostegno più specializzati di II livello, Centri di eccellenza riferiti a specifiche competenze a livello nazionale, capaci di fornire percorsi formativi avanzati e/ sussidi particolari.
Un servizio nazionale per l’inclusione che a sua volta “entri” nella rete dei servizi offerti da altri enti (associazioni e organizzazioni di disabili, enti pubblici, cooperative, consorzi socioassistenzali, ecc.). Un portale dove il tutto venisse presentato in modo organico, potrebbe essere la vetrina della nostra proposta per far conoscere e offrire ai genitori, ai docenti ed agli operatori tutti, quel “sostegno al contesto”, famigliare, scolastico e sociale capace di renderlo inclusivo per i nostri ragazzi e attento ai loro bisogni. Concretamente avremo una organizzazione strutturata che ci consentirà di proporci alle scuole per incontrare i consigli di classe e agli operatori delle realtà locali che erogano servizi integrativi ed orientarli verso il servizio più idoneo che potrà aiutarli a costruire percorsi socioeducativi mirati al piano sviluppo del ragazzo con problemi di vista.
Potremo organizzare ai diversi livelli (provinciale, regionale o nazionale (attività di formazione qualificata per genitori e per docenti, ma anche per educatori ed assistenti. Potremo fornire agli altri servizi territoriali per la disabilità presenti sul territorio la informazioni necessarie per orientare genitori e scuole a rivolgersi al nostro sevizio. Sapremo indicare a docenti, genitori e educatori all’autonomia e alla comunicazione ed agli assistenti domiciliari dove trovare e come utilizzare i necessari sussidi per lo studio, per l’autonomia personale e per il gioco ed il tempo libero; come avere a disposizione una audioteca dove trovare audiolibri, riviste e quotidiani. Realizzare un servizio nazionale per il sostegno all’inclusone delle persone con disabilità visiva, questa la sfida che ci viene dalla situazione della nostra scuola, alla quale siamo chiamati a rispondere, per farlo non sono necessari interventi “esterni”, o legislativi, né delibere di enti locali, dipende solo dalla capacità e dalla volontà delle nostre diverse istituzioni di “fare squadra”, superando personalismi e individualismi, mettendo in comune esperienze, competenze e risorse, lavorando insieme su obiettivi comuni. Questo lo spirito che ha caratterizzato i primi passi del gruppo di lavoro del Network )e, chi ben incomincia E che serve per vincere la sfida dell’inclusione reale per i nostri ragazzi, una sfida che non possiamo permetterci di perdere.