Contributi dei lettori: Ci sono anch’io, di Lucia Manna

Autore: Lucia Manna

“Vorrei essere nato al contrario per poter capire questo mondo storto”.
Jim Morrison

Certo che Morrison non aveva tutti i torti: il mondo spesso va al contrario di come dovrebbe essere e per cercare di capire dovremmo andare anche noi storti.
Fra le cose che tendono sempre a ragionare al contrario, ci sono la giustizia e le istituzioni che spesso non guardano aldilà del loro mondo e difficilmente si pongono realmente un problema che riguarda i cittadini, soprattutto del cittadino più debole che non ha armi per difendersi, o comunque le armi che possiede, chi sa perché non feriscono nessuno.
Della legge Delrio entrata in vigore nell’otto aprile duemila quattordici, tutti ne abbiamo sentito parlare, ma chi sa se sono anche così noti i problemi che sta causando ai ragazzi disabili che hanno come tutti, il diritto di andare a scuola e di costruirsi un futuro.
Esattamente la legge delrio legge n. 56 del 7 aprile 2014 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni” ridisegna confini e competenze dell’amministrazione locale.
Il decreto legislativo 112/1998 (art. 139, comma 1 c) invece, conferiva alle Province l’incarico di garantire assistenti educativi e della comunicazione (AEC).
Il supporto di queste figure risulta essenziale in caso di alunni sordi, non vedenti, ipovedenti o con pluriminorazioni, e il loro ruolo è espressamente previsto dalla legge quadro 104/1992.
Inoltre, le province stesse dovevano assicurare in maniera del tutto gratuito il trasporto scolastico ai ragazzi con disabilità nelle scuole superiori.

Ora con l’abolizione delle provincie, sta accadendo che le amministrazioni fanno tutto un tiro e molla del decreto e del trasporto scolastico, senza decidere a chi spetti la responsabilità di garantire queste competenze e servizi.
Così, è bastata una firma per rischiare di cancellare anni di sacrifici di volontari che seguono i disabili, i sacrifici di chi ha lottato per far valere i loro diritti e per l’integrazione, degli insegnanti di sostegno che già dovrebbero essere maggiori, ma soprattutto si rischia di cancellare i sacrifici delle famiglie e dei ragazzi stessi che vogliono gridare al mondo: “Ci sono anch’io”!
“Ci sono anch’io” nel lavoro, “ci sono anch’io” nel mondo della cultura, “ci sono anch’io con i miei sogni e “ci sono anch’io nella Società”.
Un Coro di “ci sono anch’io” troppe volte ignorato, poiché è più facile tapparsi le orecchie che ascoltare: soprattutto quando ascoltare, richiede impegno e non solo tempo.
Eppure basterebbero poche ore per mettersi a tavolino e trovare una soluzione, basterebbe qualcuno con un po’ di buon senso che si prenda l’incarico di gestire questi servizi che non sono capricci, e soprattutto non sono facoltativi, ma sono obbligatori: ma forse non tutti sanno cosa significhi la parola “obbligatori”.
Mi domando: quand’è che i cosiddetti normali, scenderanno dal loro piedistallo e cominceranno a guardare il più debole, non con gli occhi della pietà, perché nessuno chiede la pietà, ma solo con gli occhi di chi si cala nelle difficoltà degli altri e tenda la mano senza nessun tornaconto?

Se sapessi che potrebbe servire parlerei di una bambina che conosco e che con i suoi occhi spenti e il suo sorriso, illumina chi le sta accanto.
Parlerei della sua voglia di scoprire cose nuove, della sua voglia di giocare, della voglia d’imparare e di quanta gioia di vivere a dentro di se;
lei che differenze non le fa, che considera tutti quanti uguali, lei che sta imparando a guardare il mondo con le sue piccole mani, non conosce le brutture di cui si rende artefice l’uomo, non sa che ragazzi ora più grandi, hanno dovuto chiudere i libri e sogni nel cassetto, sperando che alla fine qualcuno si accorga di loro.
Lei non sa che esiste la sala dei poteri dove vivono alcuni uomini, non sa che lì, non si respira aria, ma solo fama di gloria e di menefreghismo.
Ma chi sa, forse quando inizierà a diventare donna e abbandonerà i suoi giocattoli in qualche grosso baule, anche la società dei ricchi avrà abbandonato il suo egoismo e avrà smesso di dire e pensare: “tanto che importa a me”!

Contributi dei lettori: Progetto “CHANGE L.I.F.E.”, di Nunziante Esposito

Autore: Nunziante Esposito

ELEZIONI CONSIGLIO PROVINCIALE UICI DI NAPOLI – 18 APRILE 2015
Riceviamo e volentieri diffondiamo:

Fin dalla sua fondazione, l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ha lottato per perseguire lo scopo dell’inclusione sociale dei minorati della vista, favorendone la piena attuazione dei diritti umani, civili e sociali.
Il nostro primo impegno è certamente quello di continuare questa azione, ma anche e soprattutto dare una svolta, un cambiamento per ricercare soluzioni alternative a vecchi e nuovi problemi, profondendo tutte le nostre forze e tutte le nostre energie al raggiungimento di risultati concreti ed efficaci. Quest’ultimi dovranno servire ad un netto miglioramento della vita dei non vedenti e degli Ipovedenti, e saranno fattibili solo attraverso strumenti che consentano loro il superamento di barriere sensoriali, fisiche e soprattutto culturali.
Proprio perché il nostro intento è quello di cambiare ossia migliorare la vita dei disabili visivi, restituendo loro dignità e libertà di vivere, il nostro motto è diventato “CHANGE L.I.F.E. (cambia vita)”, dove life è l’acronimo dei quattro punti salienti su cui si fonda il nostro programma, e che di seguito riportiamo ed esplicitiamo:
LAVORO: da sempre fonte di vero e proprio riscatto sociale per i disabili visivi, crediamo sia indispensabile puntare sempre di più ad un inserimento massivo nella società, sia per coloro che hanno le competenze necessarie, ma soprattutto anche per quelli che, non avendo le giuste conoscenze o gli opportuni stimoli, sono portati a rinunciare a questo sacrosanto diritto. Questa attenzione sarà dedicata ancora di più a coloro che hanno avuto la disavventura di perdere la vista in età avanzata, con tutte le conseguenze disastrose subite sia sul piano sociale che psicologico e personale. Concentreremo quindi la nostra attenzione sia sulle professioni tradizionali, quali il centralinista telefonico e il fisioterapista, e i loro adattamenti legislativi in termini di collocamento obbligatorio, che sulle nuove professioni, di concerto con la Presidenza Nazionale dell’U.I.C.I. Infine saremo molto attenti all’iter delle leggi in materia di pensionamento, non sempre di facile comprensione e applicazione, battendoci per il pieno riconoscimento degli anni di “abbuono” maturati, con la ferma convinzione che le attività lavorative praticate dai non vedenti sono particolarmente usuranti, principio peraltro riconosciuto dalla legge, perciò esso, è per sua natura, irrinunciabile.
ISTRUZIONE: l’obiettivo principale in questo ambito è quello di garantire a tutti i non vedenti, la possibilità di frequentare le scuole di ogni ordine e grado, sia professionali, che umanistiche, dando loro l’assistenza e il supporto materiale, affinché possano seguire i corsi di studio al pari dei propri coetanei.
FORMAZIONE: Cercheremo, inoltre di aumentare la collaborazione con le istituzioni per i ciechi presenti sul territorio, indirizzandoli a diventare dei veri e propri enti di ricerca, aggiornamento e formazione, destinati sia ai disabili visivi che agli insegnanti, educatori, genitori, assistenti alla comunicazione e tutti quelli che direttamente o indirettamente siano coinvolti con il mondo dei non vedenti.

EDUCAZIONE: nel progetto educativo c’è anche l’intento di favorire la creazione di una rete permanente fra gli insegnanti di sostegno, utile allo scambio continuo di esperienze e informazioni, con la convinzione che solo la conoscenza, rende gli uomini liberi. Mai come in questo caso è vera l’affermazione, laddove c’è preparazione degli insegnanti e dei genitori e di conseguenza un’educazione del disabile dai primi anni di vita, esiste certamente un sano sviluppo cognitivo che gli permetterà in età adulta un futuro di autonomia e autostima.

Oltre a queste quattro macroaree di problematiche fondamentali, abbiamo individuato altri punti salienti che ci sembrano imprescindibili:

AUTONOMIA, AUSILI e NUOVE TECNOLOGIE: L’evoluzione dei tempi crea sempre nuove possibilità nel campo delle nuove tecnologie, mettendo continuamente a disposizione nuovi strumenti, sia adattati, sia direttamente creati, ad uso dei disabili visivi, aiutandoli nella ricerca quotidiana della loro autonomia. A tale scopo, sarà creato un gruppo di tecnici competenti che promuoveranno corsi utili all’addestramento e all’uso delle nuove apparecchiature, consigliando, in modo disinteressato, quale prodotto è più utile, tenendo presente le attitudini personali. Tutto questo, senza trascurare quanto di buono è già esistente, come gli ausili tradizionali, già in uso tra i disabili visivi.

ASSISTENZA: proponiamo di ampliare e potenziare i servizi già esistenti, come quelli di consulenza informatica, psicologica, legale, fiscale e pensionistica, implementando l’attività dei CAF e Patronato; confermare ed incentivare la collaborazione con l’INPS; consolidare il rapporto con i soci, anche con visite domiciliari ed accompagnamento nel disbrigo di pratiche quotidiane; costituire un servizio di ascolto, utile a raccogliere segnalazioni, per creare, laddove possibile, servizi anche personalizzati.
A tal proposito è nostra intenzione dare la priorità assoluta al confronto continuo con la base associativa, con la ferma convinzione che, solo attraverso l’analisi quotidiana, possano giungere stimoli e suggerimenti utili a rafforzare il nostro impegno al servizio di tutti. Infatti, solo grazie all’ascolto della stessa, si possono individuare le priorità necessarie al soddisfacimento dei bisogni più urgenti di ognuno e di conseguenza programmare e agire in modo cosciente e razionale, con chiarezza e lucidità mentale. Tali bisogni sono in parte a noi, già noti, altri potranno venir fuori da un’attività capillare dell’UICI sul territorio, finalizzata al raggiungimento del numero più ampio possibile di non vedenti, in modo da riportare nell’alveo associativo anche coloro che, per svariati motivi, hanno abbandonato con il tempo il sodalizio.

PREVENZIONE: l’Unione ha tra i suoi scopi, non scritti, ma concreti, la diminuzione dei propri potenziali soci, conducendo da sempre una battaglia senza quartiere contro le malattie della vista. Perciò, oltre a continuare nella direzione già intrapresa da anni, verrà aumentata l’attività dell’Unità oftalmica in uso della Sezione, raggiungendo luoghi, scuole e piazze di tutto il territorio della Città Metropolitana napoletana. Saranno promossi convegni ed incontri di studio, in collaborazione con le Università e i centri specializzati, presenti sul nostro territorio. Saranno favoriti incontri con le future e nuove famiglie, usufruendo del grosso apporto fornito dalle Parrocchie, per meglio informare le giovani coppie sulle problematiche della cecità.

PARI OPPORTUNITA’: per garantire a tutti eguaglianza sociale e tra i sessi, soprattutto per le persone con disabilità, sarà creato un gruppo permanente che, con mezzi adeguati, organizzerà incontri culturali, promuoverà iniziative ludiche e ricreative, per contribuire ad abbattere le barriere fisiche e morali che ancora abbondano nella società contemporanea.

PROMOZIONE: tutto quanto già detto, se sarà pubblicizzato e promosso nel modo giusto, può costituire un ottimo mezzo per la promozione delle attività dell’UICI sul territorio, ma sicuramente non basta. Infatti, saranno sensibilizzate sempre di più le autorità politiche e l’opinione pubblica, facendo conoscere con ogni mezzo le problematiche quotidiane della vita di un disabile visivo, ma anche le grandi potenzialità ed abilità, al fine di sradicare quell’atteggiamento pietistico che spesso costituisce un ostacolo alla socialità. Questo contribuirà sicuramente a realizzare uno dei desideri che possono avere questi ultimi: quello di vivere una vita da cittadino come tanti e non essere considerato un peso per la società.
Possiamo concludere che da sempre, l’Unione ha affrontato varie e fondamentali tematiche, che non verranno assolutamente trascurate, anzi, laddove è possibile, verranno implementate e adattate all’attuale situazione economica e sociale, per consentire a tutti i disabili visivi del nostro territorio una piena integrazione sociale. Quello che vogliamo è consentire a tutti di vivere la propria vita con maggiore serenità, scavalcando i problemi giornalieri che inevitabilmente affliggono tutti, cercando di aiutarli a mantenere il passo in questa società così frenetica e sentirsi finalmente “liberi” … “integri” … “completi”.
Allora cosa aspetti: “CHANGE L.I.F.E.!”

Candidati:
Giuseppe Ambrosino
Giuseppe Fornaro
Chiara Longobardi
Nunziante Esposito
Nicola Toscano
Vincenzo Esposito
Giovanni Credentino
Saveria Annunziata
Francesca Avino
Gaetano Orefice
Giovanna Terracciano
ELEZIONI RAPPRESENTANTI DI NAPOLI AL CONSIGLIO REGIONALE DELLA CAMPANIA DELL’UNIONE ITALIANA DEI CIECHI E DEGLI IPOVEDENTI.

Candidati:
Gaetano Cannavacciuolo
Francesca Avino

DELEGATI AL CONGRESSO NAZIONALE DELL’UNIONE ITALIANA DEI CIECHI E DEGLI IPOVEDENTI IN RAPPRESENTANZA DELLA SEZIONE PROVINCIALE DI NAPOLI.

Candidati:
Giuseppe Ambrosino
Giuseppe Fornaro
Ferdinando Ciniglio
Saveria Annunziata

Allora cosa aspetti: “CHANGE L.I.F.E.!”

Contributi dei lettori: Partecipazione alla presentazione del libro La mia storia ti appartiene, di Patrizia Onori

Autore: Patrizia Onori

50 persone con disabilità si raccontano

Leggere un libro dovrebbe diventare per chiunque un momento distensivo, culturale ma soprattutto costruttivo.
Il libro che vi propongo però, contiene qualcosa di diverso, poichè essendo stato redatto da persone colpite dalla
disabilità, racconta reali storie ed esperienze di vita.
Il volume si intitola “LA MIA STORIA TI APPARTIENE 50 PERSONE CON DISABILITA’ SI RACCONTANO” ed appartiene al progetto
“CULTURA”.
Essendo disabile visiva, anch’io come gli altri, inviai tre tra i miei racconti agli ideatori del progetto e, attraverso
una mail, seppi che i miei racconti erano stati inseriti nel volume.
Provai un’immensa gioia ma anche un po’ di disorientamento dato che prima d’ora non avevo mai partecipato all’elaborazione
di un libro.
Tutto però, fu assolutamente più semplice di quanto pensavo, poichè, leggendo l’opera, ho scoperto di essere stata inserita
in un progetto realizzato da veri professionisti nella disabilità che quotidianamente affrontano sempre con un sorriso, le
varie difficoltà della vita.
Il 25 marzo, eccoci al momento della presentazione del testo presso la “SALA DELLA CULTURA DI VILLA DE SANCTIS” a Roma,
un’occasione a dir poco straordinaria.
Infatti, notevole è stata la mia emozione quando, due attori hanno letto vari brani tratti dal libro.
Che momento meraviglioso!
Sentir leggere da professionisti brani tratti dai propri scritti, equivale al trascorrere di attimi indelebili ed
indimenticabili.
In un baleno, scrutando in me, ho percorso con la mente i magnifici istanti di bambina quando, a casa in braccio a mio
padre ed in collegio in braccio ad una suora, ottenendo immenso affetto, ho cercato di apprendere da loro ciò che potevo e,
quando la mia mente mi ha accompagnato spostandosi nel viaggio della mia adolescenza, ho in un attimo vissuto i momenti di
una ragazza che, pur con qualche difficoltà, ha cercato comunque di raggiungere buoni propositi con la finalità di
conquistare gli altri cercando di donare sempre loro serenità.
Giunti quasi al termine dell’incontro, ecco arrivare il momento di poter prendere la parola, così ottenendo il microfono,
ho avuto l’opportunità di presentare i miei racconti e, soprattutto, di descrivere il significato che ho attribuito agli
stessi, aggiungendo in parte , piccoli estratti ottenuti dalle mie esperienze di vita.
In conclusione, estesi complimenti, fortissimo applauso e stupore dei responsabili del progetto per la mia propensione
verso la comunicazione e, quando la coordinatrice del progetto Silvia Cutrera ha citato l’invio di una mia mail contenente
in allegato il libro al programma “Che Tempo Che Fa” condotto da Fabio Fazio, forte ancor di più è stata la sorpresa dei
responsabili e dei competenti intervenuti.
Ringrazio gli ideatori del libro, poichè hanno voluto donarmi una copia cartacea e,
ringrazio Filippo Visentin che ha collaborato per la realizzazione del video che accompagna il volume e che si chiama “LA
MIA IMMAGINE TI APPARTIENE”, poichè ha suonato direttamente al piano la musica di accompagnamento. Filippo, ha voluto
donarmi il dvd incaricando i coordinatori del progetto di consegnarmelo personalmente.
Come avrei potuto non rendervi partecipi di questa mia esperienza!
Vorrei che ognuno di noi, riuscisse almeno per un istante a vivere piccole gioie che possano donare anche un breve ma
importante minuto di felicità.
Spero che con questo mio semplice scritto, io sia stata in grado di regalarvi un breve ma intenso momento di serenità e
soprattutto di condivisione.
Patrizia Onori.

Una bussola per orientarsi- Il Serafico di Assisi: la risposta concreta alla disabilità plurima, di Katia Caravello

Autore: Katia Caravello

Rubrica per genitori.

In questo numero ci occuperemo ancora una volta di pluridisabilità, parlando di una struttura di eccellenza presente in Italia: l’Istituto Serafico per Sordomuti e Ciechi di Assisi.
L’Istituto Serafico di Assisi nasce nel 1871 per opera del francescano Padre Ludovico da Casoria (proclamato Santo da Papa Francesco il 23 novembre 2014) che si fece carico di accogliere bambini sordi e ciechi, da lui definiti “creature infelici e abbandonate” e da oltre 140 anni il Serafico continua la sua opera.
Questa è una realtà d’eccellenza del nostro Paese per i metodi all’avanguardia in campo medico e scientifico che ha come obiettivo la riabilitazione globale, rivolgendo attenzione a tutte le dimensioni della persona: fisica, psichica, affettiva e socio-relazionale.
L’elemento distintivo del Serafico è l’importanza della qualità della cura che si basa sul principio ispiratore “La vita prima di tutto” e che quindi predilige un intervento verso la persona: la correttezza scientifica si coniuga quindi all’amore e alla dedizione al prossimo.
In linea profonda con il messaggio di San Francesco, a cui il Serafico è legato sin dalla sua fondazione, tutto il personale è umanamente e sinceramente coinvolto nel rapporto con i ragazzi: uno dei messaggi di San Francesco è infatti che le persone sono, prima di tutto, da amare e comprendere, solo in questo modo si possono aiutare pienamente.

Il Serafico svolge attività di riabilitazione e valutazione diagnostico-funzionale integrando percorsi e competenze multi-professionali e attuando strategie terapeutiche e di follow-up.
L’equipe multidisciplinare, che fa capo al Direttore Sanitario, è costituita da: fisiatra, neuropsichiatra infantile, neurologa, psicologo clinico, psicologa sistemico-relazionale, pedagogista, assistente sociale, oculista, odontoiatra/gnatologa e, all’occorrenza, viene integrata con ulteriori professionalità. Molti i trattamenti riabilitativi erogati, tra i quali: idrokinesiterapia, rieducazione neuromotoria, posturale e ortopedica, logopedia, CAA, terapia mio funzionale, terapia delle funzioni visive e uditive, terapia occupazionale, etc.
Il qualificato team di esperti elabora un percorso riabilitativo individuale (PRI) per ottenere il massimo livello di miglioramento.
Il Serafico, inoltre, svolge una specifica attività di valutazione clinico diagnostica funzionale orientando strategie terapeutiche di follow-up e di prevenzione. La complessità dei casi trattati e l’alto livello di specializzazione, hanno permesso di raggiungere traguardi importanti nella cura e nella riabilitazione dell’età evolutiva. Da oltre 140 anni il Serafico non ha mai smesso di rinnovarsi e adattarsi alle nuove esigenze dei suoi utenti: per questa ragione oggi è possibile usufruire, di molte strumentazioni diagnostiche e terapeutiche innovative come l’EEG Holter, il Neater Eater e il Neater Arm Support, sistemi modulari progettati per favorire l’autonomia nell’alimentazione nei gravi deficit neuromotori.
I bambini e i ragazzi svolgono percorsi che coinvolgono tutte le aree di sviluppo al fine di una riabilitazione globale.
La struttura offre, oltre a quello residenziale, un servizio diurno per l’età evolutiva, che accoglie e si prende cura di bambini con disabilità complessa provenienti dal territorio umbro, principalmente dai distretti dell’Assisano e del Perugino, ma anche dagli altri distretti sia della ASL n°1 che n°2 dell’Umbria. Il Servizio viene svolto in stretta collaborazione con le equipe (UMV minori) delle ASL di appartenenza e le famiglie.
L’obiettivo è quello di portare avanti un intervento riabilitativo globale, finalizzato al massimo sviluppo possibile delle abilità del bambino nelle varie aree funzionali, integrando le diverse professionalità e discipline.
Infatti in riabilitazione in generale, ma soprattutto nell’età evolutiva, ogni dimensione dello sviluppo è strettamente collegata con le altre ed è particolarmente importante la condivisione fra tutte le figure coinvolte nella presa in carico del piccolo “utente”.
Prima di tutto, però, il bambino è un bambino, e come tale viene privilegiata, nell’approccio educativo e riabilitativo, la componente affettiva, relazionale ed anche ludica della presa in carico. Il gioco è fondamentale nello sviluppo psicofisico del bambino, anche con disabilità.
Risulta quindi di particolare importanza l’avere a disposizione spazi pensati sulla base di bisogni assistenziali e riabilitativi, costruiti con accorgimenti tecnici specifici e dotati di attrezzature studiate per affrontare al meglio le difficoltà di bambini con disabilità, ma anche belli da guardare e da vivere, all’interno dei quali sperimentare il contatto con l’ambiente e con l’altro in maniera giocosa, serena e proficua.

Un elemento importante dell’intervento riabilitativo è costituito dalla cura speciale rivolta alle famiglie dei bambini e dei ragazzi con disabilità.
Il nucleo familiare è considerato una risorsa essenziale per i miglioramenti del bambino: i genitori vengono ascoltati ed aiutati fornendo loro una guida e gli strumenti necessari per comunicare sempre meglio con i loro figli e affrontare le sfide quotidiane della disabilità. Viene garantito un sostegno psicologico costante che permetta ai genitori di affrontare le varie fasi della vita e gli eventi critici che possono sopraggiungere. All’interno dell’Istituto, “Profumo di casa” è il punto di incontro dove mamme e papà possono ritrovarsi, confrontarsi o semplicemente rilassarsi insieme.
La presa in carico della famiglia, però, non si limita all’accoglienza e alla cura dei genitori: non vengono infatti dimenticati i fratelli e le sorelle dei ragazzi disabili, che meritano altrettanta attenzione e sostegno. A loro viene offerta una consulenza psicologica che si traduce, per i più piccoli, in attività ludiche e di drammatizzazione fino ad arrivare a riflessioni frutto delle stesse esperienze e, per i più grandi, in incontri individuali e di gruppo volti al confronto, alla condivisione e all’aiuto reciproco.

Per informazioni rivolgersi a:
Istituto Serafico per Sordomuti e Ciechi
Viale Marconi 6, 06081 Assisi (PG)
Telefono: +39-075-812411 r.a. Fax: +39-075-816820.
Web: http://www.serafico.org
E-mail: info@serafico.org
Dott.ssa Katia Caravello
Psicologa-Psicoterapeuta. Opera in Lombardia nell’area della disabilità visiva, lavorando con ragazzi ciechi e ipovedenti e con i genitori. Componente del Gruppo di Lavoro per il Sostegno Psicologico ai Genitori dei ragazzi ciechi e ipovedenti.
e-mail: caravello.katia@gmail.com

Una bussola per orientarsi- Nello zainetto dell’alunno disabile visivo mettiamoci anche l’autostima, non solo ausili!, di Stefania Fortini

Autore: Stefania Fortini

Rubrica per genitori.

In questo numero continueremo a parlare del mondo della scuola: di seguito riportiamo l’intervento della dott.ssa Stefania Fortini-Psicologa del Polo Nazionale per la Riabilitazione Visiva di IAPB Italia-al seminario nazionale “L’inclusione scolastica dei disabili visivi: dalle problematicità del presente, uno sguardo fiducioso al futuro”, tenutosi lo scorso ottobre a Manfredonia (FG), nel quale illustra il ruolo significativo dell’autostima nella vita, anche scolastica, dei bambini/ragazzi con problemi di vista.

Se siamo qui a parlare di autostima nell’alunno con disabilità visiva è per sottolineare il ruolo chiave che gli insegnanti hanno nel contribuire al processo di costruzione dell’autostima.

L’autostima infatti, si costruisce molto presto e la famiglia, insieme alla scuola, rappresentano gli ambiti di vita del bambino nei quali l’individuo si forma.. Compito della “scuola” è quello di contribuire a valorizzare il bambino ipovedente per quello che è, anche con quei limiti che la disabilità visiva necessariamente comporta.

Riuscire in questo compito significa preparare il bambino ad affrontare le sfide del mondo esterno e le difficoltà che, comunque, si presenteranno in ogni fase della vita ( coetanei, sentimenti, fallimenti e frustrazioni) e non limitarsi o concentrarsi solo sul rendimento scolastico. …addestramento non sempre vuol dire apprendimento….

Ma cos’è l’autostima

Cosa è l’AUTOSTIMA

• Va differenziata dal concetto di SE’, che è l’insieme degli elementi a cui una persona si riferisce per descrivere se stesso (essere amico, …)

• L’autostima è una valutazione circa le informazioni contenute nel concetto di sé e deriva dai sentimenti che ha il bambino nei confronti di se stesso inteso in senso globale

•È un fattore per capire come sarà da grande, oltre che un predittore per l’adattamento alla minorazione

La discrepanza tra il sé percepito (visione oggettiva di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono presenti o assenti) e il sé ideale (immagine della persona che ci piacerebbe essere) genera problemi di autostima

Un divario ampio determina una bassa autostima, un divario piccolo comporta un’alta autostima

Come si costruisce l’AUTOSTIMA

• L’autostima si costruisce sin dai primi giorni di vita ed ha a che fare soprattutto con il rapporto che i genitori riescono ad instaurare con il bambino ancora neonato, dandogli sicurezza e fiducia in se stesso e negli altri

• Il modo in cui viene affrontata la nascita di un bambino disabile (per i genitori è un momento traumatico) ha un ruolo determinante sullo sviluppo del bambino, soprattutto nella fase di attaccamento

• Nei primi anni di vita il bambino sviluppa un’immagine di sé in base alla percezione di una relazione positiva o negativa con le figure primarie di riferimento

• La prima relazione che il neonato conosce è quella con la figura di accudimento primaria (Caregiver), con la quale instaura un rapporto esclusivo, il «LEGAME DI ATTACCAMENTO»

• La costruzione del legame di attaccamento passa comunque attraverso un dialogo emozionale che seguirà strade diverse dalle consuete. La madre dovrà imparare ad utilizzare canali comunicativi diversi dallo sguardo (ad es suono )

• Se il legame di attaccamento manca o, precocemente, viene alterato in maniera significativa nel bambino si generano degli stati carenziali affettivi che influenzano negativamente e spesso in modo irreversibile il suo sviluppo psicofisico e sociale

• Esperienze precoci di rifiuto, di carenza d’affetto, di trascuratezza o anche richieste eccessive da parte di adulti significativi possono originare una bassa autostima

• Tipologie di attaccamento

• Dalle modalità relazionali della madre e delle altre figure di adulti importanti nella famiglia scaturiscono dei modelli diversi di attaccamento

• Attaccamento INSICURO EVITANTE

• Attaccamento INSICURO AMBIVALENTE

• Attaccamento SICURO

Attaccamento sicuro e autostima

• L’attaccamento sicuro si instaura quando la madre sa percepire i segnali del bambino e sa rispondere in maniera pronta ed adeguata: sono madri disponibili, affettuose e ricettive negli scambi

• Indicatori di bassa autostima

• Il bambino ha una scarsa considerazione di sé

• Non rischia e tende a fuggire da eventuali fallimenti (sviluppa ansia per paura di essere criticato)

• Tende ad idealizzare gli altri

• Mostra eccessiva timidezza

• Teme di non essere compreso ed essere giudicato

• Ha difficoltà ad esprimere e/o controllare le proprie emozioni

• Ha difficoltà a rapportarsi con gli altri in maniera positiva e gratificante

• Ha la sensazione di non poter controllare gli eventi della propria vita che può generare passività e depressione

A volte il bambino cerca di camuffare la bassa autostima

• Irrequietezza

• Scatti di rabbia improvvisa

• Comportamenti aggressivi ed antisociali

• Falsa sicurezza

• Arroganza

AMBITI dell’autostima: Sociale, familiare, scolastico, corporeo= autostima globale

Ambito SCOLASTICO

• È il valore che il bambino attribuisce a se stesso come studente

• È la misura in cui il bambino percepisce che è bravo quanto basta, non la valutazione delle capacità dei successi scolastici

• Se raggiunge i suoi standard di successo scolastico la sua autostima scolastica è positiva

• Il rendimento scolastico è uno dei fattori principali in grado di condizionare l’autostima nell’infanzia e nell’adolescenza

• Successo scolastico ed autostima si trovano in un rapporto interattivo

• Nell’età evolutiva la scuola è l’ambiente centrale di appartenenza e di confronto

• Oltre all’aspetto didattico bisogna curare la qualità delle relazioni allestendo un setting educativo adeguato in modo che l’alunno minorato della vista si senta realmente accettato, incoraggiato, valorizzato ed integrato nel gruppo classe – clima di cooperazione e non di competizione

COME?

Metodologie efficaci per l’integrazione dei bambini minorati della vista

• Cooperative learning

• Tutoring

• Circle time

• Peer teaching

Gli studenti ottengono migliori risultati (rispetto all’insegnamento tradizionale) su:

Piano cognitivo

Piano relazionale

Piano psicologico: migliorano l’immagine di sé e il senso di autoefficacia e sviluppano una maggiore capacità di affrontare stress e difficoltà

Come aiutare a sviluppare/potenziare l’autostima

• Adeguare il materiale didattico e l’insegnamento alla portata del bambino

• Porre obiettivi chiari, concreti, specifici e prossimi temporalmente

• Dare dei feed-back verbali positivi durante l’esecuzione del compito così da favorire lo sviluppo dell’autorinforzo e dell’autovalutazione

• Valorizzare l’impegno e la qualità del processo di apprendimento (insegnanti e genitori hanno nei confronti dei bambini ipovedenti maggiori aspettative in termini di rendimento e li sottopongono a stress maggiore rispetto a quanto fanno con i non vedenti)

• Creare in classe un clima di cooperazione e non di competizione

• Valorizzare le diversità parlando con naturalezza dell’ipovisione

• Aiutare il bambino ad attrezzarsi per affrontare il mondo esterno che non è pensato per le caratteristiche del bambino minorato della vista

In ambito scolastico…

Il ruolo dell’insegnante diviene fondamentale per mantenere, modificare o sviluppare un’adeguata percezione di Sé favorendo così lo sviluppo di una buona autostima
Se…

• Rivede la propria autostima come persona e come insegnante

• Osserva come il bambino si relaziona con se stesso, gli educatori, i compagni

• Si sintonizza sui bisogni e le aspettative del bambino

• Offre al bambino la possibilità di sperimentare l’Adulto in modo «più protettivo» quando l’attaccamento è di tipo insicuro («riparatore»)

Ambito FAMILIARE

• Riflette i vissuti che il bambino prova come membro della sua famiglia

• Un bambino che sente di essere un membro apprezzato della sua famiglia, a cui viene chiesta la sua opinione, che dà il suo contributo e che si sente sicuro dell’amore e del rispetto dei genitori e dei fratelli, avrà un’autostima positiva in quest’ambito

• Può accadere di incontrare bambini non autonomi nelle attività della vita quotidiana (vestirsi, tagliare la pizza, ecc)

• Se il bambino non è in grado di fare quello che fanno i suoi coetanei, oltre ad essere escluso si sentirà sempre più incompetente con una ricaduta sull’autostima

Ambito SOCIALE o interpersonale

• Include i sentimenti del bambino riguardo a se stesso come amico di altri

• Un bambino che riesce a soddisfare i suoi bisogni di socialità si sentirà a proprio agio con quest’aspetto di se stesso

• I bambini con disabilità visiva hanno difficoltà soprattutto con i pari a causa delle loro difficoltà ad apprendere comportamenti sociali perché non riescono a sfruttare gli indizi e i segnali visivi rispetto alle loro azioni

• Con i coetanei non entrano in relazione in maniera spontanea e spesso risultano inadeguati (isolamento, protagonismo)

• Nel gioco possono rimanere spettatori sia perché spesso vengono esclusi dal gioco sia perché hanno la tendenza a rivolgersi verso gli adulti (difficoltà visive e assenza di competizione con l’adulto)

• L’inserimento scolastico in assenza di un programma di supporto sociale adeguato può portare ad

• Isolamento

• Minori amicizie

• Minori opportunità di socializzazione

• Minori occasioni di sviluppare abilità sociali

• Spesso difficoltà anche sul piano emozionale

Percezione corporea

• È relativa alla combinazione tra aspetto fisico e capacità

• È la soddisfazione che il bambino prova rispetto a come il suo corpo appare ed alle prestazioni che riesce ad eseguire
Autostima globale

• È un giudizio complessivo sul proprio valore

• Non corrisponde necessariamente alla somma delle autostime specifiche, ma dipende dal peso che il bambino dà alle singole autostime

Conclusione

Lo sviluppo delle abilità sociali deve rappresentare una priorità per i bambini con disabilità visiva, anche per coloro che presentano normali trend di sviluppo

• Compito delle figure di riferimento è quello di aiutare il bambino ad uscire dall’eventuale influenza limitante e demotivante delle convinzioni negative sulle proprie abilità, per poter raggiungere

• un senso di controllo

• competenza personale

• la percezione di sé come individuo capace di fare

• Il bambino sarà così capace di sopportare e superare le sfide ed i fallimenti che la vita riserva, senza che questi eventi incidano sull’autostima globale

dott.ssa Stefania Fortini
Psicologa del Polo Nazionale per la Riabilitazione Visiva della sezione italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità (IAPB Italia).

Una bussola per orientarsi- Il ruolo degli Operatori per il sostegno nel Modello MODELLO I.C.F., di Daniela Floriduz

Autore: Daniela Floriduz

Rubrica per genitori.

In questo numero affrontiamo per la prima volta il tema dell’istruzione e, in particolare, grazie al contributo della prof.ssa Daniela Floriduz, parleremo del ruolo degli operatori per il sostegno.

Il modello I.C.F. (International Classification of Functioning, Classificazione Internazionale del funzionamento), mira a superare la concezione stessa di disabilità, intesa come handicap invalidante che riguarda un settore specifico della popolazione. Va riconosciuta senz’altro la menomazione, che risulta un dato biomedico, scientificamente inconfutabile e misurabile (il visus, ad esempio, viene accertato per erogare le provvidenze sociali). Al di là della menomazione, tuttavia, il soggetto “funziona” o meno a seconda della rete contestuale in cui è collocato, con la quale interagisce. L’uso delle parole non è privo di conseguenze sulla realtà e attesta anche una visione del mondo ben precisa, una percezione legata alla mentalità e agli stereotipi. Non è ininfluente il fatto che, alla fine degli anni ’60, sulla scorta dei processi di de istituzionalizzazione conseguenti al 1968, sia avvenuto un passaggio non solo semantico, ma anche culturale, filosofico, sociale dall’”inserimento” all’”integrazione” dei disabili nella scuola. L’I.C.F., per così dire, universalizza i processi di integrazione: non è la maggioranza che è chiamata ad “integrare” l’alunno disabile in una classe di persone già “integrate” e “integre”. E’ il contesto che deve continuamente ridefinirsi, adattarsi ad una realtà che scorre e muta continuamente, sfuggendo alle categorie interpretative con cui, di volta in volta, si cerca di ridefinirla e inquadrarla.
Pertanto, nel corso della vita, a seconda della tipologia di funzioni che un soggetto è chiamato a svolgere, ciascuno è abile o disabile. È dunque importante attivare una rete di supporto, un contesto operativo all’interno del quale il soggetto può “funzionare”, estrinsecando tutte le sue potenzialità. Il soggetto è dunque protagonista della propria inclusione, non come primo attore su un palcoscenico, come beneficiario di interventi di stampo assistenziale e medicalistico, ma come co-attore, responsabile del proprio iter di crescita. Viene infatti superato il modello meccanicistico e comportamentista in base al quale, una volta studiata la sintomatologia e analizzate le cause del problema, si provvedeva ad una diagnosi e ad una “prescrizione” che poi veniva estesa e applicata in casi analoghi, senza tener conto dei prerequisiti di base e delle esigenze di partenza. Lo stato di benessere non viene tout court identificato con la salute del corpo, con il funzionamento degli organi di senso o dei vari apparati dell’organismo, ma con fattori psicologici e sociali. Il contesto può rendere disabile una persona o rendere invalidante la sua disabilità. Ad esempio, se la scuola non educa il ragazzo cieco all’utilizzo autonomo dei mezzi informatici, l’alunno, oltre a mancare della funzione visiva, non potrà neanche accedere da solo alla molteplicità di informazioni presenti in rete o ad un testo elettronico o alla produzione di materiale scritto ecc. L’incapacità di utilizzare il computer non dipenderà, dunque, dalla disabilità visiva. Pertanto, risulta fondamentale che gli operatori (insegnanti di sostegno, educatori e genitori), all’inizio dell’anno, lavorino congiuntamente su un programma di attività che il soggetto può imparare a svolgere, indicando concretamente obiettivi, strategie, metodi, strumenti, persone coinvolte, esplicitando molto bene i criteri di valutazione e verificando in fase finale il grado di acquisizione di dette abilità. La molteplicità di operatori che spesso supportano un alunno disabile visivo non sempre garantisce l’esercizio autonomo delle sue potenzialità. Il lavoro degli operatori dovrebbe essere finalizzato progressivamente al superamento della necessità della loro presenza, alla scomparsa progressiva della loro insostituibilità. Il numero di ore di sostegno scolastico non garantisce, di per sé, la qualità dell’integrazione. Spesso, dove vi sono disservizi o vengono concesse poche ore di sostegno, il soggetto attiva maggiormente le proprie risorse, il contesto si responsabilizza e compartecipa. L’impianto assistenzialista della legislazione sociale italiana, compresa la legge 104/92, nonché i provvedimenti miranti, ad esempio, all’abbattimento delle barriere architettoniche, risulta focalizzato sulla rivendicazione di diritti per categorie specifiche, settoriali. Il presupposto dell’i.c.f. è una considerazione dinamica della persona e del contesto: il soggetto è in evoluzione e, pur essendo colpito da una disabilità permanente, può mutare il grado di accettazione, di convivenza, di superamento di detta disabilità nel corso della vita. Il lavoro sull’autostima e sulla fiducia nelle proprie possibilità, da questo punto di vista, risulta di fondamentale importanza. Non tutto dipende dal soggetto e non tutto dipende dal contesto: c’è un’interazione sinergica tra questi due elementi. Se, ad esempio, nel caso dell’autostima, il contesto non rimanda al soggetto messaggi di rinforzo, ma continue smentite o dichiarazioni preventive di fallimento, il soggetto non sentirà di poter far leva sulle sue risorse e peserà, nei suoi confronti, il pregiudizio negativo, secondo lo schema della “profezia che si auto avvera”. Ogni processo di educazione ha di mira la formazione di un soggetto adulto autonomo, capace di autodeterminarsi. A questo livello, gioca un ruolo molto potente anche la sfera dell’affettività. Se l’operatore si sostituisce continuamente alla persona disabile, anche e soprattutto utilizzando, sicuramente in buona fede, meccanismi di iperprotezione, risparmiando alla persona disabile i cosiddetti “urti della vita”, questa campana di vetro non farà che rinforzarsi negli anni, sarà carica di incrostazioni e sedimentazioni anche autoindotte, per cui risulterà progressivamente difficile uscire dalla cappa rassicurante, ma psicologicamente distruttiva, che gli adulti hanno consolidato intorno al disabile.
Il paradigma I.C.F. aiuta ad evitare l’etichetta degli stereotipi, positivi o negativi, dal momento che non esistono cliché e le situazioni variano a seconda dei singoli, per cui la diagnosi di handicap non dovrebbe mai precedere la persona che ne è colpita, come uno stigma o un’etichetta indelebile. Ci sono sicuramente atteggiamenti ricorrenti, che qualificano la disabilità visiva in quanto tale e ad essa si accompagnano, come dimostra la letteratura tiflologica fin qui prodotta: ad esempio, i cosiddetti cechismi rappresentano un dato che gli studi sullo sviluppo psicomotorio danno ormai per acquisito e possono rappresentare degli utili descrittori di una situazione. Tuttavia, le modalità della loro insorgenza, nonché le strategie per il loro superamento, variano a seconda delle situazioni. Non esistono cliché codificati e la persona eccede, sempre e comunque, i protocolli sanitari e le tabelle psicoattitudinali codificate. Gli strumenti di monitoraggio e valutazione rappresentano degli standard utili per descrivere il “qui ed ora”, ma poi è necessario calarli nella realtà, per verificare la possibilità di intervenire concretamente sul contesto, al fine di migliorarlo.
Il cambiamento del contesto non risulta utile soltanto alla persona con deficit visivo, ma anche al miglioramento della qualità di vita di una società nel suo complesso. Ad esempio, se, a scuola, il clima di un gruppo-classe risulta accogliente ed inclusivo, potrà beneficiarne non solo il ragazzo cieco, ma anche i suoi compagni, che magari non sono colpiti da disabilità certificate, ma che necessitano comunque di un’atmosfera integrante per estrinsecare al meglio le proprie attitudini, per superare un momentaneo disagio esistenziale, per ritrovare fiducia in se stessi ecc. Gli insegnanti di sostegno, nei corsi di formazione che sono chiamati a seguire, imparano per prima cosa, quasi come un mantra o un dogma, che, prima di tutto, il loro lavoro è rivolto all’intera classe: sono parte integrante del consiglio di classe, a tutti gli effetti, concorrono dunque alla valutazione complessiva degli alunni, come ogni altro docente. Questo significa, però, che la presenza del disabile deve costituire un valore aggiunto all’interno del gruppo, che gli interventi mirati sono efficaci solo per colmare il divario che la tecnologia o la metodologia didattica inevitabilmente comporta, in certe fasi dell’apprendimento. Il ruolo dell’insegnante di sostegno è quello di aiutare l’alunno disabile a padroneggiare le tecnologie che possono renderlo autonomo, ad esplorare l’ambiente, ad attivare strategie di socializzazione: si tratta di momenti di formazione inevitabilmente specifici, una volta a carico degli istituti e delle scuole speciali. Si tratta di un’attrezzatura, di un bagaglio di prerequisiti che devono rendere l’allievo in grado di affrontare qualsiasi momento di formazione in autonomia. Ciò non esclude che la specifica formazione possa rappresentare poi un arricchimento per l’intera classe: ad esempio, l’apprendimento del Braille potrebbe essere un’ottima opportunità didattica anche per gli alunni normodotati, che avrebbero così modo di confrontarsi con codici di accesso al sapere diversi, magari anche unitamente all’insegnamento della Lis o di altre forme di comunicazione e scrittura.
Superare la marginalità è una condizione dinamica, soprattutto a livello psicologico: richiede la capacità di gestire la frustrazione, di comprendere che ciascun individuo, a seconda delle situazioni, può trovarsi esistenzialmente ai margini o al centro del contesto, di essere capaci di lavorare anche a partire da una situazione di dislocazione marginale, per migliorare il quadro complessivo.
Nessuno rimane stabilmente ai margini di una cultura.
D’altra parte, l’accesso alle risorse va adeguatamente distinto dalle competenze d’uso delle medesime: il deficit visivo insegna a non rimanere ancorati dogmaticamente ed esclusivamente ad un ausilio, ma a diventare flessibilmente capaci di adattarsi alle esigenze della realtà e della vita, maneggiando, all’occorrenza, tutti gli strumenti resi disponibili dalla tecnologia e dalla tradizione. La scrittura in Braille con tavoletta e punteruolo, ad esempio, non può essere abbandonata perché c’è stato l’avvento dell’informatica: l’alunno cieco deve essere in grado di scrivere una cartolina in Braille quando va in vacanza e non ha a disposizione il pc e la stampante. Non solo: l’utilizzo della tavoletta attiva competenze di natura psicomotoria (lateralizzazione, direzionalità, abilità tattili), utili anche nella sfera della mobilità autonoma. Non esiste un ausilio miracolistico, una panacea per tutte le situazioni, lo strumento migliore in assoluto, ma ci sono mezzi funzionali al raggiungimento di un determinato scopo e gli operatori devono interrogarsi circa l’ausilio che, di volta in volta, permette all’alunno di conseguire al meglio l’obiettivo educativo e didattico su cui si intende lavorare. Pertanto, la valutazione di una competenza operativa deve evidenziare le abilità nell’utilizzo delle risorse atte a raggiungerla ed attuarla. Vale anche il discorso inverso: l’accesso alle risorse non sempre denota un’adeguata padronanza delle competenze ad esse legate. Se, ad esempio, l’alunno disabile visivo sa utilizzare adeguatamente il navigatore satellitare presente sul telefonino, ma non è in grado di orientarsi per strada né di girare autonomamente, l’utilizzo della risorsa è disgiunto dalla competenza, con il pericolo del verbalismo, molto spesso associato alla cecità.
L’acquisizione di una competenza dev’essere valutata anche tenendo conto del supporto e dell’aiuto prestato eventualmente nell’esecuzione del compito, l’aiuto può essere anche solo psicologico, ma va comunque segnalato nella descrizione delle abilità e competenze del soggetto.
In tal senso, l’I.C.F. insegna anche un utilizzo corretto del linguaggio, come descrittore di una situazione in un dato momento, non come generatore di stereotipi o alimentatore di ipocrisie. L’antica diatriba sull’utilizzo dell’espressione “non vedente” al posto di “cieco”, nasconde, a volte, la difficoltà a reagire di fronte alla disabilità visiva e a descriverla per quello che è. Dietro le parole ci sono spesso cattive prassi ed errori concettuali, per cui la qualità dell’intervento e la sua inclusività vengono frenate proprio dalla mancanza di chiarezza terminologica, che rappresenta, poi, mancanza di onestà intellettuale e di limpidezza di pensiero. Ciò incide, ad esempio, nelle schede di valutazione che si producono in ambito scolastico e che rispondono, spesso, a necessità di tutela formale degli operatori, grondano di riferimenti burocratici, ma non modificano la prassi e l’intervento. Classificare aiuta certamente a valutare, ma non si deve essere prigionieri di una griglia, essa va adattata alla situazione e riformulata secondo le necessità, seguendo l’evoluzione del soggetto. Specificare meglio i comportamenti operativi, mediante l’utilizzo di un linguaggio adeguato, vuol dire diventare maggiormente efficaci, rispettosi, attinenti, democratici, nonché favorire la chiarezza e la comunicazione tra gli operatori. La valutazione deve esplicitare i criteri utilizzati, le modalità e i tempi di osservazione. L’I.C.F. non utilizza giudizi, ma qualificatori, dei semplici descrittori che possono mutare se cambiano le condizioni. L’I.C.F. parla di “co-design”: ogni operatore chiamato a valutare un soggetto è portatore di un punto di vista specifico, la valutazione deve necessariamente diventare anche autovalutazione. Ciò non significa relativismo solipsistico: mettendo insieme i diversi punti di vista, è possibile ottenere un quadro completo. Nessuno ha un canale di osservazione privilegiato, il confronto può costare fatica, ma è l’unico modo per ottenere un quadro il più possibile circostanziato e completo, al fine di produrre un intervento educativo e didattico mirato, adatto alla persona e al suo ambiente di vita.

Daniela Floriduz
Docente di storia e filosofia presso il liceo classico Leopardi-Majorana di Pordenone, componente la Commissione Nazionale Istruzione e la Commissione per la tutela dei diritti degli insegnanti dell’Uici.

Chiusura versione HTML Internet Banking MPS – Un grave disservizio per i clienti non vedenti a partire dal 24 Febbraio 2015, di Marina Zucconelli e Luigi Loglisci

Autore: Marina Zucconelli e Luigi Loglisci

Scriviamo queste brevi osservazioni, oltre che per nostro conto, anche a nome di diverse altre persone: clienti, dipendenti o ex dipendenti della Banca Monte dei Paschi di Siena, sia non vedenti, che ipovedenti.

Se altri, lette le nostre note, condivideranno quanto da noi evidenziato, ci auguriamo vorranno anch’essi scrivere, come abbiamo già fatto noi, al servizio reclami della banca, affinché chi di competenza abbia riscontri in numero tale da essere indotto a prendere nella debita considerazione le criticità da noi segnalate.

reclami@mps.it
sino ad ora sia gli ipovedenti che i ciechi assoluti
hanno sempre potuto usufruire senza difficoltà, del servizio Internet Banching di MPS, che a differenza di altre banche, ha sempre tenuto conto delle esigenze dei disabili visivi, mettendo a disposizione un sito perfettamente accessibile ed user friendly, in particolare per il servizio di Internet Banking il che ha consentito finora a noi tutti di svolgere in autonomia e senza particolari difficoltà la totalità delle operazioni disponibili per gli utilizzatori del servizio in parola.
Da un paio di anni circa, oltre alla versione tradizionale, in HTML, esiste anche la versione PasKey, che francamente, dopo qualche prova,
abbiamo preferito non utilizzare, riscontrandone da subito le criticità e difficoltà e potendo comunque continuare a usufruire della versione HTML, del tutto gestibile e perfettamente adatta alle nostre esigenze.

Ora sul sito MPS si viene avvisati da qualche tempo che dal 24 febbraio questa versione del servizio verrà chiusa.
abbiamo pertanto provato a cimentarci con la versione PAS key che a breve sarà la sola disponibile e ci siamo trovati davvero in grande difficoltà.
Probabilmente la scelta sarà dovuta a fattori estetici, in quanto la versione grafica sarà più accattivante e intuitiva per chi vede, ma meraviglia molto che non si sia pensato minimamente al disagio che questo stravolgimento comporta per chi non vede e si trova a fare i conti con una drastica riduzione della propria autonomia.
A maggior ragione ciò stupisce da parte di Banca Monte Paschi che è sempre stata la prima a farsi carico dei problemi e delle esigenze dei disabili.
Avendo una discreta esperienza come utilizzatori, ma non la competenza per descrivere dal punto di vista tecnico quali siano le difficoltà riscontrate, faremo degli esempi di situazioni appurate
da alcuni di noi, sia non vedenti che ipovedenti.
Volendo visualizzare la situazione del conto corrente, se con l’HTML ciò avveniva molto semplicemente e velocemente, in questo caso occorre impiegare parecchi minuti ed effettuare ripetutamente diversi tentativi per arrivare allo scopo e risulta poi impossibile salvare quanto visualizzato, cosa che, in precedenza, era, al contrario, molto agevole. sono stati altresì compiuti a più riprese,
Vari tentativi, finalizzati a vedere il saldo della propria carta prepagata, risultati inutili e chi ha provato alla fine ha dovuto desistere.
Come se ciò non bastasse, chi è intestatario di più conti correnti o anche della prepagata Spider che appare come ulteriore conto corrente, non riesce a
scegliere, ad esempio, su quale conto addebitare la ricarica di un cellulare.
Provando a scaricare i documenti online, si riesce apparentemente a farlo, anche se per arrivare al punto il cammino è parecchio tortuoso, ma alla fine i documenti salvati non si trovano più nè sul pc, nè fra quelli da consultare.
Altre operazioni più importanti, ovviamente, non si prova nemmeno a farle, nel timore, non avendo più il pieno controllo della situazione, di commettere errori dovuti non alla nostra imperizia, ma alla scarsa per non dire quasi nulla gestibilità ed usabilità di Pas Key con i nostri ausili assistivi.
Come si comprenderà per noi l’ideale sarebbe il mantenimento in parallelo di entrambe le piattaforme, ma se ciò davvero fosse impossibile, sarebbe almeno auspicabile una revisione di Pas Key con la consulenza di tecnici specializzati nell’accessibilità dei siti Internet, per persone disabili della vista.
A conclusione di questo breve scritto ribadiamo l’invito a quanti dovessero aver riscontrato le medesime criticità da noi esemplificate, a scrivere, onde dar maggiore forza e visibilità alle nostre istanze.

Contributi dei lettori: compensi e incarichi, una sfida da vincere, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

Provo a lanciare un altro argomento di discussione che, spero, possa essere trattato con un approccio nuovo anche in vista della nuova legislatura associativa.
Oggi nell’Unione e negli enti collegati a tutti i livelli sono previsti e spesso erogati gettoni di presenza oltre ai rimborsi spesa per i dirigenti o per i componenti di organismi tecnici.
Chi difende questa scelta sostiene che trattandosi di un lavoro, è giusto che ci sia un riconoscimento che vada oltre ai rimborsi spesa.
L’altra motivazione che spesso si adduce a difesa di questo sistema è quella che permetterebbe anche a chi non ha risorse proprie di potersi impegnare nell’associazione.

Quest’ultima motivazione è usata anche dai politici per il finanziamento pubblico ai partiti o agli organi di stampa.
Ricordo che ne il finanziamento pubblico ai partiti ne quello agli organi di stampa hanno migliorato e allargato la partecipazione politica o l’indipendenza della stampa.
Chi scrive, ha rinunciato a ogni compenso e spesso non prende neppure i rimborsi spesa ma questo vale poco.
Ritengo ci siano da fare due considerazioni:

1. intanto i gettoni sono previsti anche per le riunioni online e ritengo sia poco giustificabile sul piano politico e ribadisco anche poco etico;

2. chi sceglie di lavorare per l’associazione non ci deve rimettere per spese di viaggio e soggiorno ma dovrebbe farlo in modo volontario perché le risorse dovrebbero essere utilizzate per servizi alla categoria e non mi si dica che i soldi in questioni non risolverebbero alcun problema.
Tanti piccoli risparmi, possono costituire un piano di riduzione dei costi strutturali che per altro è un’esigenza mi pare, condivisa da tutti.
Poi, se si pensa che molti hanno più incarichi, i gettoni si moltiplicano.
Potremmo fare molti esempi di pluri-incarichi e non tutti molto trasparenti se non con qualche dubbio di compatibilità Propongo comunque di rendere noto quanto si spende per questi gettoni o indennità e di rendere noto quali incarichi e gettoni hanno i dirigenti e i componenti dei vari organismi. Sarebbe una grande operazione di trasparenza che non viola la privacy di nessuno ma migliora i rapporti interni e elimina le dicerie.

Spero che si possa riflettere e togliere, questa che io considero una macchia, dal nostro vestito associativo.
Massimo Vita

Disabile ed egoista, di Giuseppe Fornaro

Autore: Giuseppe Fornaro

Non è che mi spaventi ancora quando in qualche modo mi fanno notare di essere diverso, nemmeno mi illudo più di tanto quando questa mia condizione di disabilità viene sottolineata come “valore aggiunto” o “diversa abilità” e quant’altro questa Società si inventi quando le circostanze lo impongono .
Qualche volta però ,commetto l’errore di credere che almeno sono considerato da – tutti gli altri- un cittadino come quello che paga le tasse per avere un servizio.
Il mio dovere di cittadino, come -Tutti gli altri- credo di farlo, nonostante tutto.
Ieri sera, puntuale come uno spillone nel taschino della camicia, mentre sto per rientrare a casa , mi arriva la solita fitta, una sfida beffarda che provoca con arroganza e dice :- vediamo se riesci a tornare a casa, e la prossima volta pensaci due volte prima di uscire- .
Beffa lanciata dal mio posto di sosta riservata per disabili, destinatomi da una regolare ordinanza ormai da vent’anni , e da allora, regolarmente abusato da qualche “ diverso da me” che pure pretende di essere considerato persona normale.
Stanco di vent’anni di consapevolezze, tiro fuori le solite strategie , stanche anch’esse, per raggiungere casa, a dispetto di tutte le barriere e le soste selvagge ex novo intervenute in quel momento a dar forza allo spillone che già aveva fatto egregiamente il suo lavoro poc’anzi .
Arrivo a casa, chiamo il comando dei vigili, e come al solito dentro di me si si spinge con forza una punta di lieve mortificazione per essere costretto a chiamare in mio aiuto, quotidianamente, un servizio di tutela che nonostante i suoi sforzi non riesce a risolvermi il problema ; mi risponde un piantone che accoglie la mia richiesta con palese disappunto, interpretandola come il frutto di un’indifferenza egoistica a danno di quanto di importante realizza il corpo della polizia urbana di sant’Anastasia :-“ I vigili sono impegnati in cose molto importanti, ma lei, giustamente, egoisticamente, non lo vorrà nemmeno sapere.” Gli chiedo se per caso mi ha mai conosciuto per potermi giudicare come persona egoista , oppure sa soltanto che sono disabile e questo gli basta per darmi la doppia etichetta “ disabile ed egoista”. Risponde che non mi conosce, quindi forse non sarà vero che io sia egoista, la qual cosa mi solleva , non c’è niente di peggio che rischiare di diventare egoista solo perché ne tocchi una bella quantità tutti i giorni.
Così resto in silenzio per interminabili minuti,abbracciato dallo sguardo sconfortato della mia famiglia e con la quale non voglio, egoisticamente, condividere questa amarezza ,seppure essa arrivi inevitabilmente di riflesso …purtroppo.
Ordino una pizza al domicilio (evitando di andarci di persona in pizzeria, potrei al ritorno, ritrovarci parcheggiato un tir nell’indifferenza di -tutti gli altri- o anche una costruzione abusiva, chissà…) e fingiamo tutti che non sia successo niente di grave.
Nonostante tutto oggi ho voluto raccontarla, perché si aiuti a riflettere sull’importanza delle Istituzioni al servizio del cittadino, persino di quello disabile (pensa un po’), perché le Pubbliche Amministrazioni investano maggiori energie per la formazione dei dipendenti investiti di importanti responsabilità ed anche perché si pongano le basi per capire che quando un servizio è di “tutti”, non è di “Tutti gli altri”, e soprattutto non è gestibile secondo le proprie arbitrarie convinzioni verso i singoli, ma va gestito con atteggiamenti serie seri e competenti sulla scorta di quanto dettano normative che vanno rispettate prima ancora di chiederne rispetto.

Una bussola per orientarsi- Intervento precoce residenziale presso la Fondazione Robert Hollman di Cannero Riviera: un approccio centrato sulla famiglia, di Elisa Moroni e Josee Lanners

Autore: Elisa Moroni e Josee Lanners

Rubrica per genitori.

Apriamo il 2015 conoscendo le attività del Centro di Cannero Riviera della Fondazione Robert Hollman, grazie all’aiuto delle dott.sse Elisa Moroni e Josee Lanners (rispettivamente terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva e vicedirettrice del Centro).
Il Centro di Cannero Riviera della Fondazione Robert Hollman si occupa dell’approccio precoce al bambino con deficit visivo ed eventuali altre disabilità. Propone ai bimbi e alle loro famiglie un intervento residenziale di consulenza e sostegno dalla nascita ai 5 anni dei piccoli, rivolgendosi a nuclei familiari provenienti da tutto il territorio italiano tramite interventi gratuiti.
L’impostazione teorica di riferimento, così come avviene presso il Centro di Padova, pone gli aspetti ri-abilitativi e di consulenza all’interno di una cornice più ampia di attenzione agli aspetti emotivi e alla relazione. Ciò va inteso sia come lavoro sugli aspetti affettivo-relazionali che fungono da sfondo a tutte le attività proposte sia come attenzione allo sviluppo psicoaffettivo del bambino stesso. L’intervento è quindi rivolto alla famiglia nel suo complesso e si snoda attraverso l’accoglienza di ciascuna realtà, il sostegno della relazione genitore-bambino, la comprensione dei bisogni del bambino e la conseguente attuazione di un intervento preventivo-abilitativo o terapeutico-riabilitativo. Tutti questi elementi diventano essenziali per la realizzazione di un progetto globale ed individualizzato offerto alla famiglia.
Trattandosi di un intervento precoce risulta essenziale considerare i bambini a cui si rivolge nel loro contesto relazionale. I genitori risultano quindi parte integrante e a loro volta destinatari dell’intervento poiché “Non esiste una cosa che si chiama ‘un lattante’, intendendo con ciò che se ci mettiamo a descrivere un lattante ci accorgiamo che stiamo descrivendo un lattante con qualcuno. Il bambino piccolo non può essere da solo ma è fondamentalmente parte di una relazione” (Winnicott, 1947).
In particolare il Centro offre un intervento di tipo residenziale con lo scopo di fornire uno spazio ed un tempo privilegiati nei quali la famiglia può dedicarsi a se stessa, condividere la propria esperienza con altre famiglie sia in momenti formali che informali ed affrontare inoltre le difficoltà di gestione quotidiana del bambino con l’affiancamento degli operatori se necessario.
La presa in carico avviene attraverso un primo soggiorno residenziale della durata di 3 settimane per i bambini sotto i 2 anni di età oppure di una settimana per quelli più grandi. Il primo soggiorno viene poi seguito da ulteriori soggiorni di una settimana con cadenze concordate con la famiglia. Parallelamente possono essere proposte giornate di osservazione/valutazione ai fini di un inquadramento funzionale dello sviluppo oppure un monitoraggio di quest’ultimo.
Gli interventi specifici rivolti al bambino hanno come obiettivo generale quello di individuare e comprendere precocemente i bisogni e le risorse del piccolo per attivare proposte condivise tra genitori ed operatori, volte a promuovere il benessere e lo sviluppo di ciascun bambino nel proprio ambiente. Proprio per l’unicità di ciascun bambino riteniamo importante la presenza di un tempo dedicato a conoscere ed osservare bisogni e potenzialità di ogni piccolo. Questa conoscenza preliminare avviene grazie all’ascolto dei genitori e attraverso le osservazione dirette degli operatori ed è fondamentale affinché si possa individuare un piano ri-abilitativo specifico ed individualizzato, pensato proprio per quel bambino e per la sua famiglia.

Vengono quindi proposte diverse attività con obiettivi specifici adattati alle necessità di ciascun bambino:
– Valutazione ortottica, riabilitazione visiva, neuro-visiva e visuo-motoria: per accompagnare il bambino ad essere consapevole del proprio potenziale visivo ed imparare ad utilizzarlo al meglio, integrandolo nella quotidianità;
– Neuropsicomotricità e psicomotricità: per accompagnare il bambino a scoprire il piacere di relazionarsi con l’altro, conoscere e sperimentare il proprio corpo e il movimento. Sostenere e facilitare l’acquisizione delle competenza motorie e i prerequisiti di orientamento e mobilità;
– Attività di gioco/multisensorialità: per sostenere il bambino nella motivazione al gioco, nella comunicazione, condivisione e scambio con l’altro, nell’acquisizione di autonomie personali e nell’integrazione plurisensoriale;
– Gruppi di gioco genitori/bambini, massaggio infantile e musicoterapia: per sostenere la dimensione relazionale tra bambini, genitori e famiglie.
Un tempo viene dedicato anche a capire quale possa essere l’assetto emotivo e psicologico della famiglia; attraverso la raccolta anamnestica e colloqui con i genitori si cerca di comprendere meglio come la nascita di un bambino con disabilità influisca sulla funzione genitoriale, soprattutto alla luce del processo di elaborazione del lutto che i genitori devono o dovranno affrontare: al bambino immaginato si contrappone la realtà di un bimbo di cui prendersi maggiormente cura.
Gli interventi rivolti ai genitori hanno come obiettivo quello di accoglierne le difficoltà emotive e sostenere il processo di “empowerment”, ovvero di accrescimento delle competenze genitoriali percepite, aiutando i genitori a sentirsi competenti nel promuovere lo sviluppo e il benessere del proprio bambino.
In particolare alle famiglie vengono offerti:
– Sostegno psicologico attraverso colloqui individualizzati;
– Gruppi di sostegno facilitati ad orientamento psicodinamico;
– Un accompagnamento costante durante le attività con i bambini per facilitarli nel riconoscere le esigenze dei piccoli, la loro comunicazione e i bisogni e per promuovere la comprensione del progetto abi/riabilitativo proposto.
In generale, l’intervento proposto è di tipo integrato per offrire al bambino un ambiente psicologicamente adeguato che lo faciliti ad esprimere al meglio le proprie potenzialità e per restituire alla famiglia l’immagine del bambino nella sua globalità ed accompagnarla a comprenderlo, sostenendo la relazione genitore-bambino.
Il lavoro di osservazione, intervento ed accompagnamento di genitori e bambino viene svolto da un’equipe multidisciplinare. La presenza di diverse figure professionali e l’integrazione costante del loro lavoro conferisce un valore aggiunto ai singoli interventi. Consente infatti di sfruttare le conoscenze tecniche di ciascun operatore e di condividerle con gli altri con lo scopo di attuare un intervento ri-abilitativo che tenga conto di ciascuna area di sviluppo del bambino attraverso un’integrazione coerente delle proposte effettuate e delle indicazioni fornite.
Infine, obiettivo dell’intervento è anche quello di confrontarsi e dialogare con le altre strutture di riferimento della famiglia e di accompagnarla ad individuare centri territoriali a cui rivolgersi per costruire un’efficace rete di supporto. I contatti con gli altri centri vengono mantenuti nel tempo, in modo da favorire una collaborazione all’interno della quale condividere ed integrare le osservazioni emerse. L’obiettivo è quello di individuare gli interventi più appropriati per supportare l’intera famiglia ed accompagnarla nel percorso di crescita del bambino.
La motivazione che spinge i genitori a rivolgersi alla Fondazione Robert Hollman è il bisogno di attivare un intervento rivolto in modo specifico al proprio bambino, in seguito ad iniziativa personale o indicazione di altri genitori e/o Centri, Strutture Ospedaliere o Territoriali.
Durante i primi contatti l’urgenza è solitamente quella di comprendere le difficoltà del proprio bambino e di conseguenza attivare interventi riabilitativi per recuperare ed eliminare le difficoltà. Sulla base di tali richieste vengono attivati fin da subito interventi volti ad osservare le risorse e le difficoltà del piccolo per poter individuare le modalità più appropriate di intervento. Parallelamente, in considerazione dello stato di fragilità emotiva in cui si trova una coppia genitoriale alle prese con una situazione così difficile, vengono fin da subito attivati gli interventi volti ad offrire aiuto anche a loro. Questo si realizza nell’accogliere le loro preoccupazioni sullo sviluppo del figlio, aiutandoli a ritrovare una dimensione evolutiva rispetto al futuro del proprio bambino tramite l’osservazione non solo delle difficoltà ma soprattutto delle sue risorse e potenzialità. Questo avviene attraverso l’accompagnamento ed il sostegno quotidiano dei genitori nello “stare con” il proprio piccolo, ri-scoprendo il piacere del tempo condiviso. Concretamente si realizza con la presenza dei genitori nelle stanze di attività sia attraverso la possibilità di osservare insieme e a tappeto la modalità di ciascun bambino di comunicare e di entrare in relazione con gli altri sia attraverso rimandi costanti tra operatore e genitore. L’attenzione posta al bambino non ha quindi finalità esclusivamente riabilitative ma ha lo scopo di aiutare il piccolo e la sua famiglia a trasferire momenti preziosi di crescita e benessere anche nella propria quotidianità. Per tali ragioni ai genitori vengono fornite indicazioni su come portare l’esperienza fatta al Centro anche nella vita di tutti i giorni: per esempio vengono accompagnati a capire come costruire a casa un angolino gioco con le caratteristiche visuo-tattili più adatte per il loro bambino, si sperimentano facilitazioni posturali utili in diversi momenti della quotidianità, si forniscono per il periodo del soggiorno giochi o ausilii utilizzati in attività e, se i genitori ne hanno piacere, possono essere affiancati in momenti particolarmente intimi e delicati che talvolta risultano un po’ difficili come ad esempio il momento della pappa o della nanna. La residenzialità rende possibili queste attenzioni alla quotidianità ed una buona flessibilità organizzativa della giornata di ciascun bambino, pensata in base al suo ritmo sonno-veglia affinché possa godere appieno dei momenti di attività dedicati a lui.
Dall’esperienza accumulata nel corso degli anni e in riferimento alla nostra cornice teorica, riteniamo che l’intervento più appropriato e vincente sia quello che riesce a coinvolgere tutta la famiglia, favorendo nel bambino il benessere emotivo. Sperimentare un ambiente accogliente, affettivo ed attento ai propri bisogni pratici ed emotivi permette infatti al bambino di sentirsi compreso. Lo incoraggia ad avere fiducia nel mondo circostante, a scoprire il piacere ed il desiderio di aprirsi all’altro, esplorare, sperimentare e capire. Per tale motivo ciò che viene proposto durante i soggiorni presso il nostro centro non vuole essere un intervento riabilitativo di tipo intensivo, bensì uno spazio e un tempo privilegiati. Qui i genitori possono sentirsi meno soli condividendo le proprie esperienze e le proprie emozioni con altre famiglie e con personale formato, ed i bambini vengono accompagnati da operatori qualificati a trovare le modalità più adeguate attraverso le quali crescere.

Dott.ssa Elisa Moroni
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva presso la Fondazione Robert Hollman di Cannero Riviera
Josée Lanners
Vicedirettrice Fondazione Robert Hollman di Cannero Riviera