Il lavoratore disabile che rivendica il diritto al trasferimento nella sede più vicina al proprio domicilio ha un onere della prova attenuato, potendosi limitare a indicare le sedi disponibili e le relative scoperture di personale mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare che il trasferimento verso tali destinazioni contrasta con le esigenze aziendali.
Questa la conclusione contenuta in un’ordinanza del tribunale di Roma del 31 agosto(numero 85622/2015), emessa al termine di una procedura d’urgenza attivata da un lavoratore che non aveva ottenuto il trasferimento presso una sede più vicina al proprio domicilio.
Il datore di lavoro aveva motivato il mancato accoglimento della domanda di trasferimento evidenziando che il dipendente non aveva un punteggio sufficiente, nell’ambito della graduatoria appositamente formata dall’azienda per gestire tali richieste.
Secondo l’ordinanza tale argomentazione non giustifica il diniego, poiché l’ordine della graduatoria non rileva nei casi – come quello oggetto della causa – nei quali il dipendente chiede di essere trasferito in virtù del proprio stato d’invalidità, accertato ai sensi della legge 104/1992.
In tali situazioni deve applicarsi l’articolo 33 della legge 104, nella parte in cui attribuisce ai lavoratori portatori di handicap il diritto di essere trasferiti nella sede più vicina al proprio domicilio.
Tale diritto, tuttavia, non è assoluto e incondizionato: la legge specifica che la domanda del dipendente deve essere accolta “ove possibile”, al fine di contemperare l’interesse individuale del lavoratore con le esigenze economiche, organizzative e produttive del datore di lavoro.
Per ottenere il trasferimento, quindi, il lavoratore deve assolvere un duplice onere della prova: deve dimostrare lo stato di handicap grave e deve provare la possibilità per il datore di lavoro di attuare il trasferimento.
Su quest’ultimo punto, l’ordinanza del tribunale prende una posizione
netta: al lavoratore non può essere chiesto di fornire una prova completa, ma è sufficiente che egli si limiti a indicare la sede nella quale ci sarebbero posti vacanti o comunque disponibili.
Di fronte a tale allegazione, l’azienda dovrà dimostrare che presso la sede indicata non ci sono le scoperture indicate o, comunque, non è possibile attuare il trasferimento.
Questa considerazione viene motivata con il cosiddetto principio di vicinanza della prova, in virtù del quale l’onere probatorio deve essere posto in capo al soggetto più vicino al fatto da provare e per il quale la prova risulta più agevole.
Diversamente, secondo la pronuncia, si porrebbe in capo al lavoratore un onere della prova impossibile da attuare, non avendo egli una piena conoscenza delle esigenze organizzative e produttive del datore di lavoro, e si svuoterebbe del tutto la tutela che la legge 104/1992 vuole offrire ai dipendenti disabili.
Per questi motivi, prosegue l’ordinanza, in capo al dipendente deve ritenersi sussistente, più che un onere della prova, un semplice onere di allegazione, che si concretizza nella necessità di dare indicazione dei posti vacanti.
Il tribunale esclude, infine, che il ritardo nella presentazione del ricorso d’urgenza costituisca argomento sufficiente per negare la sussistenza del cosiddetto periculum in mora, requisito necessario ai fini della concessione della tutela cautelare.
Il trascorrere del tempo, si legge nella decisione, può rendere più grave il pregiudizio subito da chi chiede la tutela, e quindi rende ancora più urgente la necessità di una tutela immediata.
Paolo Colombo