Venticinque anni non sono bastati, di Luciano Paschetta

Autore: Luciano Paschetta

5 febbraio 1992 , 5 febbraio 2017: 25 anni di vita della legge 104, certamente una pietra miliare nella storia dell’integrazione scolastica nel nostro paese, ma che, nata “codificando” un modello di inclusione che si era venuto sviluppando a partire dalla legge 517 del 1977, non terrà conto che alcuni anni prima la sentenza 215 aveva aperto agli alunni con disabilità intellettiva le porte della scuola secondaria di secondo grado, limitandosi ad estendere a questi ultimi il modello applicato nella scuola dell’obbligo.
Lo stesso errore ha fatto chi ha interpretato il mio articolo “L’inclusione non la realizzano i giudici” come una manifestazione di volontà di escludere i disabili intellettivi dalla scuola: non era certo mio intendimento rispolverare vecchi concetti di ineducabilità dei disabili, ma muovendo dalla sentenza del giudice che assegnava un sostegno pari all’intero orario scolastico, sostegno che viene affidato al solo insegnante di sostegno, ho voluto sottolineare come ad un problema complesso come l’educazione di un disabile con gravi difficoltà di apprendimento, quella sentenza che affida alla sola scuola la soluzione del problema fosse assolutamente inadeguata a risolverlo.
Il giudice, infatti, anche in questo caso ha dimenticato che la legge prevede altre figure a sostegno dell’inclusione degli alunni con disabilità e che la scuola è inserita in un contesto, contesto che in casi come questo più che mai serve sia “educante”. La mia è la voce di chi da oltre quarant’anni si batte e opera a favore dell’inclusione dei disabili, di tutti i disabili, ma è anche l’esperienza di un ex dirigente scolastico di scuola secondaria di secondo grado che , ha sempre sostenuto che nel 1987 , quando la sentenza della C.I. ha aperto le porte della scuola superiore a tutti i disabili, andava fatta una seria riflessione pedagogica capace di costruire un modello veramente inclusivo per questo grado di scuola. Proverò a chiarire il mio pensiero e lo farò nel modo in cui ho sempre agito in questi anni : cercare di tradurre i principi in prassi operativa.
In estrema sintesi, possiamo dire che finalità della scuola dell’obbligo sia l’insegnamento e l’educazione alle diverse aree del sapere per fornire al bambino/ragazzo gli strumenti essenziali per la conoscenza e le competenze minime per la “comprensione” e organizzazione formale della realtà e per orientarsi nella scelta del suo futuro percorso scolastico. Diversa la finalità della scuola di secondo grado che deve invece fornire agli studenti competenze specifiche a secondo dell’indirizzo e gli strumenti per il loro futuro inserimento attivo nella società secondo le capacità e potenzialità di ciascuno e questa , se vogliamo che gli studenti con disabilità siano inclusi, deve essere la finalità anche per loro: al termine del percorso essi dovranno aver acquisito abilità e competenze che, sia pur commisurate alle loro potenzialità, gli permettano il massimo di autonomia e di inserimento socio-lavorativo possibile. Nel progettare il loro percorso formativo, però, non si può non tenere conto della crescente divaricazione della forbice dei saperi tra il disabile intellettivo ed i compagni. Tale divaricazione , differenziando sempre più gli obiettivi didattici e riducendo quelli comuni possibili , rende via, via sempre meno fruibile al disabile il dialogo didattico nella maggior parte del tempo scuola e ciò al di là delle metodologie utilizzate e delle “buone intenzioni”. Tutto ciò porta il disabile con grave ritardo di apprendimento ad un progressivo isolamento dal gruppo classe ed inevitabilmente rende sempre più difficile la sua reale inclusione , a meno che, ricorrendo al principio dell’”accomodamento ragionevole” si attivino percorsi formativi che coinvolgano anche dei compagni e dilatino il tempo scuola comune fruibile dall’alunno con disabilità , ma la scuola non ha quasi mai al suo interno le risorse per attuare simili percorsi, per farlo occorre agisca con l’aiuto ed in rete con altre agenzie educative. Quale esempio si pensi all’alternanza scuola-lavoro ed a come essa rappresenti una grossa opportunità in tal senso. Attorno ai progetti di alternanza scuola-lavoro è possibile costruire momenti operativi comuni con i compagni dove vengano richiesti livelli diversi di competenze e vengano valorizzate anche le competenze informali del disabile e dove, il docente per il sostegno, potrà sviluppare con i docenti titolari semplici contenuti, ma tuttavia coerenti con quanto da loro svolto, mentre altri operatori , esperti del settore, potranno attivare per lo studente con disabilità momenti di attività pre-lavorative idonee a svilupparne le capacità operative. Il ragazzo con disabilità potrà in tal modo sentirsi parte integrante del gruppo trovando nuova motivazione al lavoro didattico e migliorare la sua autostima. Viceversa lavorando in un gruppo classe dove l’insegnamento è prevalentemente “formale” e sempre più lontano dalle sue possibilità, egli si vivrà sempre più estraneo
Non so se la necessaria sintesi ha reso giustizia ai critici per quanto affermato nel mio precedente scritto, dove ho inteso semplicemente dire che per rendere effettivamente inclusivo il processo educativo del disabile intellettivo, in particolare questo nella scuola secondaria di II grado, non basta la scuola da sola: occorre un modello che possa anche prevedere attività che coinvolgono competenze che la scuola non ha, che tenga conto che una vera inclusione non può prescindere da un lavoro didattico che lo accomuni ai suoi compagni fin là dove possibile e che, quando serve, la scuola si “apra” al territorio per attingervi le risorse necessarie, ma soprattutto occorre un vero progetto educativo che abbia, così come avviene per i compagni normodotati, il focus riferito a quello che sarà l’avvenire del ragazzo al termine del corso di studi. Per riuscirci è senz’altro necessario riorganizzare il tempo scuola, ma questo non è sufficiente se lo si fa non coinvolgendo le risorse del territorio lavorando in modo coordinato e su obiettivi comuni con le altre agenzie che possono completare il lavoro della formazione della persona nel suo complesso. Purtroppo non sono bastati 25 anni per capire l’inadeguatezza di quel modello che , se pur codificato dalla legge, nato per l’inclusione nella scuola dell’obbligo, non è adeguato per l’inclusione nella secondaria di secondo grado

Serve un modello che garantisca allo studente con disabilità intellettiva che frequenta una classe di scuola superiore, non “pari apprendimenti” che non sarebbe in grado di comprendere, ma pari opportunità di apprendimento per raggiungere finalità comuni, fornendo anche a lui, in situazione di inclusione, il massimo di autonomia e competenze possibili per un suo inserimento attivo nella società .

Luciano Paschetta

Esperienza inclusiva di “alternanza” al Liceo Galilei di Catania, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

“Braillando insieme”, questo è il titolo dell’innovativo progetto che, per il corrente anno scolastico, grazie al metodo di lettura e scrittura Braille, sta impegnando gli studenti della classe Quarta H del Liceo “Galileo Galilei” di Catania in un’esperienza davvero “inclusiva” di alternanza scuola-lavoro, presso il locale Polo Tattile Multimediale.
L’attuale preside del Liceo scientifico “Galileo Galilei” di Catania Gabriella Chisari, è in carica presso questo Istituto dal primo settembre 2009. In precedenza, ha diretto l’Istituto magistrale etneo “Lombardo Radice”.
La dirigente Chisari afferma che la fama del “Galilei” (riconosciuta, sin dalla sua fondazione nel 1972, come una delle scuole più efficienti e vivaci del Sud Italia) la fanno, tutti insieme, gli studenti ed il personale docente e il personale assistente, tecnico e amministrativo, grazie alle numerose attività svolte con grande professionalità, con tanta passione, ma soprattutto con la voglia da parte di tutti di migliorare le proprie conoscenze e competenze.  In questo modo, il costante e quotidiano sacrificio, senso del dovere ed impegno di tutti fanno acquistare notorietà e rendono ancora più di qualità l’offerta formativa del Liceo Galileo Galilei di Catania.
Afferma la preside Chisari: “Durante la mia esperienza di Dirigente scolastica, ho vissuto un vero e proprio processo di rivoluzione, soprattutto grazie alle importanti novità fortemente volute dal MIUR. Il cambiamento radicale ha portato la nascita di una nuova e “buona” scuola, orientata verso la realizzazione degli obiettivi e delle competenze a differenza del vecchio sistema incentrato solo sulle conoscenze”.
Aggiunge la dirigente Gabriella Chisari: “A tal proposito, la recente legge 107 del 2015, denominata de “La Buona Scuola”, ha prodotto aspetti sicuramente positivi.  Ha messo in campo  molte materie ed un’autentica autonomia delle Istituzioni scolastiche. Con questo nuovo metodo si è verificato lo sviluppo di un valore aggiunto: il potenziamento, rafforzando effettivamente ed efficacemente la “flessibilità e la libertà progettuale delle singole scuole. Adesso è infatti realmente possibile allargare gli orizzonti culturali dei nostri ragazzi ed ampliare notevolmente la loro offerta formativa, come è potuto avvenire nel nostro Liceo con l’introduzione dei vari ”potenziamenti” (in lingue, scienze ed in materie economico-giuridiche), con insegnamenti aggiuntivi affidati ai docenti del cosiddetto “organico dell’autonomia”, ma soprattutto con l’accoglienza di un numero sempre maggiore di alunni con cittadinanza non italiana, con DSA e con BES. Il loro ingresso nella scuola italiana, che io considero assolutamente positivo, ha ovviamente determinato un mutamento dei processi educativi e didattici, che risultano in parte modificati anche dal sempre più crescente e desolante mancato riconoscimento del ruolo “formativo” del docente per il sostegno da parte degli studenti e della società in generale. Da questo punto di vista, mi auguro che il recente Decreto 378 firmato dal Governo lo scorso 14 Gennaio possa rappresentare un “volano” per la creazione nel nostro Paese di un sistema scolastico ancora più inclusivo. Noi ce la stiamo mettendo tutta, programmando nel nuovissimo “Piano di Formazione Triennale Obbligatorio” del nostro Liceo l’”inclusione scolastica” degli alunni/studenti con disabilità e con difficoltà di apprendimento tra le priorità strategiche da far acquisire ai nostri docenti, mediante apposite iniziative formative sui BES e sui DSA già avviate nel corrente anno scolastico.”
Prosegue la preside: “Al riguardo, ritengo che anche la nuova pratica dell’”alternanza scuola-lavoro”, introdotta nel sistema formativo ed educativo italiano dalla sopracitata Legge de “La Buona Scuola” possa davvero aiutare le Istituzioni scolastiche italiane a raggiungere il “nobile” scopo di promuovere un modello di scuola più inclusiva e “di qualità”. Lo scorso anno scolastico e cioè all’inizio della “sperimentazione” anche nei Licei della nuova attività didattico-professionalizzante” dell’A.S.L. (Alternanza Scuola-Lavoro), nutrivo qualche perplessità circa una sua immediata proficua attuazione ma, dopo aver riscontrato e sperimentato concretamente le tante opportunità formative e “professionali” svolte dagli allievi delle nostre Terze classi, mi sono ricreduta, trovando nell’”alternanza” grandi vantaggi perché unisce il sapere e il saper fare, la conoscenza e la competenza, costituendo quindi un’occasione di arricchimento e di crescita formativa anche per i nostri alunni/studenti con disabilità e con disturbi specifici di apprendimento. Infatti, secondo quanto mi riferiscono i docenti del Liceo che ho l’onore di dirigere, grazie alle competenze “chiave” acquisite durante il percorso di alternanza scuola-lavoro, i nostri studenti con BES e DSA stanno guadagnando tanta “autostima” ed “autonomia personale e, fatto non secondario, stanno apprendendo più velocemente ed efficacemente anche i contenuti didattici dell’insegnamento “curricolare”.
Continua la d.s: “Per quest’anno scolastico, tra Terze e Quarte, abbiamo ben 29 classi in “alternanza”, per circa 800 alunni. Per tutti abbiamo attivato diversi percorsi in convenzione con enti, associazioni e istituzioni quali:
il Comune di Catania e l’Ufficio del Turismo, il Comune di Acicastello (Ct), il Parco dell’Etna, l’IBAM (Istituto Beni Archeologici e monumentali)-CNR di Catania, l’Area Marina Protetta di Acitrezza (Ct), l’Associazione Diplomatici, la Sovrintendenza ai Beni culturali e ambientali, l’Università di Catania con diversi Dipartimenti, l’INFN (Istituto Nazionale di fisica nucleare), l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) e naturalmente il di cui sopra Polo Tattile Multimediale-Stamperia Regionale Braille di Catania.
“Il progetto di Alternanza Scuola-Lavoro “Braillando insieme” -precisa la dirigente Gabriella Chisari- è stato elaborato in linea con le direttive ministeriali e con l’atto di indirizzo dell’Istituto e prevede la realizzazione di una forma di apprendimento basato sul lavoro di alta qualità secondo quanto indicato nella strategia “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, in quanto la domanda di abilità e competenze di livello sempre più alto impone al sistema di istruzione di innalzare gli standard di qualità e il livello dei risultati di apprendimento per rispondere adeguatamente al bisogno di competenze e di inclusione socio-lavorativa di tutti e di ciascuno. Il progetto ha preso avvio alla fine di Gennaio e si chiuderà il 26 Maggio 2017. L’obiettivo che ci si propone di perseguire, insieme agli amici del Polo Tattile, ed in proposito ringrazio sentitamente il Direttore Generale di tale fantastica struttura Pino Nobile, è quello di far realizzare ai 25 studenti della Quarta H del nostro Liceo una “mappa tattile” del nostro Istituto e di far produrre in Braille, in Large-print (a caratteri ingranditi) ed in formato digitale alcuni capitoli tratti da diverse opere del grande scienziato Galileo Galilei.
“Di qui –chiarisce la d.s. Chisari- l’idea di costituire uno staff operativo di classe, che in alternanza presso la Stamperia Regionale Braille di Catania ed il suo Polo tattile multimediale, apprenda e sperimenti il “mestiere” della trascrizione in Braille ed in Large-print, della realizzazione di Testi digitali in formato accessibile e della produzione grafica “multisensoriale, anche in 3D. Un ulteriore scopo del progetto è far sì che l’esperienza di scrittura dell’articolo di giornale e del saggio breve, prevista dalla normativa relativa alla prima prova dell’esame di stato, possa caratterizzarsi come esperienza situata in un contesto autentico ed “inclusivo”, attraverso la loro trascrizione in Braille, in testo ingrandito ed elettronico. Si tratta, pertanto, di un’opportunità didattica concreta e coinvolgente che serve ad avvicinare gli studenti al futuro professionale, ma non solo…
Infatti, conclude la preside: “Il nostro principale auspicio è che la ”mappa tattile” ed i testi in braille, large-print ed in formato elettronico realizzati dagli alunni del Liceo Galilei di Catania possano fungere da “strumento” di integrazione e da occasione di stimolo, all’interno della nostra scuola, del dibattito sui “civilissimi” temi dell’inclusione, dell’uso delle nuove tecnologie digitali accessibili e della “progettazione for all”.

La politica inclusiva dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti onlus: l’approccio maggiormente comprensivo allo schema di decreto sull’inclusione, di Marco Condidorio

Autore: Marco Condidorio

L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ha tra le mani, finalmente, lo schema di decreto recante le norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli alunni e degli studenti con disabilità.
Sarà la commissione nazionale per l’istruzione e la formazione della stessa UICI a esaminarne nei prossimi giorni i ventun articoli che compongono il decreto delega. questo perché il ruolo politico atto a delineare le linee sull’istruzione e la formazione, dunque anche quelle specificatamente afferenti l’inclusione scolastica degli alunni minorati visivi, ciechi assoluti o ipovedenti gravi, è compito della stessa UICI attraverso la commissione, nominata dalla Direzione Nazionale e coordinata dal sottoscritto e magistralmente operativa nonostante le innumerevoli lacune dello stesso Ministero per l’istruzione l’Università e della ricerca.
Trovo corretto ricordare qui i Componenti della Commissione Nazionale Istruzione e Formazione UICI:
La Preside Silvana PISCOPO;
Ex Dirigente dell’Amministrazione Provinciale di Brescia, che da sempre si è occupato di istruzione, Francesco BUSETTI; Il Prof. GIUSEPPE LAPIETRA; La Docente di storia e filosofia Daniela FLORIDUZ, nonché referente della Commissione medesima e coordinatrice della sotto-commissione per la tutela degli insegnanti non vedenti; Su proposta del sottoscritto la Direzione Nazionale ha accolto la richiesta di nominare quali esperti di didattica e pedagogia il Prof. Giancarlo ABBA (Consulente tiflologo per l’Istituto dei Ciechi di Milano) e il Prof. Enzo BIZZI (Psicopedagogista esperto in tiflologia) Ad affiancare la commissione nazionale nella lettura dello schema di decreto in questa lettura dello schema ci saranno:
Luciano PASCHETTA (docente e referente nazionale del Gruppo-scuola della FAND) Marinica MECCA (Esperta d’istruzione e collaboratrice amministrava del gruppo di lavoro).
L’UICI può contare poi sul NIS: Network per l’inclusione scolastica, organo tecnico che si costituisce per volontà della Presidenza Nazionale della stessa Unione Italiana dei ciechi e degli Ipovedenti nell’aprile del 2016 e appoggiato dal Coordinamento degli enti: Biblioteca per ciechi Regina Margherita; la Federazione nazionale delle istituzioni pro-ciechi; l’I.Ri.Fo.R. e la stessa UICI che, del NIS ne fa parte assieme agli enti citati.
L’argomento scuola, nello specifico dell’inclusione scolastica interessa e coinvolge molti dei protagonisti associativi a vari livelli, dalle commissioni provinciali delle sezioni UICI che si occupano di istruzione e formazione a quelle regionali, con i responsabili a cui sono affidate le competenze e la vicinanza circa le attività e iniziative che il territorio realizza o che intende realizzare in favore degli alunni disabili visivi della regione.
Per questo il ruolo/compito di ogni dirigente dell’UICI, in particolare di chi si occupa d’istruzione e formazione rappresenta uno degli anelli della catena associativa; dall’altro canto il loro ruolo è strategico nel senso che, alle regioni ad oggi, è affidata la pianificazione e l’assegnazione delle risorse per la stessa inclusione scolastica (vedasi Leggi di Stabilità 2016 “28 dicembre 2015, n. 208 -2017 “11 dicembre 2016, n. 232”): le risorse destinate per l’assistenza scolastica; per quella post-scolastica e domiciliare; la assegnazione dei materiali e degli strumenti, nonché delle tecnologie ad uso degli studenti non vedenti; il trasporto casa-scuola/scuola-casa rientrano necessariamente in una programmazione economica delicata che richiede un’attenta attività politica ed associativa da attuarsi alla luce di conoscenze specifiche e competenze strategiche cui deve seguire un’altrettanta capacità dialettica attraverso cui progettare e strutturare interventi che siano condivisi dalle diverse istituzioni, in primis la scuola, la regione, i comuni e quegli enti che in base alla normativa vigente, dovranno o potranno occuparsi dell’assistenza scolastica e post per gli alunni con disabilità.
Inoltre l’informazione e la formazione circa le procedure di iscrizione a scuola del proprio figlio minorato visivo, piuttosto che le procedure per l’accertamento e la certificazione della disabilità sensoriale; la richiesta di strumenti e materiali ad uso dell’alunno; il reperimento delle normativa a tutela del proprio figlio riguardante la garanzia del pieno diritto allo studio, spetta all’UICI, alle istituzioni compresa la scuola. La famiglia avverte troppo spesso quell’isolamento sociale che altro non è se non la mancanza di cultura e di impegno politico da parte dell’intera società; l’UICI ha l’onore e l’onere di accompagnare i genitori verso il successo scolastico e sociale, nonché lavorativo e professionale del proprio figlio, incidendo positivamente sulla politica del Parlamento, del Governa, della Conferenza Stato-Regioni, delle singole istituzioni regionali, provinciali e comunali, in materia d’istruzione, formazione, educazione e autonomia.
Nelle ultime settimane la carta stampata, quella digitale, radiofonica e televisiva hanno inondato le nostre case di troppe riflessioni/teorie più o meno comprensibili, talvolta astruse attorno all’argomento scuola e inclusione scolastica. La verità è che, se di verità si può parlare, volevamo l’inclusione scolastica, di fatto abbiamo trovato l’impreparazione e l’emarginazione non solo della scuola cui tutti affidano responsabilità strutturali organizzative, didattiche, educative nonché professionali; non può essere solo la scuola a farsi carico del processo inclusivo: esso appartiene “in termini di responsabilità sociale e di cittadinanza” alle associazioni storiche, come l’UICI, le Federazioni nazionali FAND e FISH; la classe politica, il territorio con tutte le sue caratteristiche culturali, sociali, economiche ed ambientali, alla famiglia e alle famiglie degli alunni, compagni di classe, di scuola dell’alunno, degli alunni minorati sensoriali.
Dal ruolo politico dell’UICI, alla storia dell’inclusione per arrivare allo schema di decreto legislativo licenziato n questi ultimi giorni dal MIUR in cammino nel complesso iter parlamentare, per cui una permanenza, la più breve possibile, e dove dobbiamo sperare che subisca il minor numero di emendamenti; al più migliorato in talune parti.
Non mancheremo di far sentire la nostra voce, il nostro peso politico in un frangente come questo che potrebbe rappresentare la vittoria della luce della ragione sulla cecità del politico che ignora le reali richieste delle associazioni.
Il concetto di “scuola inclusiva” ha “subito” un’evoluzione storico-culturale rispetto alle leggi n.118 del 1971 e n.517 del 1977: la prima propose una parziale apertura verso la scuola di tutti, la seconda, propose il modello di scolarizzazione che vedeva gli alunni delle classi “speciali” fare ingresso nella scuola di tutti, per tutti, definitivamente. oggi tale modello, fortemente sottoposto a critiche “laceranti” e talvolta a giudizi positivi si conferma in tutta la sua fragilità sociale, politica, didattica ed educativa oltre che e, non è poco, economica; tuttavia resta il valore didattico-educativo, sia per l’istruzione che per la formazione, il più coerente all’idea di inclusione scolastica.
L’inclusione scolastica, perché sia efficace, deve coinvolgere tutte le componenti della scuola; al fine di evitare che, a determinare il processo dell’inclusione scolastica, sia il giudice, come di recente è stato riportato sulle pagine di questo giornale dalla voce autorevole di LUCIANO PASCHETTA. Pertanto non deve essere delegata al solo il docente di sostegno, l’inclusione scolastica, ma ai dirigenti scolastici, docenti, personale ATA, studenti e famiglie e tutti gli operatori istituzionali incaricati al perseguimento degli obiettivi per il raggiungimento dell’ inclusione scolastica e che vivono l’esperienza inclusiva in termini di “supporto” dell’alunno/studente con disabilità, qualificandola quale impegno fondamentale per tutte le risorse umane e professionali che operano nella scuola.
L’unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti conserva e al tempo stesso nutre un patrimonio straordinario di esperienze didattiche, pedagogiche e sociali, troppo prezioso perché sia lasciato ai margini del dibattito sulla scuola e in particolar modo di quello sull’inclusione scolastica degli alunni minorati dalla vista.

Di seguito, in sintesi alcuni dei punti essenziale su cui l’UICI intende strutture la propria strategia politica associativa, nulla vieta che vi si apportino ulteriori contributi durante i lavori della Commissione nazionale Istruzione e formazione dell’UICI che nei prossimi giorni si riunirà, proprio per progettare la strategia politica di cui sopra.
Dallo schema di decreto legislativo leggiamo:
1.Capo III PRESTAZIONI E INDICATORI DI QUALITA’ DELL’INCLUSIONE SCOLASTICA, Articolo 3 (PRESTAZIONI E COMPETENZE), comma 2, lettera d) ed e):
“d)alla costituzione delle sezioni per la scuola dell’infanzia e delle classi prime per ciascun grado di istruzione, in modo da consentire, di norma, la presenza di non più di 22 alunni ove siano presenti studenti con disabilità certificata, fermo restando il numero minimo di alunni o studenti per classe, ai sensi della normativa vigente; e)ad assegnare alle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione un contributo economico, parametrato al numero degli alunni e studenti con disabilità accolti e della percentuale di alunni con disabilità rispetto al numero complessivo degli alunni frequentanti”.
L’idea è quella di informare il territorio circa l’opportunità di formulare preventivamente un documento nei tempi (dell’Istituzione scolastica) che consenta al singolo istituto o complesso scolastico di ottenere le risorse umane ed economiche fondamentali per l’inclusione scolastica degli alunni/studenti. Il documento va inviato al GIT (Gruppo Inclusione Territoriale) che lo invierà all’Ufficio scolastico regionale che a sua volta lo inoltrerà al MIUR come da art. 7, commi 1-2 Capo III – PRESTAZIONI E INDICATORRI DI QUALITA’ DELL’INCLUSIONE SCOLASTICA (PRODURE PER L’INCLUSIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI E DEGLI STUDENTI CON DISANILITA’).
Procediamo con:
2. CAPO V PROGRAMMAZZIONE E PROGETTAZIONE DELL’INCLUSIONE, Articolo 12 comma2 (Ruoli per il sostegno didattico) – Articolo 11, comma 2 (Il Piano Educativo Individualizzato) Probabilmente è superflua e scontata la considerazione secondo cui la garanzia dei 10 anni sia piuttosto fantasiosa se non irreale esclusivamente diversamente che per gli aspetti amministrativi, di carriera scolastica, e sindacale; contrariamente dunque alle aspettative sulla continuità didattica ed educativa di cui si parla nell’art 16 comma 1 il CAPO VII che ha per titolo ULTERIORI DISPOSIZIONI e che recita, riporto per dovere di cronaca quanto segue: “La continuità educativa e didattica per gli alunni e gli studenti con disabilità certificata è garantita dal personale della scuola, dal piano di inclusione e dal progetto educativo individualizzato.
A seguire, altro tema assai caldo e quanto mai significativo dal punto di vista della socializzazione da parte dell’alunno cieco e per la sua e altrui inclusione sociale è quello dell’alternanza scuola-lavoro, a cui fa riferimento L’articolo 11 comma 2. Lo stesso infatti nei contenuti e nelle modalità di approvazione del Piano Educativo Individualizzato, evidenzia la necessità di garantire lo svolgimento dei percorsi di alternanza scuola-lavoro anche per gli alunno/studente con disabilità. Dall’altro canto troppo spesso gli alunni disabili con minorazioni sensoriali sono esclusi dalle attività pur obbligatorie in linea generale per tutti gli alunni.
Passiamo all’argomento successivo:
3. CAPO VI FORMAZIONE INIZIALE DEI DOCENTI PER IL SOSTEGNO DIDATTICO che negli art. 13-14 dove si prevede il Corso in pedagogia e didattica speciale per acquisire la specializzazione per attività di sostegno didattico a favore alunni con disabilità nella scuola dell’infanzia della primaria e della secondaria di primo e secondo grado. La formazione sarà annuale e consentirà il riconoscimento di 60 CFU, da notare con una certa perplessità che i corsi di specializzazione saranno patrimonio dei corsi di didattica e pedagogia speciale. Ciò significa che le Scienze tiflologiche hanno la lor ragion d’esse (di tipo formativo e didattico), entro l’area no della specializzazione o della specificità, ma di quella “speciale”.
Dunque, la didattica del Braille per esempio impartita ad un alunno non vedente avrà ancora il carattere di attività speciale.
Procediamo con il CAPO VII: ULTERIORI DISPOSIZIONI dove troviamo l’art. 17 che istituisce finalmente l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica dove al comma 2 lettera d) si trovano elencati gli scopi dell’Osservatorio stesso: “d) proposte di sperimentazione in materia di innovazione metodo logico-didattica e disciplinare In conclusione proporrò alla Commissione, in uno spirito di condivisione, i seguenti obiettivi politici con la che auspico possano diventare piano tecnico e operativo per rilanciare il ruolo di leader dell’UICI in materia di istruzione e formazione, di didattica ed educazione con l’immancabile apporto delle scienze tiflogiche.
In linea con lo Schema di decreto legislativo recante le norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità (378), qualora fosse emanato e abbia conservato più o meno integralmente il testo di cui sopra, potrebbe rappresentare la base di confronto su cui costruire:
a) Un’ ipotesi di piano politico e tecnico da discutere attorno ad un ipotetico tavolo di confronto tra la Conferenza Stato-Regioni, L’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti/FAND – FISH e il NIS;
b) Un documento tecnico-politico, quale proposta da discutersi al tavolo dell’Osservatorio permanete per l’inclusione scolastica e da condividersi con le associazioni afferenti le disabilità sensoriali; c)La pianificazione di strategie operative e strutturali da condividersi in accordo con i Consiglio regionali dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti al fine di formare ed informare adeguatamente, secondo una tempistica idonea, ad offrire soluzioni o percorsi sia di tipo normativo, tecnico, politico, afferente le scienze tiflologiche.

Marco CONDIDORIO
Docente incaricato di Tiflologia all’Università degli Studi del Molise; Coordinatore della Commissione Nazionale per l’Istruzione e la Formazione dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Onlus

Continuità didattica e progetto educativo nello schema di decreto 378 del 14 gennaio 2017, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

In questi giorni stiamo leggendo molte considerazioni sulle criticità presenti nello schema di decreto 378 del 14 gennaio, ma ce ne sono tante e diffuse anche negli altri;
la grande delusione di molti addetti ai lavori nella galassia delle associazioni delle persone con disabilità,
mi sembra concentrarsi ancora una volta sulle sorti dei docenti di sostegno,
sulla loro stabilizzazione nelle scuole per una durata pari al compimento di un intero ciclo scolastico al fine di garantire la continuità didattica oppure avere la opportunità di chiedere trasferimento alla stregua di qualsiasi altro docente:
ed è qui che mi sorge una domanda:
“ma è proprio vero che la continuità didattica è una variabile dipendente da un docente di sostegno? E perché non lo dovrebbe essere per qualsiasi docente di ogni disciplina?
Lo spirito e la lettera della famosa legge 2444 proposta da Fish e Fand di cui fortemente si è chiesto l’accoglimento nella costituzione dei decreti legislativi della cosiddetta buona scuola, non erano e sono centrati sulla presa in carico dell’alunno con disabilità da parte dell’intero consiglio di classe?
Non è, come in tanti abbiamo sostenuto, il progetto educativo che va costruito a misura delle potenzialità e delle difficoltà dell’alunno e in base al percorso vanno garantite risorse, competenze, adattamenti ai contesti e relative specificità?
Non sono, forse, al centro del piano educativo individualizzato, la specificità delle competenze, la loro convergenza verso l’obiettivo centrale del massimo potenziamento delle abilità individuali dell’alunno, della sistematicità dei saperi, della crescita armonica della personalità, della costruzione di relazioni interne ed esterne alla scuola, della partecipazione attiva a tutti i processi di socializzazione affinché, progressivamente, ciascun ragazzo possa divenire consapevole di sé, della propria soggettività e, dove possibile, giungendo a chiedere una diminuzione di sostegno a vantaggio, magari, di un incremento di altre figure di supporto più funzionali alla propria crescita umana e sociale? Non è questo, forse, l’iter inclusivo che dovremmo auspicare per i nostri studenti ciechi ed ipovedenti? Non intendo, con queste mie osservazioni, sminuire o delegittimare la necessità del sostegno, bensì affermare che da questa figura professionale non dipende tutto il processo formativo di nessuna persona, neppure se è un soggetto con pluridisabilità, perché ogni individuo possiede una molteplicità affettiva e di forme cognitive che possono regredire o accrescersi in base ai contesti e non per le qualità di una sola persona; è, per questo convincimento, che mi deriva dal mio lungo percorso professionale nelle scuole in cui ho insegnato e in quelle di cui sono stata dirigente, ma, anche, dalle attuali esperienze associative nel seguire studenti non ed ipovedenti nelle scuole di Napoli e provincia che traggo una conclusione: non è la continuità delle persone che fa la differenza tra buona o carente attività didattica, bensì la continuità delle competenze che la scuola è in grado di garantire; ed è questo, a mio modesto avviso, il punto sul quale la nostra associazione dovrebbe provare ad ottenere attraverso qualche emendamento al decreto 378, concentrando tutti i suoi sforzi le sue risorse.
Silvana Piscopo

Le Prestazioni e gli Indicatori del Decreto sull’inclusione sono da modificare, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Sulla “presunta” continuità didattica garantita agli alunni/studenti con disabilità dall’art 12 del neonato Decreto 378 sulla promozione dell’inclusione scolastica ho già espresso tutte le mie perplessità in un mio precedente contributo.
Con il presente articolo, invece, intendo soffermarmi sulle lacunose prestazioni “essenziali previste dall’art 3 della sopraccitata Delega sull’inclusione (prestazioni e competenze) e sui carenti “criteri di valutazione” (o Indicatori di qualità?) stabiliti dal successivo art 4 ( valutazione ed autovalutazione della qualità dell’inclusione.
Al riguardo, mi permetto di avanzare alcune proposte “migliorative” al testo, che potrebbero essere sottoposte dall’UICI alle competenti Commissioni parlamentari che lo esamineranno nei prossimi 60 giorni, prima della pubblicazione definitiva del Decreto.
Ve le riporto di seguito:
L’articolo 3 (Prestazioni e competenze) individua le prestazioni “essenziali” per l’inclusione scolastica effettuando una ricognizione dei compiti già assegnati, a normativa vigente, a ciascun Ente istituzionalmente preposto a garantire il diritto-dovere all’istruzione degli alunni e degli studenti con disabilità.
In virtù dell’attuale assetto di riparto delle competenze come tracciato dal vigente Titolo V della Costituzione, le funzioni dei vari Enti coinvolti nel processo d’inclusione scolastica, sono ripartite nel seguente modo:
allo Stato competono:
1. l’assegnazione, per il tramite dell’Amministrazione scolastica, dei docenti per il sostegno didattico, al fine di assicurare il diritto all’educazione e all’istruzione degli alunni e degli studenti con disabilità. Io suggerirei di scrivere “l’assegnazione sin dall’inizio dell’anno scolastico…”. Mi pare il minimo, non credete?
2. l’assegnazione, per il tramite dell’ Amministrazione scolastica, del personale ausiliario nella scuola statale, per lo svolgimento dei compiti di assistenza previsti dal profilo professionale, ai sensi della normativa vigente.
3. la costituzione delle sezioni per la scuola dell’infanzia e delle classi prime per ciascun grado di istruzione, in modo da consentire, di norma, la presenza di non più di 22 alunni ove siano presenti studenti con disabilità certificata, fermo restando il numero minimo di alunni o studenti per classe, ai sensi della normativa vigente. Modificherei immediatamente l’espressione “di norma la presenza di non più di 22 alunni ove siano presenti studenti con disabilità certificata”, che sconfessa e non tiene conto del sacrosanto” art 5 del DPR 81 del 2009, con la più efficace e legittima “solo in via eccezionale la presenza di 22 alunni ove siano presenti studenti con disabilità certificata”.
4. la definizione dell’organico del personale ATA, tenendo conto, in sede di riparto delle risorse professionali, della presenza di alunni e di studenti con disabilità certificata presso ciascuna Istituzione scolastica statale, anche in deroga ai vincoli numerici come previsto dalle disposizioni vigenti.
5. assegnare alle istituzioni scolastiche paritarie un contributo economico, parametrato al numero degli alunni e degli studenti con disabilità certificata frequentanti, finalizzato all’inclusione scolastica degli stessi, ai sensi della legislazione vigente.
Integrerei altre due prestazioni “essenziali in capo allo Stato in materia di inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità visiva e cioè:
6) L’istituzione da parte del MIUR della figura dell’”esperto in scienze tiflologiche” o, quantomeno, di una figura che possieda competenze di base in tiflopedagogia e tiflodidattica, al fine di assicurare il diritto all’educazione ed all’istruzione degli alunni/studenti con disabilità visiva.
7) L’istituzione da parte del MIUR di uno “Sportello di Consulenza” per le principali tipologie di disabilità presso i CTS esistenti su tutto il territorio nazionale, per fornire informazioni ed assistenza di base agli alunni/studenti disabili ed alle loro famiglie, da realizzare attraverso apposite convenzioni con le Associazioni più rappresentative di persone con disabilità. (naturalmente, nel nostro caso, mi riferisco all’Unione)
Alle Regioni, previa intesa in sede di Conferenza unificata, compete assicurare la progressiva uniformità su tutto il territorio nazionale della definizione dei profili professionali del personale destinato all’assistenza educativa e all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale, anche attraverso previsione di specifici percorsi formativi propedeutici allo svolgimento dei compiti assegnati, fermi restando gli ambiti di competenza della contrattazione collettiva e nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente. Alla previsione di specifici percorsi formativi, io integrerei l’attributo “universitari”, se si vuole veramente una formazione di qualità di tali operatori.

Agli Enti locali, ferma restando la ripartizione delle competenze prevista dall’articolo 1, comma 85 e seguenti della legge 7 aprile 2014 n. 56, competono:
a) l’assegnazione del personale dedicato all’assistenza educativa e all’assistenza per l’autonomia e per la comunicazione personale, come previsto dall’articolo 13, comma 3, della legge n. 104 del 1992;
b) i servizi per il trasporto per l’inclusione scolastica come garantiti dall’articolo 8, comma 1, lettera c) della legge n. 104 del 1992 e dall’articolo 139, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 112 del 1998;
c) l’accessibilità e la fruibilità degli spazi fisici delle istituzioni scolastiche statali di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), ed all’art 24 della legge n. 104 del 1992.
Aggiungerei un’altra prestazione “essenziale in capo agli Enti locali in materia di inclusione scolastica, vale a dire:
D) La creazione da parte degli Enti Locali, nell’ambito della programmazione regionale ed in convenzione con l’UICI ed i suoi Enti collegati, di un Centro di Consulenza Tiflodidattica (ove possibile per ogni provincia o città metropolitana, o comunque di almeno uno per Regione) in modo da favorire la costituzione di una rete tra tutti gli Enti e le strutture deputati al processo di inclusione scolastica degli studenti minorati della vista del territorio.
In ultimo, l’articolo 3 definisce una prestazione comune a ciascuno degli Enti istituzionalmente preposti alla garanzia dell’inclusione scolastica nell’ambito della strumentazione didattica, ovvero statuisce la garanzia in capo allo Stato (Istituzioni scolastiche), alle Regioni (diritto allo studio) e agli Enti locali (erogazione dei sussidi didattici) dell’accessibilità e della fruibilità di strumentazioni tecnologiche e digitali nell’ambito della didattica, oggi indispensabili per l’apprendimento degli alunni e degli studenti con determinate tipologie di disabilità, quali, ad esempio, quelle sensoriali. Io aggiungerei all’accessibilità ed alla fruibilità anche la qualità e l’efficienza delle strumentazioni tecnologiche e digitali nell’ambito della didattica, ed a tali strumentazioni integrerei ovviamente pure i testi scolastici in formato “accessibile”, resi disponibili sin dall’inizio dell’anno scolastico. Infatti, mi pare davvero strano che il legislatore non abbia pensato a tale “prestazione essenziale”, considerate le attuali carenze del “sistema” su tale aspetto specifico.

L’articolo 4 (Valutazione ed autovalutazione della qualità dell’inclusione scolastica) qualifica l’inclusione scolastica quale elemento portante dei processi di valutazione e di autovalutazione delle scuole, nell’ambito del Sistema Nazionale di Valutazione come disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica
n. 80 del 2013.
L’articolo, al comma 2, introduce i criteri relativi al processo di valutazione e di autovalutazione delle Istituzioni scolastiche, statali e paritarie, in tema di inclusione scolastica.
Obiettivo della norma è, quindi, quello di identificare dei criteri che consentano alle scuole di valutare la propria azione inclusiva, di misurarla e di apportare le opportune strategie per migliorarla o consolidarla. I criteri identificati (od Indicatori di qualità) sono i seguenti:
a) qualità del Piano per l’inclusione scolastica (PAI);
b) realizzazione di processi di personalizzazione, individualizzazione e differenziazione dei percorsi di educazione, istruzione e formazione, definiti ed attivati dalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche degli alunni e degli studenti al fine di garantire loro il successo formativo;
c) livello di coinvolgimento dei diversi soggetti nell’elaborazione del Piano per l’inclusione e nell’attuazione dei processi di inclusione;
d) realizzazione di iniziative finalizzate alla valorizzazione delle competenze professionali del personale scolastico incluse le specifiche attività formative;
e) utilizzo di strumenti e criteri condivisi per la valutazione dei risultati di apprendimento degli alunni e degli studenti, anche attraverso il riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione;
f) grado di accessibilità e di fruibilità delle risorse, attrezzature, strutture e spazi. Aggiungerei al grado di accessibilità e fruibilità anche il livello di qualità e l’efficienza ed ovviamente pure l’eliminazione delle barriere architettoniche e percettive.
Integrerei pure i sottostanti indispensabili “Indicatori di qualità” dell’inclusione scolastica:
G) La periodica manutenzione tecnica dei sussidi didattici e delle tecnologie assistive delle scuole di ogni ordine e grado, per assicurarne le condizioni di funzionalità, l’aggiornamento costante e l’efficienza dello stato strutturale.

H) L’obbligo del rilascio da parte del venditore alle scuole, agli Enti locali, alle Asl ed ai privati di una “garanzia”, contenente le seguenti informazioni relative agli strumenti tecnologici, tiflotecnici ed ai sussidi didattici a supporto degli alunni/studenti con disabilità: costruttore, costo, anno di produzione, eventuale venditore ed ovviamente, anche il libretto delle istruzioni trascritto in formato accessibile. Tale “documento d’identità” delle attrezzature “assistive” e dei sussidi didattici costituisce il loro certificato di qualità.

I) L’effettuazione di azioni finalizzate all’educazione, formazione ed istruzione dei disabili visivi, che tengano conto della condizione di cecità o di ipovisione, volte al successo formativo ed al processo inclusivo degli studenti minorati della vista sarà specifico e di tipo tiflopedagogico nel metodo e nell’applicazione, ed avrà come certificatore dei risultati l’equipe “tiflopsicopedagogica”.
J) La definizione da parte delle Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado di un Piano Annuale d’Inclusività (PAI) che sia parte integrante del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF).
K) L’uniformità, su tutto il territorio nazionale, della definizione dei profili professionali del personale destinato all’accompagnamento, alla comunicazione, ed all’assistenza specialistica degli alunni con disabilità (l’assistente all’autonomia ed alla comunicazione e l’esperto in scienze tiflologiche), attraverso l’individuazione di specifici percorsi formativi universitari, propedeutici allo svolgimento dei compiti assegnati.
L) Realizzazione del progetto di inclusione/globale di vita da parte delle Istituzioni scolastiche e tipologia di figure di riferimento e/o supporto dell’alunno/studente con disabilità, deputate alla sua redazione e presa in carico.
M) Stesura di un Programma di Orientamento scolastico e professionale dell’alunno/studente con disabilità e tipologia di figure professionali incaricate alla sua elaborazione.
N) Rapporti delle Istituzioni scolastiche con le famiglie degli alunni e degli studenti con disabilità.
O) Rapporti interistituzionali delle Istituzioni scolastiche con gli Enti Locali, con le ASL, con le altre scuole e con le Associazioni più rappresentative di e per disabili.
P) Rapporti delle Istituzioni scolastiche con i Centri Territoriali di Supporto (CTS).
Naturalmente, si tratta di un pacchetto di proposte “migliorative” del Decreto sull’inclusione scolastica, che dovrà essere condiviso dalle principali Associazioni di e per disabili e dalle loro famiglie ed essere compatibile alle modifiche che potranno essere “realisticamente” apportate durante la discussione in seno alle competenti Commissioni parlamentari delle prossime settimane, visto che esse dovranno esprimere soltanto un parere.
Pertanto, lancio un appello di “unità” ed una “chiamata alle armi” ai principali esperti di sostegno didattico della FAND e della FISH affinché, tutti insieme, si lavori in stretta sinergia e collabori fattivamente in questi 60 giorni che ci separano dalla pubblicazione finale del testo, al fine di garantire un’inclusione pienamente di qualità agli alunni/studenti disabili del nostro Paese.
La posta in palio è troppo alta per non rischiare.

Decreto sull’inclusione e continuità didattica: una “presa in giro”?, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Come ho già avuto modo di osservare più volte sulle pagine di questo giornale, anche in risposta ai docenti specializzati riunitisi nel gruppo dei cosiddetti “Partigiani della scuola pubblica”, ho sempre ritenuto assolutamente indifferibile e necessaria la riforma dell’attuale sistema italiano del sostegno didattico.
A mio modesto avviso, infatti, la riflessione sul Decreto 378, approvato dal Governo Gentiloni lo scorso 14 Gennaio (schema di decreto per la promozione dell’inclusione scolastica), in questi 60 giorni che ci separano dalla pubblicazione del testo finale, non può essere animata dalla voglia di “trincerarsi” nella tutela ad ogni costo dell’esistente o in rimpianti di un passato che poteva essere e che non è stato, da parte delle nostre Associazioni di e per disabili più rappresentative e delle loro famiglie.
E’ tempo, invece, di guardare avanti, anche se con “realismo”, perché solo così si riuscirà finalmente a garantire il migliore futuro possibile all’inclusione scolastica degli alunni/studenti disabili italiani.
E proprio questo “pragmatismo” (unitamente al mio eterno ottimismo) mi inducono a giudicare “sufficientemente” condivisibile il “neonato” Decreto sull’inclusione, perché va nella direzione, da noi tanto auspicata, di:
1) una formazione iniziale ed in servizio specifica sulle diverse disabilità da parte non solo dei docenti specializzati, ma anche di tutto il personale scolastico (docenti curricolari, personale ATA ed anche dirigenti scolastici).
Da ora in poi, per i futuri docenti per il sostegno saranno necessari 120 cfu e non più solo 60 sulle tematiche della Pedagogia speciale e della Didattica inclusiva;
2) una scansione chiara e con tempi ben definiti della procedura di certificazione della disabilità degli alunni;
3) una semplificazione documentale (un solo documento) per la quantificazione delle ore di sostegno didattico per gli alunni/studenti con disabilità;
4) il rafforzamento del carattere “pedagogico ed educativo del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e l’integrazione del Piano Annuale di Inclusione (PAI) con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF);
5) la definizione di prestazioni “essenziali” ed indicatori di qualità dell’inclusione scolastica degli allievi disabili;
6) una “parziale” continuità didattica, con l’istituzione di 4 ruoli per il sostegno (infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado) e con l’obbligo di permanenza per gli insegnanti specializzati sul posto di sostegno per 10 anni e non più cinque, prima di transitare nei posti “comuni”.
Ecco, forse proprio su tali ultimi due punti, previsti rispettivamente dall’art 3 del Decreto (prestazioni e competenze), dall’art 4 ( valutazione ed autovalutazione della qualità dell’inclusione, e dall’art 16 (continuità didattica), il testo mi pare un po’ “lacunoso” ed “emendabile” dalle competenti Commissioni parlamentari che lo esamineranno in queste settimane, tenuto conto però che esse potranno esprimere soltanto pareri non vincolanti per l’Esecutivo.
Sulle “prestazioni “essenziali” in capo allo Stato, alle Regioni ed agli Enti Locali e sui criteri di valutazione in materia di inclusione scolastica mi cimenterò in un altro mio contributo, mentre con il presente articolo vorrei soffermarmi sulla delicata e “spinosa” questione della “continuità didattica” da garantire agli allievi con disabilità
In proposito, dopo aver letto la nota dell’AICE, intitolata “Continuità didattica e schema del Governo? Una presa in giro”, non posso che condividere e associarmi al loro rammarico ed alla loro amarezza nell’aver appreso e dovuto prendere atto della mancata previsione del vincolo per i docenti per il sostegno di permanenza con il medesimo alunno/studente disabile per tutto il suo segmento d’istruzione.
Infatti, se è vero, come sopra accennato, che l’art 12 del D.Lgs 378 obbliga il docente specializzato a rimanere sul posto di sostegno per 10 anni e non più per soli 5 anni, prima di transitare sul posto comune, è altrettanto vero che, durante questi dieci anni, tuttavia, purché restino in quel comparto, essi potranno senza limiti chiedere d’essere trasferiti da Torino a Napoli o da Trento a Palermo senza dover renderne conto all’alunno disabile, ai loro genitori, alla loro scuola.
«È questa la continuità didattica prevista dalla legge e richiamata ripetutamente dalla ministra Fedeli?
E’ questa la domanda che mi sorge subito spontanea e con la quale si interroga preoccupata anche la rivista specializzata Tuttoscuola.com che in questi giorni, con un suo recente dossier, ha posto il dibattito sullo «tsunami» nelle classi di sostegno.
I numeri sono allarmanti: se oltre 2 milioni e mezzo di alunni (il 33% dell’intera popolazione scolastica) si trovano quest’anno con almeno un insegnante nuovo in classe, è andata ancora peggio agli alunni con disabilità, perché – secondo i calcoli del dossier di Tuttoscuola – almeno 100 mila di loro (il 43% dei 233 mila alunni disabili presenti quest’anno nelle classi di ogni ordine di scuola) hanno cambiato il docente di sostegno.
Questa grave situazione determina di fatto l’impossibilità di assicurare agli allievi disabili quella continuità didattica che risulta essere un fattore determinante per favorirne il successo formativo.
A mio parere, tale problema scaturisce dal fatto che numerosi posti di sostegno sono attribuiti a docenti con contratto a tempo determinato: la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH), l’anno scorso, ha stimato che quasi il 40% dei posti sono coperti tuttora da docenti precari.
A ciò si aggiunga che il Piano straordinario di immissione in ruolo, previsto e realizzato dalla legge n. 107/2015, non ha risolto, con le circa 25.000 assunzioni effettuate sui posti di sostegno, il suddetto problema.
Un’ulteriore delusione in tal senso è arrivata dal numero dei posti che sono stati banditi per il sostegno con l’ultimo concorso: 5.766 (in tre anni), quando se ne aspettavano almeno il doppio.
Per non parlare poi delle tantissime mancate ammissioni di quest’ultimo concorso – il cosiddetto “Concorsone” – e dell’enorme domanda di insegnanti di sostegno (circa 120.000 in servizio di cui circa il 60% di ruolo), che hanno letteralmente mandato in tilt il sistema scolastico territoriale.
Si ricordi a tal proposito la Nota Ministeriale Protocollo n. 24306 del 1° settembre 2016, che recitava testualmente: «In caso di esaurimento degli elenchi degli insegnanti di sostegno compresi nelle graduatorie ad esaurimento, i posti eventualmente residuati sono assegnati dai dirigenti scolastici delle scuole in cui esistono le disponibilità, utilizzando gli elenchi tratti dalle graduatorie di circolo e d’istituto, di prima, seconda e terza fascia». Migliaia di cattedre di sostegno sono state perciò affidate a docenti senza alcun tipo di specializzazione, costringendo in tal modo le famiglie di persone con disabilità a ricorrere sempre più spesso ai giudici per dare un’istruzione adeguata ai loro figli.
Temo proprio che, stante così il Decreto sull’inclusione scolastica e cioè senza alcuna modifica parlamentare o “governativa”, i numeri sopra riportati ed il mancato “vincolo” del docente per il sostegno con il suo alunno/studente con disabilità per l’intero suo “grado” di istruzione non potranno garantire di certo un’effettiva continuità didattica e faranno in modo che si perpetui il sistema attuale, sulla base del quale la maggior parte degli allievi disabili sono costretti, ogni anno, a cambiare docente di sostegno e a ricominciare tutto da capo (relazione educativa, nuovo metodo di insegnamento, relazione docente-classe-alunno disabile …).
Un’”ancora di salvezza” potrebbe arrivare dall’assunzione di un numero maggiore di docenti, in modo da abbassare considerevolmente l’attuale percentuale di posti attribuiti a supplenza.
Infatti, se la previsione dell’art 12 del nuovo Decreto sull’inclusione del “vincolo decennale” per i docenti specializzati su loro “posto” va finalmente nella “sacrosanta” direzione di evitare di utilizzare la “via”del sostegno come scorciatoia per anticipare i tempi di immissione nei ruoli ordinari dell’insegnamento, a mio modesto avviso, sono tre le “condizioni necessarie ed ineludibili”, senza le quali, risulterà impossibile garantire la tanto declamata continuità didattica:
la modifica dei criteri di costituzione degli organici dei docenti specializzati a livello nazionale;
l’assunzione di un numero elevato di docenti di sostegno;
l’obbligo del docente specializzato di seguire l’alunno per l’intero segmento d’istruzione seguito (infanzia, primaria e secondaria di primo e di secondo grado).
Il vincolo, pertanto, oltre che essere legato ad un numero predeterminato di anni (e l’obbligo di permanenza decennale ci va benissimo), deve corrispondere anche e soprattutto al percorso dell’alunno con disabilità: un docente per il sostegno della scuola primaria, ad esempio, dovrebbe poter chiedere la mobilità professionale e/o territoriale dopo cinque anni, od un insegnante specializzato della scuola media potrebbe chiederla dopo che l’allievo disabile consegua la licenza, anzi scherzavo, non consegua la licenza media, come pare che dovrebbe sorprendentemente succedere per gli allievi disabili con il nuovo Decreto 384 sulla valutazione degli alunni, approvato lo scorso 14 Gennaio.
Ma questa è un’altra triste storia!
Solo realizzando concretamente le tre condizioni “strutturali” di cui sopra, sarà possibile garantire un’effettiva continuità didattica e realizzare pienamente l’inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità del nostro Paese.
La certezza è che, di fronte a tali evidenti carenze e criticità del Decreto 378 appena partorito dal Governo, la FAND , la FISH e le famiglie degli allievi con disabilità non rimangano inerti e neutrali in questi giorni di discussione del testo presso le Commissioni della Camera e del Senato.
Tutti insieme dobbiamo innalzare la bandiera della “resistenza” e batterci per una diversa visione dell’inclusione scolastica, che rovesci i meccanismi “perversi” dell’attuale sistema e ponga finalmente l’alunno/studente con disabilità, con la sua dignità ed i suoi bisogni educativi, al centro di un modello di “Buona Scuola”, veramente di qualità ed “inclusiva” per tutti e per ciascuno.

Le novità introdotte dal Decreto sull’inclusione, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Il d.lgs. n. 378 del 2017 (Decreto legislativo sull’inclusione scolastica), approvato dal Governo lo scorso 14 Gennaio, è stato adottato in attuazione della delega conferita al Governo dalla norma di cui all’articolo 1, comma 181, lettera c), della legge n. 107 del 2015, recante “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” che dispone: c) promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione attraverso:
1) la ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno alfine difavorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, anche attraverso l’istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria;
2) la revisione dei criteri di inserimento nei ruoli per il sostegno didattico, al fine di garantire la continuità del diritto allo studio degli alunni con disabilità, in modo da rendere possibile allo studente di fruire dello stesso insegnante di sostegno per l’intero ordine o grado di istruzione;
3) l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali, tenuto conto dei diversi livelli di competenza istituzionale;
4) la previsione di indicatori per l’autovalutazione e la valutazione dell’inclusione scolastica;
5) la revisione delle modalità e dei criteri relativi alla certificazione, che deve essere volta a individuare le abilità residue al fine di poterle sviluppare attraverso percorsi individuati di concerto con tutti gli specialisti di strutture pubbliche, private o convenzionate che seguono gli alunni riconosciuti disabili ai sensi degli articoli 3 e 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 ottobre 2010, n. 170, che partecipano ai gruppi di lavoro per l’integrazione e l’inclusione o agli incontri informali;
6) la revisione e la razionalizzazione degli organismi operanti a livello territoriale per il supporto all’inclusione;
7) la previsione dell’obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per i docenti sugli aspetti pedagogico didattici e organizzativi dell’integrazione scolastica;
8) la previsione dell’obbligo di formazione in servizio per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, rispetto alle specifiche competenze, sull’assistenza di base e sugli aspetti organizzativi ed educativo-relazionali relativi al processo di integrazione scolastica;
9) la previsione della garanzia dell’istruzione domiciliare per gli alunni che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 12, comma 9, della legge 5febbraio 1992, n. 104.
Esaminando l’articolato, di seguito, si illustra una sintesi del decreto legislativo sull’inclusione che è costituito di 21 articoli.
Gli articoli sono suddivisi in 7 Capi, segnatamente: Capo I : Principi generali.; Capo II: Prestazioni e indicatori di qualità dell’inclusione scolastica; Capo III: Procedure di certificazione per l’inclusione scolastica; Capo IV: Organizzazione scolastica per l’assegnazione delle risorse; Capo V: Programmazione e progettazione dell’inclusione; Capo VI: Formazione iniziale dei docenti per il sostegno didattico; Capo VII: Ulteriori disposizioni
L’articolo 1 (Principi e finalità) definisce, in linea generale, il concetto di “scuola inclusiva”.
Tale concetto ha avuto un’evoluzione storico-culturale che, a partire dalla legge 30 marzo 1971 n. 118 che propose un nuovo modello di scolarizzazione degli alunni disabili nelle classi comuni anziché nelle classi “speciali”, ha interessato il sistema scuola nel suo complesso. L’inclusione scolastica, inizialmente denominata “integrazione” nasce, originariamente, per garantire il diritto di istruzione e successo formativo dei minori disabili ma, rappresenta, oggi, un valore fondamentale e fondante l’identità stessa delle singole istituzioni scolastiche, siano esse statali o paritarie, valido per tutti gli alunni e studenti.
E ciò, grazie soprattutto alle recenti approvazioni della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (International Classification of Functioning, Disability and Health -ICF) da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS nel 2001 e della Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità da parte delle Nazioni Unite nel 2006.
L’inclusione scolastica è individuata quale architrave dell’identità culturale, educativa e progettuale delle scuole caratterizzandone nel profondo la mission educativa, attraverso un coinvolgimento diretto e cooperativo di tutte le componenti scolastiche. Essa, pertanto, è sviluppata e valorizzata nell’ambito dei documenti fondamentali della vita della scuola, quali il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) che caratterizza l’identità culturale ed educativa delle singole istituzioni scolastiche.
A fronte della nuova visione di scuola inclusiva, in cui il successo formativo riguarda tutti gli alunni e gli studenti, nessuno escluso, il decreto interviene a rinnovare, ed adeguare, le strategie specifiche messe in atto per gli alunni e studenti con disabilità di cui alla legge 104 del 1992.
L’articolo, infine, sottolinea come tutti gli interventi a favore degli alunni/studenti con disabilità vanno nella direzione di superare necessariamente la vecchia concezione di loro “presa in carico” da parte dei docenti, ribadendo che l’inclusione scolastica, perché sia effettiva, interessa invece tutte le componenti scolastiche, e non solo il docente di sostegno, ovvero dirigenti scolastici, docenti curricolari, personale ATA, studenti e famiglie nonché tutti gli operatori istituzionali deputati al perseguimento degli obiettivi di inclusione.
L’articolo 2 (Ambito di applicazione) individua i soggetti beneficiari del decreto: l’atto è incentrato esclusivamente sull’inclusione scolastica degli alunni e degli studenti con disabilità certificata ai sensi della legge n. 104 del 1992.
L’articolo focalizza l’attenzione sull’inclusione scolastica da realizzarsi in un sistema integrato che, come già anticipato all’articolo 1, opera all’interno di un progetto complessivo di sostegno ed assistenza, realizzato da scuola, famiglia e i diversi soggetti, pubblici e privati, a diverso titolo coinvolti e con diverse competenze e responsabilità. Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) è inserito, infatti, quale parte integrante, del Progetto individuale, potenziandone sostanzialmente il ruolo, essendo lo stesso non un mero documento burocratico, ma l’occasione fondamentale per la realizzazione del “progetto di vita” degli alunni e degli studenti con disabilità.
In sostanza, l’art 2 ricalca appositamente l’innovativo concetto di “condivisione” nell’ambito della definizione del PEI, agganciandosi così a quell’idea cooperativa di inclusione scolastica che non riguarda solo il docente per il sostegno, ma tutte le componenti scolastiche, rimarcando al contempo, nell’ambito dei diritti, tutte le misure previste a legislazione vigente per il supporto, anche materiale, necessario per l’inclusione scolastica.
L’articolo 3 (Prestazioni e competenze) individua le prestazioni per l’inclusione scolastica effettuando una ricognizione dei compiti già assegnati, a normativa vigente, a ciascun Ente istituzionalmente preposto a garantire il diritto-dovere all’istruzione degli alunni e degli studenti con disabilità.
L’art 3 ribadisce che le scelte in materia di disabilità vanno nella direzione di definire un sistema integrato degli interventi fra servizio sociale, sanitario ed istruzione.
In virtù dell’attuale assetto di riparto delle competenze come tracciato dal vigente Titolo V della Costituzione, le funzioni dei vari Enti coinvolti nel processo d’inclusione scolastica, sono ripartite nel seguente modo:
allo Stato competono:
l’assegnazione, per il tramite dell’Amministrazione scolastica, dei docenti per il sostegno didattico, al fine di assicurare il diritto all’educazione e all’istruzione degli alunni e degli studenti con disabilità.
l’assegnazione, per il tramite dell’ Amministrazione scolastica, del personale ausiliario nella scuola statale, per lo svolgimento dei compiti di assistenza previsti dal profilo professionale, ai sensi della normativa vigente.
la costituzione delle sezioni per la scuola dell’infanzia e delle classi prime per ciascun grado di istruzione, in modo da consentire, di norma, la presenza di non più di 22 alunni ove siano presenti studenti con disabilità certificata, fermo restando il numero minimo di alunni o studenti per classe, ai sensi della normativa vigente.
la definizione dell’organico del personale ATA, tenendo conto, in sede di riparto delle risorse professionali, della presenza di alunni e di studenti con disabilità certificata presso ciascuna Istituzione scolastica statale, anche in deroga ai vincoli numerici come previsto dalle disposizioni vigenti.
assegnare alle istituzioni scolastiche paritarie un contributo economico, parametrato al numero degli alunni e degli studenti con disabilità certificata frequentanti, finalizzato all’inclusione scolastica degli stessi, ai sensi della legislazione vigente.
Alle Regioni, previa intesa in sede di Conferenza unificata, compete assicurare la progressiva uniformità su tutto il territorio nazionale della definizione dei profili professionali del personale destinato all’assistenza educativa e all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale, anche attraverso previsione di specifici percorsi formativi propedeutici allo svolgimento dei compiti assegnati, fermi restando gli ambiti di competenza della contrattazione collettiva e nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.
Agli Enti locali, ferma restando la ripartizione delle competenze prevista dall’articolo 1, comma 85 e seguenti della legge 7 aprile 2014 n. 56, competono:
a) l’assegnazione del personale dedicato all’assistenza educativa e all’assistenza per l’autonomia e per la comunicazione personale, come previsto dall’articolo 13, comma 3, della legge n. 104 del 1992;
b) i servizi per il trasporto per l’inclusione scolastica come garantiti dall’articolo 8, comma 1, lettera c) della legge n. 104 del 1992 e dall’articolo 139, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 112 del 1998;
c) l’accessibilità e la fruibilità degli spazi fisici delle istituzioni scolastiche statali di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), ed all’art 24 della legge n. 104 del 1992.
In ultimo, l’articolo definisce una prestazione comune a ciascuno degli Enti istituzionalmente preposti alla garanzia dell’inclusione scolastica nell’ambito della strumentazione didattica, ovvero statuisce la garanzia in capo allo Stato (Istituzioni scolastiche), alle Regioni (diritto allo studio) e agli Enti locali (erogazione dei sussidi didattici) dell’accessibilità e della fruibilità di strumentazioni tecnologiche e digitali nell’ambito della didattica, oggi indispensabili per l’apprendimento degli alunni e degli studenti con determinate tipologie di disabilità, quali, ad esempio, quelle sensoriali.
L’articolo 4 (Valutazione della qualità dell’inclusione scolastica) qualifica l’inclusione scolastica quale elemento portante dei processi di valutazione e di autovalutazione delle scuole, nell’ambito del Sistema Nazionale di Valutazione come disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica
n. 80 del 2013.
L’articolo, al comma 2, introduce i criteri relativi al processo di valutazione e di autovalutazione delle Istituzioni scolastiche, statali e paritarie, in tema di inclusione scolastica.
In pratica, l’art delinea le direttrici fondamentali verso cui si deve muovere l’azione educativa e formativa nell’ambito dell’inclusione scolastica da parte delle Scuole nei più ampi processi di valutazione e di autovalutazione necessari per la definizione dei cosiddetti “piani di miglioramento”.
Obiettivo della norma è, quindi, quello di identificare dei criteri che consentano alle scuole di valutare la propria azione inclusiva, di misurarla e di apportare le opportune strategie per migliorarla o consolidarla. I criteri identificati sono i seguenti:
a) qualità del Piano per l’inclusione scolastica (PAI);
b) realizzazione di processi di personalizzazione, individualizzazione e differenziazione dei percorsi di educazione, istruzione e formazione, definiti ed attivati dalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche degli alunni e degli studenti al fine di garantire loro il successo formativo;
c) livello di coinvolgimento dei diversi soggetti nell’elaborazione del Piano per l’inclusione e nell’attuazione dei processi di inclusione;
d) realizzazione di iniziative finalizzate alla valorizzazione delle competenze professionali del personale scolastico incluse le specifiche attività formative;
e) utilizzo di strumenti e criteri condivisi per la valutazione dei risultati di apprendimento degli alunni e degli studenti, anche attraverso il riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione;
f) grado di accessibilità e di fruibilità delle risorse, attrezzature, strutture e spazi.
L’articolo 5 (Certificazione e valutazione diagnostico-funzionale) individua la “valutazione diagnostico-funzionale” in luogo della “diagnosi funzionale” (DF) e del “profilo dinamico-funzionale” (PDF), quale nuovo strumento per la definizione del cosiddetto “funzionamento” dell’alunno e dello studente con disabilità certificata ai sensi della legge n. 104 del 1992, che costituisce il fondamento su cui definire le diverse provvidenze, ivi incluso il diritto al sostegno didattico.
Si tratta, in concreto, di una semplificazione sia in termini documentali (un solo documento in luogo di due) che in termini temporali e di un tentativo di addivenire ad una definizione uniforme del documento su tutto il territorio nazionale (anche attraverso apposite Linee guida che saranno elaborate dall’INPS), onde evitare difformità applicative e superare le attuali discrasie normative.
L’articolo 6 (Commissioni mediche) modifica l’attuale assetto delle Commissioni mediche, prevedendo che siano composte da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici dei quali uno scelto tra gli specialisti in neuropsichiatria infantile e l’altro tra gli specialisti in pediatria. Le Commissioni sono obbligatoriamente integrate dal medico INPS.
Al comma 2, la norma prevede che, al fine della predisposizione della valutazione diagnostico-funzionale, le Commissioni siano integrate da un rappresentante dell’ Amministrazione scolastica con specifiche competenze in materia di disabilità, nominato dall’Ufficio scolastico regionale competente per territorio e scelto tra i docenti impegnati in progetti e convenzioni di rilevanza culturale e didattica (organico dell’autonomia).
Nella fase della valutazione diagnostico-funzionale, si aggregheranno alle Commissioni pure uno specialista (terapista della riabilitazione) ed un operatore sociale, figure già previste dalle commissioni disciplinate all’articolo 4 della legge n. 104 del 1992.
Si tratta, in sostanza, di una inversione di tendenza rispetto all’attuale prassi che conduce all’assimilazione della condizione di gravità, come certificata ai sensi della legge n. 104 del 1992, all’attribuzione delle provvidenze, ivi incluso il sostegno didattico, senza che sul caso concreto vengano rilevati i bisogni effettivi di assistenza e di educazione, che mutano certamente in esito alla tipologia di disabilità, ma che non sono sempre certamente gli stessi in quanto, come è noto, una tipologia di disabilità incide sulla persona in maniera differente e plurima.
Reputo che in tal modo si corrisponderà meglio agli effettivi bisogni educativi e formativi dell’alunno/studente con disabilità nell’ambito delle provvidenze che ciascun soggetto istituzionale è tenuto ad erogare, evitando attribuzioni “meccaniche” che nulla hanno a che vedere con i suoi bisogni effettivi di integrazione.
Il comma5, infine, chiarisce che la quantificazione del sostegno didattico è di stretta competenza del Gruppo Inclusione Territoriale (GIT) come disciplinato dal presente decreto legislativo.
L’articolo 7 (Procedure della certificazione degli alunni/studenti con disabilità) al comma 1, precisa che l’INPS, soggetto a cui ordinariamente deve essere rivolta inizialmente l’istanza per la certificazione, deve trattare quelle relative all’inclusione scolastica in via prioritaria onde consentirne la calendarizzazione dell’accertamento entro 30 giorni dalla data di ricevimento dell’istanza. Le Commissioni mediche, conseguentemente, effettuano gli accertamenti e redigono il documento unico di cui al precedente articolo 6, entro 30 giorni dalla data di calendarizzazione dell’accertamento.
Il comma 2 scandisce le fasi relative all’inclusione scolastica, nel seguente modo:
a) presentazione da parte del medico di medicina generale o di un pediatra di libera scelta, in via telematica e su richiesta dei genitori o del soggetto con responsabilità genitoriale, della domanda di accertamento della condizione di disabilità. La domanda deve essere corredata dalla certificazione e dalla documentazione del medico specialista, redatte ai sensi di quanto previsto dal precedente articolo 5;
b) accertamento della condizione di disabilità, redazione della valutazione diagnostico-funzionale, individuazione e quantificazione di quanto previsto al precedente articolo 6 da parte della Commissione e successiva trasmissione ai genitori della documentazione;
c) trasmissione dei documenti da parte dei genitori all’Istituzione scolastica nonché al competente Ente locale ai fini della elaborazione, rispettivamente, del Piano Educativo Individualizzato, e del Progetto individuale ove richiesto dai Genitori;
d) elaborazione del Progetto Individuale da parte dell’Ente locale e trasmissione all’Istituzione scolastica;
e) trasmissione, a cura del Dirigente scolastico al Gruppo Territoriale Inclusione (GIT) di cui all’articolo 15 della legge n. 104 del 1992, come modificato dal presente decreto, ai fini della proposta delle risorse per il sostegno didattico, dei seguenti documenti:
1) documenti di cui ai precedenti articoli 5 e 6;
2) progetto individuale;
3) piano per l’inclusione (PAI);
4) elaborazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) da parte dell’Istituzione scolastica.
La procedura, in sintesi, solleva la famiglia da numerose incombenze burocratiche perlopiù demandate al medico di base e alla scuola. L’elaborazione della procedura, per completezza e per logica conseguenza, prevede che la redazione del Piano Educativo Individualizzato sia posto al termine dell’iter, in quanto il documento, d’ora in poi, dovrebbe avere un forte contenuto didattico-pedagogico, spogliandosi così definitivamente di qualsiasi richiamo burocratico. Esso sarà calibrato sulla base del progetto individuale nonché delle risorse di sostegno didattico definite nella procedura apposita.
L’articolo 8 (Gruppo per l’inclusione territoriale) novella l’articolo 15 della legge n. 104 del 1992, istituendo il GIT (Gruppo per l’inclusione territoriale) e sopprimendo tutti gli altri gruppi di lavoro ormai obsoleti.
Il GIT avrà il compito di procedere ad effettuare la proposta di risorse per il sostegno didattico all’USR competente per territorio. Esso sarà costituito per ogni ambito territoriale di cui all’articolo 1, comma 66, della legge n. 107 del 2015.
L’articolo 9 (Il Progetto individuale) prevede che il PEI sia parte integrante del progetto individuale di cui all’articolo 14, comma 2, della legge n. 328 del 2000.
L’articolo 10 (Piano per l’inclusione) definisce modalità e contenuti del “Piano per l’inclusione” (PAI), che rappresenta il principale documento programmatico-attuativo della scuola in materia di inclusione e costituisce uno dei momenti fondamentali per la definizione del progetto individuale, per la proposta di assegnazione delle risorse per il sostegno didattico da parte dei GIT e per la definizione del Piano Educativo Individualizzato.
Al fine di rendere veramente “inclusivo” il “contesto” delle istituzioni scolastiche, opportunamente, esso confluisce nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) quale elemento caratterizzante l’identità culturale e l’autonomia progettuale delle scuole. In esso sono contenute le azioni che la scuola intende intraprendere nell’ambito del contesto in cui opera. A tal fine è la scuola stessa a dover definire le opportunità che intende sfruttare nonché i vincoli di contesto in cui si deve muovere.
L’articolo 11 (Piano Educativo Individualizzato) delinea i contenuti e le modalità di approvazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) che confluisce a pieno titolo nel progetto individuale di cui al precedente articolo 10.
Nell’ottica di una scuola pienamente “inclusiva”, la redazione e l’approvazione del PEI sono giustamente visti quale impegno fondante non solo del docente per il sostegno, ma di tutto il consiglio di classe in cui è presente un alunno/studente con disabilità.
Il concetto fondamentale, pertanto, è che la progettazione e l’azione educativa sia esercitata da tutto il consiglio di classe che programma, unitamente all’insegnante per il sostegno, le strategie didattico-educative per il successo formativo di tutti e di ciascuno.
Viene rimarcato e potenziato, pertanto, il precedente concetto della “presa in carico globale” da parte di tutto il consiglio di classe, già declinato nella legge n. 104 del 1992 e non sufficientemente attuato nell’ambito dell’azione inclusiva quotidiana.
Infine, si rafforza l’”ineccepibile” principio secondo cui il PEI, sempre nell’ambito della progettazione integrata, è elaborato con la necessaria “partecipazione” delle famiglie e di tutti gli operatori assegnati alla classe in supporto alla disabilità.
L’articolo 12 (Ruoli per il sostegno didattico) istituisce le articolazioni del personale per il sostegno didattico per ciascun grado di istruzione, inclusa la scuola dell’infanzia, nell’ambito di quelli previsti dall’articolo 1, comma 66, della legge n. 107 del 2015.
Elemento di novità, oltre alla definizione di una sezione specifica che assegna una “dignità” particolare al docente assunto sul posto per il sostegno didattico, mi pare essere senz’altro la permanenza sul predetto posto che viene modificata dagli attuali 5 anni ai nuovi 10 anni, con computo anche del servizio pregresso.
Ritengo si tratti di una disposizione di particolare rilievo che favorisce finalmente la continuità didattica ed elimina definitivamente trattamenti giuridici differenziati tra personale con contratto di lavoro a tempo determinato e personale a tempo indeterminato.
L’articolo 13 (Corso di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria) introduce una nuova disciplina per l’accesso alla carriera di docente per il sostegno didattico nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria. In particolare, si prevede con decorrenza dall’anno 2019 che per l’accesso al corso di specializzazione in pedagogia e didattica speciale per le attività di sostegno didattico e l’inclusione scolastica, organizzato dalle Università autorizzate, di durata annuale e ad accesso programmato, che sostituisce il precedente corso annuale come disciplinato all’articolo 13 del Regolamento approvato con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 249 del 2010, lo studente consegua preventivamente 60 crediti formativi universitari relativi alle didattiche dell’inclusione oltre a quelli già previsti nel corso di laurea (31 CFU). Ai sensi della normativa vigente, l’accesso al corso di specializzazione per il sostegno didattico nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria era consentito con il solo conseguimento della laurea magistrale in scienze della formazione primaria.
In pratica, per rafforzare le conoscenze necessarie per poter svolgere la professione di docente specializzato, si richiede agli aspiranti una preparazione più solida sui temi dell’inclusione, corrispondente in totale a 120 CFU da acquisire, 60 preventivamente allo svolgimento del corso e ulteriori 60 nell’ambito del predetto corso di specializzazione, fermo restando il conseguimento preventivo della laurea abilitante in scienze della formazione primaria quale requisito “base” per lo svolgimento della funzione docente. L’articolo specifica che la positiva conclusione del corso è titolo per l’insegnamento sui posti di sostegno della scuola dell’infanzia e della scuola primaria.
L’articolo 14 (Corso di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità nella scuola secondaria di primo e secondo grado) introduce, in analogia con quanto previsto nel precedente articolo 13 per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria un’analoga modalità d’accesso alla professione di docente di sostegno per la scuola secondaria, attraverso l’istituzione del corso di specializzazione per le attività di sostegno agli alunni con disabilità nella scuola secondaria a decorrere dall’anno 2019. Le modalità sono le medesime previste dalll’articolo 13. Dunque, anche nel caso della scuola secondaria, si prevede il conseguimento di una solida preparazione sui temi dell’inclusione, pari a 120 CFU, da conseguire 60 prima della frequenza al corso e ulteriori 60 durante la frequenza del corso di specializzazione.
L’articolo 15 (Formazione in servizio del personale della scuola) definisce, per ciascuna tipologia di personale della scuola, la tipologia delle attività formative che dovranno essere svolte in materia di inclusione scolastica.
Finalmente, la formazione viene considerata uno “snodo” fondamentale anche per l’innalzamento della qualità della didattica inclusiva e si precisa che essa deve coinvolgere tutte le componenti scolastiche chiamate ad operare in maniera “cooperativa” ai fini del raggiungimento del successo scolastico di tutti gli alunni/studenti.
A tal fine, si afferma opportunamente che il “Piano Nazionale di Formazione obbligatoria”, di cui all’articolo 1, comma 124 della legge n, 107 del 2015, può rappresentare un’occasione concreta per garantire lo svolgimento delle necessarie attività formative per la piena realizzazione di quanto previsto dal “neonato” decreto legislativo sull’inclusione.
In proposito, l’articolo 15 specifica che le scuole, nell’ambito del Piano di formazione inserito nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), definiscano specifiche attività formative appositamente calibrate per quei docenti, curricolari e di sostegno, che insegnano in classi in cui sono presenti alunni/studenti con disabilità.
La formazione, finalmente e “fortunatamente”, dovrà essere rivolta anche al personale ATA (che è tenuto a parteciparvi) e al personale dirigenziale, sia all’atto dell’immissione in ruolo che durante lo svolgimento dell’intera carriera.
L’articolo 16 (Continuità didattica) introduce il principio “sacrosanto” della continuità didattica anche per gli alunni e gli studenti con disabilità certificata, che è posto inequivocabilmente una volta per tutte in capo non solo al docente di sostegno, ma anche a tutto il personale della scuola. Il principio, che ha natura di indirizzo generale per le attività delle scuole, deve estrinsecarsi nell’ambito sia del piano per l’inclusione che del Piano Educativo Individualizzato.
L’articolo 17 (Osservatorio permanente per l’Inclusione scolastica) cristallizza l’istituzione dell’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica che, in raccordo con l’Osservatorio nazionale, supporta il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca nei seguenti aspetti:
a) analisi e studio delle tematiche relative all’inclusione degli alunni/studenti con disabilità a livello nazionale e internazionale;
b) monitoraggio delle azioni per l’inclusione scolastica;
c) proposte di accordi inter-istituzionali per la realizzazione del progetto individuale di
inclusione;
d) proposte di sperimentazione in materia di innovazione metodologico-didattica e
disciplinare.
L’osservatorio è presieduto dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca o da un suo delegato, ed è composto dai rappresentanti delle Associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative sul territorio nazionale nonché da altri soggetti pubblici e privati individuati dal Ministro.
L’articolo 18 (Istruzione domiciliare) introduce una norma di particolare rilievo che supera alcune criticità emerse in tema di istruzione domiciliare, ad oggi non precipuamente normata e resa effettiva da linee di indirizzo del Ministero che hanno in parte assimilato la disciplina relativa alla “scuola in ospedale” di cui all’articolo 12, comma 9, della legge n. 104 del 1992, all’istruzione domiciliare. L’articolo specifica che le istituzioni scolastiche, in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale, gli Enti locali e le aziende sanitarie locali individuino azioni per garantire il diritto all’istruzione agli alunni e studenti per i quali sia accertata l’impossibilità della frequenza scolastica per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione, a causa di gravi patologie certificate, anche attraverso la definizione di progetti che possono avvalersi dell’uso delle nuove tecnologie.
Viene superato, quindi, in generale, il concetto della preventiva ospedalizzazione e della sola “sezione in ospedale”, che, pur permanendo nell’ordinamento, ormai da sola non risulta essere più coerente con le evoluzioni temporali, in campo medico, tecnologico e didattico.
L’articolo 19 (Abrogazioni), l’articolo 20 (Decorrenze) e l’articolo 21 (Copertura) chiudono il provvedimento, stabilendo la legislazione da esso abrogata, le decorrenze temporali per la sua entrata in vigore ed infine ne fissano gli aspetti finanziari.
Queste le nostre considerazioni tecnico-scientifiche sul Decreto 378 del 2017, che nelle intenzioni della neoministra Fedeli dovrebbe “rivoluzionare” l’attuale sistema dell’inclusione scolastica e garantire finalmente un’inclusione di qualità agli allievi con disabilità del nostro Paese.
Aspettiamo ovviamente anche i vostri commenti.
Il nostro auspicio è che in questi 60 giorni che precedono la pubblicazione del testo finale del Decreto sull’inclusione, durante i quali il provvedimento sarà discusso nelle competenti Commissioni parlamentari, la Ministra, come d’altronde ha già promesso di fare, cambi radicalmente atteggiamento nei confronti delle Associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Aspettiamo con ansia che la Ministra Valeria Fedeli ci convochi finalmente in audizione per ascoltare la “voce” di chi come noi affronta sul campo la “faticosa” quotidianità del sostegno didattico e, pertanto, può contribuire a rendere quel testo ancora più “efficace” ed alla portata del successo scolastico di tutti e di ciascuno.
L’inclusione non può prescindere dallo sforzo collaborativo del Ministero, che deve essere sempre in grado di confrontarsi a “tutto tondo” e di attivare sinergie positive e cercare sintonie strategiche con tutto il contesto scolastico (dunque anche con gli allievi con disabilità, con i loro genitori e con chi li rappresenta), senza sconfinamenti in campi altrui e nell’unico interesse del loro diritto allo studio.

Approvata la riforma del sostegno, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Sono 8 su 9 le deleghe della legge Buona Scuola approvate ai senzi del comma 181 dal Consiglio dei ministri Sabato 14 gennaio.
In particolare, le deleghe riguardano: inclusione scolastica; cultura umanistica; diritto allo studio; formazione iniziale e accesso all’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado; istruzione professionale; scuole italiane all’estero; sistema integrato di istruzione dalla nascita fino a sei anni; valutazione, certificazione delle competenze ed Esami di Stato.
I provvedimenti vanno ora in Conferenza Unificata per l’apposito parere e alle competenti Commissioni parlamentari.
Naturalmente, per le Associazioni di e per disabili e per le loro famiglie, uno dei tasselli più qualificanti delle deleghe de La Buona Scuola è costituito dall’intervento sul sostegno che prevede un cambiamento significativo nell’inclusione degli alunni/studenti con disabilità nel sistema educativo italiano.
In attesa del testo approvato a Palazzo Chigi (nei prossimi giorni al vaglio della Conferenza Unificata e delle commissioni parlamentari di competenza, per l’acquisizione dei prescritti pareri), forniamo ai nostri lettori la sintesi della delega sul sostegno didattico prodotta dallo stesso Consiglio dei ministri lo scorso 14 Gennaio.
Sulla promozione dell’inclusione scolastica degli allievi con disabilità, sono diverse le novità introdotte. Ve le riassumiamo.
Il decreto aggiorna, riorganizza e razionalizza i provvedimenti vigenti in materia, tenendo conto della nuova prospettiva nazionale ed internazionale dell’inclusione scolastica, riconosciuta quale identità culturale, educativa e progettuale del sistema di istruzione e formazione in Italia. Il testo chiarisce chi sono i beneficiari di specifiche misure di inclusione scolastica peculiari per i minori disabili. Viene previsto che, ove siano presenti studenti con disabilità certificate, le sezioni per la scuola dell’infanzia e le classi prime per ciascun grado di istruzione, non abbiano classi di più di ventidue alunni, fermo restando il numero minimo di alunni e studenti per classe previsto dalla normativa vigente.
Le linee guida del decreto puntano ad una semplificazione e snellimento delle pratiche burocratiche, ad una maggiore continuità didattica (si prevede quindi un incremento, probabilmente fino a 10 anni, della permanenza sul sostegno per i neo-assunti prima di chiedere il passaggio su insegnamento curricolare n.d.r.) ad una formazione del personale docente e della comunità scolastica ed alla costruzione di un progetto di vita che coinvolgerà più attori della società che collaborano in rete”.
Inoltre, sottolineano da Viale Trastevere, “non sarà solo la gravità della disabilità a determinare le risposte offerte dagli alunni: si cercherà di determinare in senso più ampio i loro bisogni”.
Questo significa che l’attività di presa in carico degli alunni sarà più condivisa: la scuola fornirà al nuovo Gruppo di Inclusione Territoriale (GIT) il Piano di inclusione (PAI), la valutazione diagnostico-funzionale e il progetto individuale per l’alunno che costituiranno la base delle richieste all’Ufficio scolastico regionale.
A delega approvata, gli insegnanti di sostegno saranno “più preparati, con l’obbligo di 120 crediti formativi universitari sull’inclusione scolastica (oggi sono 60) per tutti i gradi di istruzione, 60 prima del percorso di specializzazione e 60 durante,  (il doppio rispetto ad oggi)”.
Inoltre, “tutti i futuri docenti avranno nel loro percorso di formazione iniziale materie che riguardano le metodologie per l’inclusione e ci sarà una specifica formazione anche per il personale della scuola, Ata compresi”.
Ne consegue, dunque, che i corsi di specializzazione sul sostegno diventeranno più impegnativi, oltre che specifici rispetto al panorama delle tante disabilità presenti.
In definitiva, anche se tale testo noi non lo abbiamo mai avuto tra le mani ed, ad oggi, (ma la speranza è l’ultima a morire) nessuno del MIUR si è ancora preso la briga di convocarci per una seria consultazione ed un confronto diretto su di esso, la Delega sull’inclusione scolastica “partorita” dal Governo Sabato scorso, mi pare abbastanza condivisibile, in quanto fa perno su quattro aspetti principali da sempre rivendicati dalle organizzazioni dei disabili e dai genitori dei nostri ragazzi:
formazione adeguata e specifica sulle diverse disabilità degli insegnanti e continuità didattica;
garanzia dei diritti degli alunni;
migliore organizzazione territoriale e del “contesto”;
rapporti con le famiglie
Si tratta, infatti, di quattro punti cardine che, non dimentichiamolo, traggono origine dalla “famosa” PDL 2444 presentata dalla FAND e dalla FISH, in seguito all’emanazione del Dpr del 4 ottobre 2012 con il quale veniva approvato dal Governo il Piano d’azione per attuare la Convenzione Onu sulla disabilità del 2006.
Ritornando all’attuale Delega sull’inclusione scolastica, per esaminare il decreto le Commissioni parlamentari avranno a disposizione esattamente 60 giorni a partire dal momento in cui i testi dei provvedimenti saranno consegnati ai presidenti delle Commissioni stesse (si presume che questo possa avvenire la prossima settimana). Scaduti i 60 giorni il Governo sarà autorizzato ad emanare i testi definitivi dei decreti anche senza il parere di deputati e senatori.
Tuttavia, per esaminare un decreto particolarmente delicato e complesso come quello sulla riforma del sostegno didattico, io ritengo ci vorranno tempo e attenzione. Dunque, non escludo che i 60 giorni risultino davvero pochi.
La stessa Ministra Fedeli, per parte sua, ha già detto che i decreti approvati lo scorso 14 Gennaio dall’Esecutivo sono solamente delle bozze molto provvisorie e che adesso bisogna aprire un’ampia campagna di ascolto.
Allora, mi sorge spontanea una domanda: Considerato che quella sulla riforma dell’inclusione scolastica è ancora una “bozza provvisoria”, perché si è perso così tanto tempo nell’ascoltare le associazioni di e per le persone con disabilità e le loro famiglie e lo si promette di fare soltanto dopo aver già adottato il Decreto attuativo?
Di tutta questa storia, a mio modesto avviso, un fatto è assolutamente evidente e chiaro e su di esso non potremo transigere: Le persone con disabilità visiva, come credo tutte le organizzazioni di e per disabili e le loro famiglie, da ora in poi, non potranno più accettare che il Governo proceda sulla riforma dell’inclusione scolastica senza di loro e senza tenere conto del loro punto di vista.
Non ci si può dimenticare in un baleno del ruolo decisivo e “centrale” che, da quarant’anni a questa parte, il “mondo” dei disabili, i loro genitori e, soprattutto gli stessi insegnanti per il sostegno hanno avuto nella vittoria della “via inclusiva” nel sistema scolastico italiano.
.  E poi, nel merito, ci sono aspetti su cui dobbiamo necessariamente “chiarirci” con il MIUR.
La Ministra Valeria Fedeli ha definito la delega sul sostegno “una delle parti più innovative e significative de la Buona Scuola.
Ma perché ciò avvenga efficacemente, occorrerà dare corso ad un confronto concreto e fattivo con la FAND e la FISH, gli alunni/studenti con disabilità, i loro genitori ed i docenti per il sostegno.
Con loro e soltanto con loro, quindi, il Miur dovrà apportare le modifiche finali al testo della Delega sull’inclusione scolastica.
Il nostro auspicio è che oggi cominci un percorso diverso rispetto al recente passato, che rappresenti finalmente il punto di partenza di un coinvolgimento diretto e più strategico e di un dialogo costruttivo con chi, come noi, i problemi del sostegno didattico li vive quotidianamente, nell’unico interesse dell’inclusione dei nostri ragazzi.
. Aver dato il primo via libera in Cdm non significa pensare che il testo sia chiuso. Adesso, la ministra dovrà adoperarsi in tutti i modi perché nelle Commissioni parlamentari vengano ascoltate in audizione anche e soprattutto le istanze degli allievi con disabilità e delle loro famiglie. Soltanto così, il testo finale del Decreto attuativo della riforma del sostegno sarà frutto della massima condivisione possibile.
Infatti, nel corso di un’intervista a RaiNews24, il ministro Fedeli ha affermato che “è stato importante, a due giorni dalla scadenza, avere questa delega. Ma, a parere di chi scrive, altrettanto importante è che ora parta un ascolto “vero” di tutti i soggetti che vivono nella comunità scolastica, ed in particolar modo delle associazioni di e per disabili, dei loro genitori e degli insegnanti per il sostegno.
Scriveva Feuerbach “Non c’è un “io” e non c’è un “tu”, ma solo un “noi”.
Ecco, se il MIUR non investirà realmente ed adeguatamente sugli alunni/studenti con disabilità, sulle loro famiglie e sui docenti specializzati e se non costruirà con loro un effettivo ed efficace “clima” di condivisione e di collaborazione, potrà varare anche decine di riforme sul sostegno, ma farà sempre fatica a creare le condizioni affinchè ci sia un’inclusione di qualità per tutti e per ciascuno.

L’inclusione scolastica non la garantiscono i giudici, di Luciano Paschetta

Autore: Luciano Paschetta

La sentenza del giudice catanese che assegna un sostegno per l’intero orario scolastico pone a tutti coloro che si occupano di inclusione scolastica un obbligo di riflessione: quel giudice ha potuto scrivere quella sentenza perché le leggi in vigore e , soprattutto la loro applicazione, glielo hanno consentito. Le sentenze infatti , parlo da non tecnico del settore, non sono mai giuste o sbagliate purché siano fondate su norme vigenti e cogenti. Ho cercato quindi di capire su quali basi sentenze simili (quella Catanese non è la prima) possano giustificarsi e, soprattutto, perché esse soddisfacciano i genitori convinti che in tal modo il loro figlio, figlia avrà i giusti interventi per crescere ed essere educato.
Abbiamo cercato spesso la risposta nel ruolo e nella preparazione o meno dei docenti per il sostegno e dei docenti curriculari, piuttosto che in una diversa organizzazione del tempo scuola, questo è stato sicuramente necessario, ma credo che, per arrivare alla radice del problema , occorra andare “oltre”.
Ho già avuto modo di dire che l’inclusione non la fa il docente di sostegno , ma il contesto e che uno dei punti di debolezza del nostro modello di inclusione è stato quello di aver visto nel docente per il sostegno il deus ex machina capace di assicurare il successo del processo di inclusione, abbiamo anche dibattuto sul livello e sulla tipologia della sua preparazione e sulla preparazione di tutti i docenti ma abbiamo omesso di riflettere sul fatto che l’intervento di inclusione di cui stiamo parlando si attua in una scuola, una istituzione nella quale operano delle figure professionali e (i docenti) che devono essere preparati si ad educare, ma attraverso percorsi didattici di “istruzione”, una istituzione che ha come finalità l’”istruzione” dei bambini/ragazzi e che questa sua funzione , e non altre, deve svolgere con tutti compresi gli alunni con disabilità.
La scuola, non è l’unica agenzia educante, essa è quella che ha come obiettivo l’educazione del bambino/ragazzo attraverso la sua istruzione. Se è vero che alla  scuola materna il binomio educazione/istruzione è difficilmente scindibile nel senso che ciò che si insegna al bambino fa parte di un bagaglio di competenze intrinseche all’educazione delle sue potenzialità di base, la scuola , a partire dalla primaria e sempre più nella secondaria, ha come compito l’istruzione ossia l’insegnamento di conoscenze e competenze dei diversi saperi attraverso i codici formali  delle varie discipline siano esse la lingua, la logica matematica , la geografia , le scienze, la storia, e così via, alla scuola quindi si potrà e si dovrà chiedere di fornire questo  e non altro anche al disabile, secondo il livello  del grado  di istruzione nel quale egli è inserito e tenuto conto delle sue potenzialità di apprendimento.  A questo si aggiunga  un compito di educazione alla socialità e alla cittadinanza . E’ su questa base che dovrà essere redatto il profilo funzionale dal quale i docenti potranno trarre gli elementi per scrivere un P.E.I.  nel quale siano indicati gli obiettivi didattici di apprendimento , le modalità ed i percorsi per raggiungerli e per valutarli sia per ciò che concerne l’istruzione sia per quanto riguarda gli aspetti della “socializzazione”, gli strumenti e le risorse che la scuola con i suoi docenti curriculari e per il sostegno può dare con una didattica inclusiva al bambino/ragazzo per soddisfare i suoi bisogni di apprendimento scolastico. Per le altre necessità educative che il bambino dovesse avere la scuola non ha le competenze necessarie e non potrà mari averle.
Tener conto di questo porta la scuola ha dover ragionare sul numero di ore di sostegno necessarie non più in relazione alla gravità della disabilità, ma guardando alle capacità in riferimento al livello di “istruzione” possibile per l’alunno rapportato alla tipologia di scuola frequentata: un disabile intellettivo   grave ed un cieco, hanno entrambi una grave disabilità, ma il loro grado di “istruibilità” (consentitemi questo neologismo) è ben diverso e al ragazzo cieco potranno servire un numero di ore di sostegno a scalare via, via che lui acquisisce autonomia   personale, di mobilità e nel lavoro didattico e competenza nell’uso degli ausili, mentre all’alunno con un grave ritardo di apprendimento, verificato che la sua “istruzione” così come sopra descritta, non può andare oltre un certo limite e le ore di un docente per il sostegno non servono più, di lì in poi la scuola potrà offrire solo occasioni di socializzazione con i compagni, tenendo altresì  conto che la socializzazione  passa anch’essa attraverso una  analogia di conoscenze.
Non spetta alla scuola scrivere il “progetto di vita” del bambino/ragazzo con disabilità , né esserne la sola responsabile, essa dovrà essere un importante soggetto di questo progetto, che però deve essere “scritto” in un ambito più ampio con il coinvolgimento di più agenzie: il P.U.A.D. previsto dalla nuova legge delega dovrebbe svolgere questa funzione. In questi quarant’anni di inserimento/integrazione/inclusione la scuola, spesso lasciata sola, è stata comunque l’unica che ha sviluppato una organizzazione mirata al problema della diversità e che ha garantito se non altro l’accoglienza dei ragazzi con disabilità. Per questo ad essa sono stati di fatto demandati la responsabilità e tutto il “carico” educativo, dell’alunno con disabilità ed essa , con tutti i suoi limiti, è riuscita comunque, in questi anni, a garantire una adeguata istruzione e una vera inclusione scolastica a molti alunni con disabilità, ma per altri i cui bisogni educativi travaricano le problematiche dell’istruzione e le sue competenze non è riuscita, né si può pensare potrà mai farlo.
Non prendere atto di ciò, continuando a cercare delle risposte al mancato successo dell’inclusione solo all’interno della scuola, vuol dire non rendersi conto che quelle risposte essa non potrà darle  perché non rientrano nelle sue finalità ed al suo interno non potrà avere il personale preparato a soddisfarle.
Forti dell’esperienza e della certezza che l’inclusione è il modello giusto per la scolarizzazione dei ragazzi con difficoltà, è il momento di cambiare la prospettiva della nostra azione: uscire dall’hortus conclusus della scuola e rivedere   questo modello di inclusione   che “scarica” alla scuola ogni responsabilità nell’educazione del bambino con disabilità , sostituendolo con un modello nel quale la scuola in rete dia all’alunno con disabilità ciò che lui è in grado di apprendere, questo però in un contesto  che si faccia carico di quant’altro necessario alla sua crescita e alla sua inclusione sociale al di là dell’istruzione, e secondo un vero progetto di vita.
Diversamente continueremo a guardare il dito  senza vedere  la luna e i giudici continueranno a decidere comi si realizza l’inclusione e a discutere sul numero di ore di sostegno necessarie fino ad arrivare alla totalità dell’orario scolastico senza che questo dia al disabile le occasione di crescita di cui avrebbe bisogno.

Tante ore di sostegno non garantiscono sempre un’inclusione di qualità, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Caro Gianluca,
con la presente, ti segnalo un interessante articolo del 31 Dicembre 2016 su La Sicilia di Catania, intitolato “Dal giudice per dare un’istruzione a mia figlia autistica”.
Ti sarò grato se vorrai dare a queste mie poche parole diffusione tramite la stampa associativa dell’UICI.
Grato sempre per il lavoro di sensibilizzazione che l’Unione svolge, ti saluto cordialmente e formulo al Presidente Barbuto fervidissimi auguri per il nuovo anno.

Accogliendo di buon grado la richiesta dell’Avv. Nocera della FISH, di seguito riportiamo integralmente la sua lettera e, naturalmente, aspettiamo i sicuramente numerosissimi commenti ed interventi dei nostri lettori su tale “delicata” vicenda:

“Con riferimento all’articolo apparso su La Sicilia di Catania il 31 Dicembre 2016, intitolato “Dal giudice per dare un’istruzione a mia figlia autistica”, debbo sinceramente manifestare il mio pensiero che non concorda col plauso dei più per questa sentenza.
Infatti l’articolo di Carmen Greco ha un incipit condivisibilissimo denunciando l’alternarsi criminale di docenti per il sostegno nel corso dei primi mesi dell’anno scolastico; poi però il resto dell’articolo riguarda la vittoria ottenuta tramite il conseguimento di tante ore di sostegno quante sono le ore di insegnamento; e questo tema, che con la sacrosanta denuncia della discontinuità didattica, non ha nulla ha che fare, non mi trova concorde. Perchè ? Presto detto: l’inclusione scolastica come l’abbiamo voluta e realizzata negli ultimi anni Sessanta e primi Settanta era fondata sul principio che gli alunni con disabilità siano alunni della classe e quindi dei docenti della classe come gli altri alunni. Infatti inizialmente non esistevano i docenti per il sostegno che cominciarono ad operare di fatto alla fine del 75 e poi legalmente con la l.n. 517/77. Il progetto di vita inclusiva era predisposto e realizzato sostanzialmente dai docenti curricolari che non avevano classi affollate e per i quali il Ministero di allora aveva organizzato moltissimi corsi di aggiornamento sulle prime esperienze  ed i primi studi di didattiche inclusive, avviati tra i primi da Andrea Canevaro dell’Università di Bologna.
Purtroppo nei decenni successivi  le classi cominciarono a divenire sempre più affollate , anche con la compresenza di più di un alunno con disabilità ed i corsi di aggiornamento cominciarono a ridursi di numero; contemporaneamente i docenti curricolari, approfittando della crescente presenza di docenti per il sostegno che venivano specializzandosi, cominciarono  a ritrarsi da quegli iniziali interventi didattici, delegandoli sempre più ai docenti per il sostegno. Ciò con l’andar del tempo ha fatto sì che tutta la presa in carico del progetto inclusivo gravasse esclusivamente, specie nelle scuole secondarie sui docenti per il sostegno, siano essi specializzati o meno.
Di conseguenza, quando a causa dei crescenti tagli alla spesa pubblica le ore di sostegno andarono sempre più riducendosi, gli alunni con disabilità venivano abbandonati  sempre più a sè stessi in fondo alla classe o, raggruppati nelle aule di sostegno; tutto ciò ha costituito una palese crescente violazione della lettera e dello spirito  della normativa sull’inclusione scolastica. Di qui le giuste reazioni dei genitori che si sono rivolti sempre più ai giudici per ottenere uncrescente numero di ore di sostegno, sino a pervenire a sentenze , come questa, che ritengono di garantire il diritto all’inclusione, assegnando lo stesso numero di ore di sostegno pari al numero di ore di lezione.
Ciò sta producendo un totale disinteresse dei docenti curricolari per il progetto inclusivo ed una mancata inclusione sostanziale degli alunni con disabilità. Tanto è vero che sempre più i genitori parlano del ” proprio ” docente per il sostegno.
Può darsi che i più giovani ritengano l’attuale situazione e l’attuale sentenza un passo avanti nella conquista del diritto all’inclusione scolastica ; io però  la penso diversamente , poichè ho sperimentato, da minorato della vista, l’inclusione  nel profondo Sud a Gela in Sicilia, negli anni Cinquanta , quando la normativa inclusiva era inesistente anche nella mente del legislatore,  ed ho realizzato tale inclusione solo con i miei docenti curricolari di allora e coi miei compagni di classe, coi quali ancora, a quasi ottant’anni, mi ritrovo a parlare, in forza dell’amicizia nata tra i banchidi scuola e poi all’università.
Mi permetto pertanto, se si vuole accogliere il consiglio di un vecchio, di non brindare a questi falsi successi, ma di battersi per una seria ripresa della formazione iniziale ed in servizio dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive; non penso assolutamente a rinunciare alla preziosa figura dei docenti per il sostegno; ma, come dice la loro denominazione , essi debbono essere ” di sostegno  “ai colleghi curricolari ” per l’inclusione tra loro degli alunni con e senza disabilità; oggi , e sfido chiunque a smentirmi, essi sono divenuti i sostituti dei veri artefici dell’inclusione che debbono essere i docenti curricolari. E sentenze come questa, purtroppo rafforzano nelle famiglie, nell’opinione pubblica e,addirittura, negli stessi docenti curricolari, l’idea che più sono le ore di sostegno assegnate, più cresce la qualità dell’inclusione.
Voglio sperare che il piano nazionale di formazione obbligatoria in servizio avviato dal MIUR a seguito della l.n. 107 sulla Buona Scuola, riesca a colmare il vuoto lasciato nella formazione delle didattiche inclusive dei docenti curricolari e gli indicatori di qualità dell’inclusione che l’emanando decreto delegato dovrà individuare  permettano di tornare  a misurare il livello dei valori  iniziali dell’inclusione scolastica  realizzati quotidianamente nelle classi di oggi.”
Salvatore Nocera
Esperto Inclusione scolastica della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)