Giunta al termine di quello che considero un percorso educativo e formativo lungo cinque anni e condotto con i bambini/ragazzi, le loro famiglie, un team di collaboratori (operatore dell’attività motoria, pedagogista, psicologa, esperta di aptica e Braille, educatori e responsabile per l’informatica), insegnanti e naturalmente tutto il personale e i dirigenti UICI, una relazione sul lavoro svolto è anche un modo per comunicare agli altri un’esperienza che può dare avvio ad un dialogo produttivo di riflessione nell’ambito educativo e formativo per poter costruire sempre meglio un futuro di autonomia, di crescita culturale e di affermazione sociale dei minorati della vista.
L’importanza dell’istruzione è ormai un dato riconosciuto, un’istruzione che non è fatta solo di contenuti culturali, ma che permette anche di acquisire capacità spendibili nella vita di tutti i giorni avendo appreso ad apprendere e a trovare soluzioni in situazioni di problem solving. Inoltre oggi nell’agire educativo con i minorati della vista vanno coniugate tradizione e innovazione. Se infatti non si può prescindere da quanto è stato teorizzato dalla tiflologia e sperimentato negli istituti che fornisce una solida base per un progetto educativo mirato e strutturato, la tradizione oggi va rivissuta e rivista alla luce delle nuove tecnologie informatiche. Infatti la stessa insostituibilità del Braille è sostenuta e amplificata dall’informatica e moltissimi programmi sono disponibili per diversi ambiti, per gli ipovedenti e per i pluriminorati. Inoltre non si deve dimenticare che i bambini e i ragazzi appartengono al loro tempo e quindi hanno i bisogni educativi di una generazione che appartiene ad una società con richieste e modelli che fanno riferimento a contesti complessi.
Il rapporto con le famiglie è stato molto fruttuoso perché le famiglie sono interlocutrici necessarie e risorse insostituibili per costruire davvero percorsi di crescita che abbiano continuità e significato, e le mamme specialmente negli anni sono diventate sempre più collaboranti, si sono fatte più consapevoli e in generale più informate sui problemi e sulle risorse dei propri figli, sapendo cosa aspettarsi, come poter raggiungere le mete, a chi rivolgersi e quando farlo.
Le attività svolte sono state di due tipi: uno più istituzionale e uno più sperimentale.
Rientrano nel primo gruppo:
– seguire il processo educativo dell’alunno e dello studente non vedente a scuola, in famiglia e nelle attività extrascolastiche;
– favorire una realizzazione personale e una buona integrazione sociale mediata dalla cultura e da un corretto uso dei sussidi;
– incontri con famiglie, insegnanti di sostegno e curriculari, educatori pomeridiani;
– consulenza nelle scuole;
– organizzazione di corsi di Braille.
Per quanto riguarda il secondo gruppo si tratta di attività che prendono spunto dalla tradizione lasciando largo margine alla sperimentazione e all’individualizzazione. Così si è dato ampio spazio all’aptica e all’acquisizione dei prerequisiti per il Braille per due ragioni sostanziali: perché il saper toccare è fondamentale per conoscere e per l’autonomia; perché il Braille non è solo il sistema di letto-scrittura più congeniale per i minorati della vista, ma permette anche di educare alla gestione e alla padronanza delle microprassie fungendo così a sua volta da prerequisito per ulteriori apprendimenti, non ultimo l’utilizzo della tastiera del computer.
L’aspetto informatico è stato particolarmente curato e organizzato in base alla situazione di partenza e all’età di ogni discente, differenziando livelli, richieste e proposte; una specifica attenzione è stata rivolta alla pluriminorazione. Così si sono organizzati corsi che hanno mirato:
– all’apprendimento della tastiera, dell’utilizzo della sintesi vocale o dell’ingrandimento delle lettere, della videoscrittura e lettura;
– all’apprendimento della navigazione su Internet;
– all’utilizzo di specifici programmi per le diverse discipline e tra queste grande cura è stata riservata alla matematica.
L’attività motoria era importante nei vecchi Istituti e prevedeva un esercizio quotidiano che andava a strutturare e a consolidare attraverso il gioco la dimensione spazio-temporale per un buon controllo corporeo sia nel macro-spazio che nel micro-spazio. Si è puntato quindi molto sull’attività motoria, in particolare con i bambini in età prescolare, ma anche con i più grandi per una strutturazione del sé corporeo, una corretta posturalità (basata anche su esercizi di equilibrio statico e dinamico), una migliore gestione della spazialità; per i pluriminorati l’intervento è stato mirato a una maggiore padronanza dello schema corporeo, al controllo dello spazio propriocettivo ed esterocettivo e allo sviluppo della prensione.
Si sono gettate le basi per un intervento quanto più possibile precoce che parta già dalla fascia 0-3 anni perché non è mai troppo presto per cominciare ad apprendere e soprattutto per imparare ad apprendere. In questa fascia di età infatti i bambini possono già acquisire comportamenti e competenze utili per l’autonomia e sviluppare (attraverso il gioco) capacità di relazione con il mondo e con gli altri, acquisizioni che risultano tutte efficaci per contrastare certi rischi che il deficit visivo pone primo tra tutti l’apatia che tanti bambini mostrano causata proprio da mancata o insufficiente stimolazione.
La consulenza pedagogica ha assicurato che si cogliessero e seguissero le indicazioni concrete che aiutano a conoscere e a riconoscere le modalità migliori per assecondare i tempi e la specificità degli apprendimenti in presenza della minorazione visiva, che richiede un’attenzione particolare per costruire un approccio multimodale e multisensoriale alla realtà, per uno sviluppo dei sensi vicarianti e per un corretto strutturarsi del proprio sé corporeo.
Per rafforzare e ampliare il ventaglio di proposte educative, riabilitative e ricreative è stato realizzato il progetto “Arricreamoci” che ha conosciuto, in questi cinque anni, quattro edizioni e si è avvalso della collaborazione del comune di Mascalucia (prov. di Catania), del supporto di alcuni sponsor (che hanno messo a disposizione materiali, spazi e merende per i bambini), del gruppo di lavoro. Il progetto non è mai stato uguale a se stesso cercando di diversificare, fermi restando alcuni elementi e obiettivi ritenuti imprescindibili. Si è quindi proceduto ad organizzare spazi e attività sia per i bambini che per i genitori.
Per i bambini sono stati curati gli aspetti relativi all’autocontrollo, all’educazione al movimento (schemi motori di base ed adattati), alla conoscenza, manipolazione e utilizzazione del materiale ludico, al rapporto con i fratelli, all’approfondimento dei concetti di spazio e tempo spesso alterati per una mancata o insufficiente o inadeguata strutturazione, al potenziamento delle sensazioni tattili e cinestesiche attraverso specifici giochi. Inoltre i bambini hanno avuto modo di sperimentare sensazioni nuove, di condividere e di divertirsi in generale apprendendo anche con le seguenti esperienze: campeggio, cucina, fattoria didattica, attività in acqua (a mare e in piscina).
I genitori hanno acquisito tecniche di rilassamento per sé e riabilitative per i loro figli; hanno appreso elementi di pedagogia, psicologia e tiflologia; sono stati coinvolti in attività di manipolazione; sono stati guidati nella delineazione e discussione delle prospettive e possibilità di crescita dei loro figli. Inoltre i genitori non solo hanno avuto l’occasione di instaurare rapporti di amicizia tra loro, ma hanno anche potuto esporre, trasmettere e discutere le proprie esperienze, essendosi costruita un’atmosfera tipica di gruppo di autoaiuto in cui vengono a mancare le normali ritrosie a parlare di cose personali sentendosi rassicurati dal fatto di trovarsi tra persone che possono capire perché vivono nella realtà quotidiana gli stessi problemi e quindi non giudicheranno, ma saranno anzi in grado di rispondere empaticamente in un clima di reciprocità.
La presenza dei fratelli ha dato modo di approfondire gli aspetti relazionali e le dinamiche intra-familiari che si creano tra i bambini, e tra i bambini e i genitori. Il fratello viene il più delle volte investito di responsabilità che non è in grado di gestire perché è a sua volta un bambino che va preparato quindi con informazioni adatte all’età e alla maturità affettiva e personale in modo da vivere l’handicap come una realtà della famiglia senza ansia o vergogna o senso di inadeguatezza o iper-protezione.
Un’altra esperienza attraverso la quale bambini e ragazzi hanno potuto imparare divertendosi è stata quella in barca a vela nel mare delle Isole Eolie con partenza da Lipari attraverso Vulcano e Panarea sul veliero “Lady Lauren” grazie all’Associazione “I Tetragonauti” Onlus, che operano in collaborazione con il Centro “Helen Keller” di Messina. L’esperienza in barca prova che si può imparare sempre anche in situazioni che non sono intenzionalmente strutturate per l’apprendimento e lasciano spazio alla dimensione ludico-ricreativa fondata sulla rispondenza sociale che permette di stare insieme e di progredire insieme come gruppo oltre che come individuo.
Infine si è curato l’aspetto della proiezione all’esterno attraverso articoli sul quotidiano cittadino, rapporti con la TV locale e l’organizzazione di eventi o la partecipazione a manifestazioni. In questo senso è certamente da ricordare la Giornata dell’infanzia (20 novembre 2014) ospitata in una delle scuole della città in partenariato con il Comune e il Provveditorato che ha visto i bambini protagonisti nella doppia veste di festeggiati e di interpreti/primi attori.
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Catania: Relazione conclusiva attività commissione istruzione, di Rita Puglisi – Coordinatrice – anni 2011-2015
Autore: Rita Puglisi