E’ venerdì 18 settembre. La sveglia suona alle 6 del mattino. Mi alzo felice perché so già che la giornata che mi aspetta sarà molto speciale: devo andare al Museo Omero di Ancona per vedere la mostra “Il Rinascimento oltre l’immagine”.
Il mio sarà un lungo viaggio: parto da Udine con Marco, un amico che conosce l’”Omero” solo di nome. “Vieni con me alla mostra?”, gli domando qualche giorno addietro e lui, entusiasta, accetta il mio invito. Le ore di viaggio sono parecchie, ma non m’importa.
Amo l’arte da quando, alunna di seconda media, chiesi qualcosa alla mia professoressa sugli stili romanico e gotico e lei mi rispose: “Non è necessario che tu capisca, basta che mi impari a memoria ciò che sta scritto sul libro e l’interrogazione andrà bene!”. Se avessi ricevuto uno schiaffo, mi avrebbe fatto meno male… Conosco il Museo Omero da alcuni anni e quando posso ci torno sempre molto volentieri. Se potessi, darei ad Aldo Grassini e Daniela Bottegoni una medaglia: sono stati loro due a volere questo museo, poiché l’arte deve essere di tutti e per tutti, anche di chi, come noi, non può guardarla con gli occhi ma con le mani. Già, perché anche “vedere” un’opera col tatto suscita forti emozioni: basta concentrarsi su quello che si sta toccando, ascoltarsi dentro e lasciarsi andare. Non è poi così difficile…
Sono le quattro del pomeriggio. Io e Marco arriviamo presso la Mole Vanvitelliana, la sede dell’”Omero” da poco più di un paio d’anni.
Prima d’ora non ci ero mai andata. Sento da subito che mi trovo in un luogo magico, dove lo spazio e il tempo non hanno posto: sembra di stare in un’altra dimensione… All’entrata ci accolgono le due ragazze che ci faranno da guide alla mostra: sono simpatiche, cordiali, spigliate e da subito mi sento come se le avessi conosciute da sempre…
Entriamo e troviamo la prima statua che ci aspetta: si tratta di un “Oratore” in terracotta. Noto subito la capigliatura imponente “a scodella”, le rughe sulla fronte e sotto gli occhi, la bocca aperta
nell’atto di parlare… “Chissà quante cose mi racconterai”, gli sussurro… Poi arriva anche la musica: un coro rinascimentale che suscita in me il senso della purezza, della sobrietà, della solennità.
Le note alte mi fanno immaginare dei monaci in una chiesa del ‘400 che con le loro soavi voci innalzavano la loro anima a Dio. Mi sento pervasa da un moto di ammirazione per quegli uomini e rifletto… Quanto mi sento vicina a loro, ma lontana da quel Dio che sento spesso troppo al di sopra di noi… Ma è lui ad essere così al di sopra di tutto, oppure sono io che non mi fermo abbastanza a cercarlo ed ascoltarlo?
Sono talmente presa da questa domanda che non mi accorgo che nella stanza aleggia un profumo intenso e pungente. E’ una delle guide che mi riporta al qui ed ora, domandandomi se riconosco quell’odore. Ho un attimo di esitazione: quella fragranza mi è familiare, però non riesco a ricordare di che si tratta… “La si ripone spesso nei cassetti della biancheria”, mi suggerisce la guida. “Ma certo – faccio eco io – lavanda!”. La uso anch’io, proprio come facevano le donne del Rinascimento: certe abitudini non conoscono lo scorrere del tempo…
La visita prosegue. Adesso mi trovo a “guardare” la “Donna con cornucopia”. Avverto subito la ruvidezza del marmo in diversi punti della scultura: mi piace quel ruvido, che mi fa pensare a qualcosa di perfetto ma non troppo, di finito ma non abbastanza, di sublime ma anche di terreno… Le mie mani scorrono libere sulla superficie e colgono la proporzione e l’armonia delle forme, la ricchezza dei particolari la maestosità e la semplicità dell’opera… Mi sembra quasi di sentire lo scorrere dell’acqua, il canto degli uccelli, il richiamo di quella natura dalla quale tutto proviene ed alla quale tutto ritorna e che noi uomini, dotati di ragione e d’intelletto, troppo spesso sappiamo solo violare, in nome del progresso e del nostro egoismo. E mentre indugio sulla scultura, mi viene in mente quel meraviglioso “Cantico delle creature” scritto da quel Francesco di Assisi che seppe creare fra l’uomo e la natura un tutt’uno pieno d’amore e di armonia. Quanto dovremo tornare indietro, rifletto mentre proseguiamo nel nostro cammino…
Giungiamo ad un “tondo” raffigurante una “Nobildonna”. La superficie è liscissima come il marmo ma non fredda, a differenza di questo.
Domando alla mia guida di che materiale è fatta l’opera e lei mi spiega che si tratta di terracotta invetriata. Non avevo sentito mai parlare di quel materiale… Le linee del volto sono ben evidenti al tatto e mentre lo osservo vedo una donna dai lineamenti dolci e marcati, forti e decisi, essenziali eppure completi. Niente è superfluo e fuori posto: tutto quello che ci deve essere c’è, niente di più e niente di meno. Immagino di avere di fronte a me quella gran dama che mi raffiguro dal carattere forte e impetuoso, sensibile e duro, severo e giusto. Vedo in lei una perfetta capofamiglia e una grande leader… “Chissà com’era veramente”, mi chiedo. E concludo che infondo il bello di un’opera d’arte è che ognuno di noi ci mette del suo e la fa propria.
Ci fermiamo di fronte ad un’altra donna, questa volta scolpita nel legno. E’ l’”Annunciata”. Il legno è rovinato in più punti, ma anche in questo – io credo – sta la bellezza di un materiale che è vita e che come la vita risente dell’inesorabile scorrere del tempo. La scultura manca delle braccia che – mi racconta la guida – le furono tolte per agevolarne la vestizione (dopo la Controriforma – prosegue ancora la guida – le sculture sacre venivano ricoperte di ricche vesti per renderle più umane agli occhi dei fedeli). “Nulla è perfetto”, penso fra me e me: infondo la realtà è proprio così. Il legno è sapientemente scolpito, si sentono molto bene le pieghe della lunga veste, la rotondità del grembo appena accennata, i tratti dolci del volto, l’elaborata capigliatura. E mentre la osservo un’emozione mi coglie: quella dell’essere madre… E ripenso all’attimo in cui fui certa di aspettare un figlio: lo seppi ancor prima di avere i risultati delle analisi: certe cose si sentono e non hanno bisogno di spiegazioni né di conferme… L’”Annunciata” è bellissima: mi piace così tanto che ci ritornerò prima di lasciare la mostra, inviandole un bacio, ma solo col pensiero. “Arrivederci, Madre dolcissima”, è stato il mio saluto.
Dal legno passiamo al bronzo. Ci sono molte opere, tutte di piccole dimensioni e tutte ricchissime di particolari. “Come avranno fatto quegli artisti a creare lavori così perfetti in spazi così minuscoli?”, mi domando. Soprattutto mi colpisce un calamaio: le punte delle chele del granchio che schiaccia una rana sono affilatissime… e della consistenza di uno spillo. Dubito che le nostre moderne stampanti 3D saprebbero creare oggetti meravigliosi come questi. Dalle sculture passiamo ai dipinti, resi accessibili anche a chi non vede dagli operatori del Museo grazie al sistema a microcapsule. Il risultato è di un materiale che sembra quasi velluto e che trovo molto gradevole al tatto. Il bello traspare anche da cose come queste… Ecco, allora, la “Donna con colomba”, dai contorni semplici e ben delineati. Guardandola, penso ad una fanciulla allegra, spensierata, innamorata della natura e della vita, proprio come quella “donzelletta che vien dalla campagna in sul calar del sole”. “infondo, Recanati non è poi molto lontano da qui”, penso mentre affiorano alla mente i molti ricordi di scuola…
Dipinti e sculture si succedono, dal primo piano passiamo al secondo piano della mostra, dove la lavanda cede il posto allo zenzero, mentre siamo sempre accompagnati dalle solenni note del coro. Le ore trascorrono senza che io me ne accorga. Sono passate le 18 e la visita volge ormai al termine. Arriviamo all’ultima scultura: la “Madonna in trono con bambino”. Quando la guida mi dice che è di Donatello, quasi mi sento mancare… Toccare quella terracotta e pensare che fu proprio quel grande artista a scolpirla giorno per giorno nella sua bottega… Che emozione! Le parole non riescono a descriverla… Mi concentro sull’opera.
“Non vedo una Madonna col Bambino Gesù, ma una mamma qualunque con un figlio qualunque”, dico alla guida. Le mie mani vedono non una donna che adora il figlio di Dio, ma una mamma che ama la sua piccola creatura.
Vedono quel legame che come un filo sottilissimo, impalpabile, perenne, unisce così profondamente colei che mette al mondo e colui che viene alla luce… E’ impossibile non commuoversi… Qualche lacrima mi sale agli occhi, ricordando che proprio il giorno prima, il mio più grande tesoro è diventato maggiorenne…
Con le nostre guide, io e Marco scendiamo le scale per avviarci all’uscita.
Sono contenta di essere venuta alla mostra; avrei voluto tornarci un’altra volta per guardare con calma di nuovo tutte le opere da sola per fissare per iscritto, come in un diario, ogni emozione, ogni
sensazione… So che non ce la farò… Vorrà dire che sarà per la prossima occasione.
Lorenza Vettor