Continuità didattica e progetto educativo nello schema di decreto 378 del 14 gennaio 2017, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

In questi giorni stiamo leggendo molte considerazioni sulle criticità presenti nello schema di decreto 378 del 14 gennaio, ma ce ne sono tante e diffuse anche negli altri;
la grande delusione di molti addetti ai lavori nella galassia delle associazioni delle persone con disabilità,
mi sembra concentrarsi ancora una volta sulle sorti dei docenti di sostegno,
sulla loro stabilizzazione nelle scuole per una durata pari al compimento di un intero ciclo scolastico al fine di garantire la continuità didattica oppure avere la opportunità di chiedere trasferimento alla stregua di qualsiasi altro docente:
ed è qui che mi sorge una domanda:
“ma è proprio vero che la continuità didattica è una variabile dipendente da un docente di sostegno? E perché non lo dovrebbe essere per qualsiasi docente di ogni disciplina?
Lo spirito e la lettera della famosa legge 2444 proposta da Fish e Fand di cui fortemente si è chiesto l’accoglimento nella costituzione dei decreti legislativi della cosiddetta buona scuola, non erano e sono centrati sulla presa in carico dell’alunno con disabilità da parte dell’intero consiglio di classe?
Non è, come in tanti abbiamo sostenuto, il progetto educativo che va costruito a misura delle potenzialità e delle difficoltà dell’alunno e in base al percorso vanno garantite risorse, competenze, adattamenti ai contesti e relative specificità?
Non sono, forse, al centro del piano educativo individualizzato, la specificità delle competenze, la loro convergenza verso l’obiettivo centrale del massimo potenziamento delle abilità individuali dell’alunno, della sistematicità dei saperi, della crescita armonica della personalità, della costruzione di relazioni interne ed esterne alla scuola, della partecipazione attiva a tutti i processi di socializzazione affinché, progressivamente, ciascun ragazzo possa divenire consapevole di sé, della propria soggettività e, dove possibile, giungendo a chiedere una diminuzione di sostegno a vantaggio, magari, di un incremento di altre figure di supporto più funzionali alla propria crescita umana e sociale? Non è questo, forse, l’iter inclusivo che dovremmo auspicare per i nostri studenti ciechi ed ipovedenti? Non intendo, con queste mie osservazioni, sminuire o delegittimare la necessità del sostegno, bensì affermare che da questa figura professionale non dipende tutto il processo formativo di nessuna persona, neppure se è un soggetto con pluridisabilità, perché ogni individuo possiede una molteplicità affettiva e di forme cognitive che possono regredire o accrescersi in base ai contesti e non per le qualità di una sola persona; è, per questo convincimento, che mi deriva dal mio lungo percorso professionale nelle scuole in cui ho insegnato e in quelle di cui sono stata dirigente, ma, anche, dalle attuali esperienze associative nel seguire studenti non ed ipovedenti nelle scuole di Napoli e provincia che traggo una conclusione: non è la continuità delle persone che fa la differenza tra buona o carente attività didattica, bensì la continuità delle competenze che la scuola è in grado di garantire; ed è questo, a mio modesto avviso, il punto sul quale la nostra associazione dovrebbe provare ad ottenere attraverso qualche emendamento al decreto 378, concentrando tutti i suoi sforzi le sue risorse.
Silvana Piscopo