Nel corso del convegno che si è svolto a Milano il 14 marzo u.s. e del quale ho parlato in un precedente articolo, mi ha particolarmente colpito la testimonianza di due non vedenti sottoposti all’impianto della retina artificiale. I loro resoconti e la proiezione di documentari nei quali si dimostrava quanto gli impianti fossero utili a consentire agli interessati una seppur ridotta autonomia personale, hanno stupito tutti i presenti. Uno degli intervistati ha raccontato che, potendo finalmente riconoscere la sagoma di una persona che gli è cara, istintivamente l’ha abbracciata: un comune gesto di affetto, a cui prima però non era avvezzo, proprio a causa della sua condizione visiva.
In quel contesto, il mio pensiero è andato ad un conversazione che ebbi qualche giorno prima con mio figlio, al quale spiegavo i notevoli limiti degli esiti forniti dall’impianto della retina artificiale, dovuti alla scarsezza della risoluzione dell’immagine; in quella sede, gli esprimevo la mia perplessità circa il rapporto tra costi/benefici dell’impianto: il dollaro oggi è molto forte, quindi l’acquisto del microchip necessario all’impianto supera attualmente i 120-130 mila euro. La clinica oculistica dell’Ospedale San Paolo, che vorrebbe avviare la sperimentazione della retina artificiale, è da tempo alla ricerca di fondi, che però al momento sono inesistenti: ciò rende costantemente attuale la riflessione sul rapporto costi/benefici di questo filone di ricerca.
Sull’argomento, mio figlio Massimo, alquanto polemico di natura nei miei confronti, mi ha bacchettato, ma questa volta, lo devo ammettere (e ne sono felice) aveva ragione: “Papà – mi ha spiegato, lui che è ingegnere e con la matematica ha una certa confidenza – se ad una persona che ha due decimi di vista tu migliori la qualità della visione, ottenendo tre decimi, vuol dire che hai un beneficio del 50%. Ma quando parti da zero e ottieni una visione seppur minima, non puoi calcolare una percentuale di beneficio, perché allo zero nessuna percentuale è applicabile: otterrai sempre zero. Dando qualcosa partendo da zero, otterrai un N per cento, qualcosa di non quantificabile, ovvero… un infinito”.
La sua considerazione di origine matematica mi ha lasciato a bocca aperta e mi sono reso conto che una valutazione sulla validità degli impianti di retina artificiale deve prescindere dal rapporto costi/benefici: perché il risultato, qualunque esso sia, significa “donare l’infinito” a chi ha perso per sempre quel dono inestimabile che è la vista. In quel momento, ho compreso quanto il Prof. Rossetti, Direttore della Clinica Oculistica dell’Ospedale San Paolo di Milano, aveva confidato nella riunione che con lui avevo avuto per l’organizzazione del convegno di cui ho parlato all’inizio, e cioè di essersi commosso incontrando un non vedente al quale era stata impiantata la retina artificiale; in quel momento mi ero meravigliato, poiché solitamente, per la loro attività sempre a contatto con i pazienti, i medici sono di rado coinvolti emotivamente con le vicissitudini di questi ultimi. La sua commozione mi parve un evento straordinario, ma ora ne comprendo il profondo significato.
Viviamo in un mondo nel quale le questioni finanziarie permeano ogni aspetto della quotidianità, e rischiamo di dimenticare sempre più spesso quella carica umana che dovrebbe essere alla base del rapporto tra le persone: si impegnano tante risorse in progetti inutili e di scarso valore sociale, e gli abusi che determinano sperpero e distrazione di denaro sono all’ordine del giorno. La mia sarà retorica, ma il pensiero di poter “donare l’infinito” mi pare un concetto affascinante e mi ha fatto cambiare idea sulla validità di questi nuovi interventi che non sono mera ricerca come qualcuno afferma. Grazie quindi al Professor Rossetti, e grazie anche a te, Massimo!
Donare l’infinito: Il delicato problema del rapporto costi/benefici in ambito medico, di Angelo Mombelli
Autore: Angelo Mombelli