Come Monitori di Primo Soccorso della Croce Rossa Italiana abbiamo affrontato diverse esperienze nel campo dell’insegnamento del primo soccorso: dal bambino della scuola elementare alla nonna anziana, dallo studente universitario all’operaio… Siamo volontari specializzati proprio in questo: insegnare cosa bisogna fare o non fare di fronte ad una persona vittima di malore o di trauma . Nonostante l’esperienza maturata, quando l’UICI di Bologna ci ha proposto di organizzare un corso di primo soccorso per persone non vedenti, la prima reazione è stata di preoccupazione: saremo in grado di insegnare ad un non vedente?
Domanda che nascondeva la paura di doversi confrontare con una realtà di cui non sapevamo molto.
Ma costituiva una bella sfida e abbiamo voluto coglierla.
Prima di partire con la progettazione del corso abbiamo effettuato ricerche per capire se in altre parti d’Italia era stata già affrontata questa tipologia di corso con allievi non vedenti; a parte qualche esperienza sull’insegnamento specifico delle manovre di rianimazione da effettuare in caso di arresto cardiaco (il BLS), non abbiamo trovato resoconti di corsi di primo soccorso completi, né abbiamo reperito indicazioni sulla metodologia didattica.
Si trattava quindi di partire con un corso sperimentale.
L’approccio metodologico per imbastire una sfida di questo genere è stato sviluppato nel seguente modo: abbiamo fatto dei colloqui preliminari con un paio di persone non vedenti per avere un’ idea di base di come i potenziali allievi potessero rapportarsi alle varie fasi del corso (lezione frontale e prove pratiche); ci siamo poi bendati per sperimentare cosa vuol dire ascoltare una lezione senza poter avere il supporto visivo delle slide e cosa vuol dire provare a eseguire una manovra di soccorso senza averla vista eseguire dall’istruttore. Abbiamo scoperto di essere dei pessimi “finti non vedenti”: la nostra capacità di concentrazione risultava assai compromessa, dopo cinque minuti “al buio” eravamo già persi. Questo aspetto all’inizio ci ha preoccupato molto: come avrebbero fatto i nostri allievi a seguire una lezione di due ore densa di informazioni senza perdere il filo non avendo l’aiuto delle slide e senza prendere appunti?
In seguito abbiamo scoperto che noi vedenti siamo incapaci di concentrarci a lungo se non possiamo vedere o scrivere quello che stiamo ascoltando, ma una persona non vedente ha maturato una straordinaria capacità di concentrazione. E’ proprio vero: si tratta di avere “diverse” abilità.
Quindi, con queste informazioni di base, siamo partiti con un corso sperimentale fatto di 8 lezioni teorico-pratiche (a cui ne abbiamo aggiunta 1 di ripasso), più la giornata finale con la verifica dell’apprendimento. Gli argomenti affrontati hanno riguardato tutte le potenziali situazioni in cui ci si può trovare a dover prestare soccorso: dalle manovre di rianimazione da effettuare in caso di persona in arresto cardiaco alla valutazione della persona che dice di non sentirsi bene, dall’assistenza al pedone investito dall’auto alle azioni da compiere in caso di distorsione di una caviglia, dalla medicazione di una semplice ferita al tamponamento della grave emorragia, e altre ancora.
Il numero di allievi è stato di 8 allievi non vedenti e 2 allievi vedenti. Il numero esiguo di allievi è stato dettato soprattutto dalla metodologia di insegnamento adottata durante le prove pratiche: non potendo dimostrare la manovra pratica facendola vedere, ma dovendo guidare ogni singolo allievo a voce e dovendo far sentire la manovra eseguendola sull’allievo stesso, il rapporto ottimale è risultato essere di 1 istruttore per 2 allievi (normalmente il rapporto ottimale è 1 istruttore ogni 6 allievi e le classi sono di circa 30 persone).
Le lezioni frontali si sono svolte con gli allievi seduti attorno ad un tavolo e il docente a capo tavola. Il setting ha avuto così un aspetto meno formale rispetto alla classica lezione di fronte alla platea di allievi, e questo ha aiutato noi docenti a sciogliere la tensione iniziale e a prendere velocemente confidenza con i nostri nuovi allievi. Inizialmente, infatti, ci preoccupavamo o sentivamo imbarazzati quando usavamo termini che ci sembravano infelici come “oggi vedremo questo argomento”, “vedremo tale manovra”, perché pensavamo di urtare la sensibilità dei nostri allievi non vedenti. Abbiamo rapidamente realizzato che il fatto che l’allievo non veda è più un problema per noi vedenti che non per l’allievo stesso: ci preoccupiamo per lui per il semplice fatto che noi siamo dipendenti dalla vista e pensiamo che sia l’unico modo di “vedere” le cose. Via via che il corso procedeva è andata maturando la consapevolezza che ci sono modi diversi di “vedere” le cose: si può conoscere la realtà che ci circonda anche attraverso i rumori e le percezioni tattili. Pertanto il termine “vedere” è stato presto utilizzato liberamente in una accezione più ampia.
Le lezioni frontali sono state per noi docenti un grande esercizio di didattica. Affetti dal “morbo di power point” (come qualcuno lo ha chiamato) ci affidiamo alla proiezione delle slide per non perdere la logica del discorso, ma soprattutto confidiamo in esse per aiutare l’allievo a selezionare e memorizzare le informazioni importanti. In questo caso, invece, ci siamo dovuti sforzare di prestare molta più attenzione all’esposizione orale dell’argomento: i concetti dovevano essere trasmessi in modo molto preciso perché non avevamo in aiuto immagini esplicative; le informazioni non potevano essere disperse in un mare di parole perché avrebbe minato la capacità dell’allievo di rimanere concentrato; dovevamo sintetizzare le nozioni importanti e ripeterle spesso per aiutare la memorizzazione; dovevamo usare con grande attenzione la voce perché era l’unico strumento a disposizione per sottolineare gli aspetti fondamentali. E’ stato per noi davvero un grande esercizio!
Un altro aspetto emerso che è stato oggetto anche di discussione tra noi docenti riguardava la scelta dei contenuti. Uno degli aspetti più importanti del primo soccorso è la valutazione della sicurezza della scena: come poteva fare una persona non vedente a valutare la scena senza esporsi al pericolo? Una persona vedente può verificare la presenza di un pericolo senza doversi avvicinare, perché può affidarsi alla vista della scena stessa. Una persona non vedente si può affidare ai rumori e soprattutto al tatto, il che presuppone di doversi avvicinare e, quindi, esporsi al pericolo prima di averne verificato la presenza. Come può una persona non vedente prestare soccorso, ad esempio, a una persona vittima di incidente stradale senza rischiare di essere a sua volta investito da auto in transito o come può prestare soccorso ad una persona che ha avuto un malore in un parco senza rischiare di rimanere ferito da eventuali pezzi di vetro presenti a terra?
Come docenti dovevamo decidere se selezionare gli argomenti da trattare, dando per scontato che alcune situazioni una persona non vedente non potesse affrontarle, o se invece trattare tutti gli argomenti canonici del primo soccorso e valutare di volta in volta se si potevano trovare strategie alternative di approccio alla scena utilizzabili da una persona non vedente. Abbiamo scelto questa seconda strada. E ci ha regalato grandi soddisfazioni! Ci sono tanti modi di approcciarsi ad una scena: come in tutte le situazioni della vita, alla fine è solo questione di essere flessibili e creativi per adattarsi alle evenienze. Riprendendo l’esempio dell’incidente stradale: è vero che una persona non vedente non può valutare a colpo d’occhio la presenza di pericoli, ma è altrettanto vero che la maggior parte delle persone che può usufruire “del colpo d’occhio” non sa cosa guardare perché non ha nozioni di primo soccorso e perché si fa distrarre dalla presenza di sangue o ferite, distrazione da cui la persona non vedente è immune. Allora perché non unire le due competenze? In una ipotetica situazione di incidente stradale, la persona non vedente cercherà tra i presenti un vedente collaborante che sarà i suoi occhi e che verrà guidato nelle valutazioni da fare e nelle azioni da mettere in atto o nelle azioni da evitare (non dimentichiamoci che molte persone, pur agendo secondo il buon senso, compiono azioni dannose sull’infortunato, come ad esempio mettere un cuscino sotto al capo di un traumatizzato: la presenza di una persona, vedente o non, che ha nozioni di primo soccorso e che impedisce la messa in atto di queste azioni dannose può fare la differenza sull’esito del soccorso). Questo è solo un esempio delle tante situazioni che abbiamo affrontato durante il corso e per le quali si sono individuate di volta in volta delle strategie affinché una persona non vedente possa mettere in campo le sue nozioni di primo soccorso. Nella maggior parte delle situazioni la persona non vedente è in grado di agire da sola senza aiuti, nelle restanti situazioni può attivarsi per cercare l’aiuto più appropriato ed efficace.
Questo approccio ha portato ad un cambiamento anche della mentalità con cui gli stessi allievi hanno affrontato il corso. La maggior parte di loro era partita con l’idea di imparare delle nozioni che potessero essergli utili nella vita di tutti i giorni per migliorare la propria capacità di provvedere a sé stessi o ai propri familiari; ma alla fine del corso gli allievi hanno acquisito la consapevolezza di poter essere di aiuto anche in situazioni esterne alla propria vita domestica, mettendo da parte il timore di essere invece un intralcio.
Il livello di apprendimento e l’acquisizione delle abilità pratiche degli allievi sono stati verificati al termine del corso con un esame. Questo ha previsto la somministrazione di un test costituito da 16 domande, lo stesso test era stato somministrato il primo giorno di corso per verificare il livello di base delle conoscenze. La media degli errori del pre-test è risultata essere di 9, al test finale di 3. Questi risultati sono sovrapponibili ai risultati ottenuti nei corsi svolti con allievi vedenti.
Per verificare l’effettiva capacità di prestare soccorso abbiamo ricreato 4 ipotetiche scene con l’aiuto dei volontari specializzati in simulazione e trucco. Le scene riguardavano il soccorso ad una persona vittima di aggressione (accoltellamento con conseguente emorragia copiosa), soccorso ad un pedone investito, soccorso ad un collega vittima di malore in ufficio, soccorso ad amici intossicati dal monossido di carbonio. Gli allievi sono stati tutti in grado di riconoscere le situazioni di pericolo e di gestirle per ridurre al minimo il rischio che sé stessi o altri potessero rimanere a loro volta feriti; sono stati tutti in grado di effettuare o dare indicazioni per una chiamata corretta al 118 e di eseguire le manovre salvavita di base. Le stesse simulazioni erano state affrontate pochi giorni prima dagli allievi vedenti del corso di primo soccorso rivolto alla popolazione: non abbiamo riscontrato differenze tra i due gruppi; ci sono differenze tra i singoli allievi di entrambi i gruppi e sono da attribuire al carattere della persona (c’è chi è più insicuro o timido e chi più interventista).
In sintesi, da questa prima esperienza possiamo concludere che non dovrebbero essere posti limiti all’insegnamento del primo soccorso ad una persona non vedente: sarà la stessa persona che, nella consapevolezza delle proprie capacità, adotterà le strategie specifiche per portare alla persona vittima di trauma o di malore la migliore assistenza possibile in attesa dell’ambulanza.
È solo per una questione di metodologia didattica specifica che riteniamo preferibile svolgere separatamente corsi di primo soccorso per allievi vedenti e non, al fine di garantire un apprendimento efficace delle abilità pratiche nel rispetto delle diverse abilità.
Alla luce di questa esperienza, come volontari Monitori di Primo Soccorso siamo ancora più motivati a perseguire la nostra missione di diffusione delle nozioni di primo soccorso a quante più persone possibili. Vogliamo dare notizia dei risultati di questa nostra esperienza perché anche in altre parti di Italia si sviluppi la consapevolezza che nessun limite dovrebbe essere posto all’insegnamento di manovre che possono aiutare una persona a non sentirsi impotente di fronte ad una persona, familiare, amico o estraneo, in difficoltà. Dovremmo ancora di più incentivare l’organizzazione di corsi a diverse categorie di allievi, perché a prescindere dall’età, dal livello culturale, dalle diverse abilità fisiche e dai diversi caratteri, tutti sono in grado di imparare a fare qualcosa per contribuire a salvare una vita. Teniamo sempre presente che la maggior parte delle persone, purtroppo, non sa nemmeno effettuare una chiamata di soccorso efficace.
Sarà compito di noi istruttori trovare di volta in volta la strategia migliore perché ciascun allievo possa esprimere al meglio il proprio potenziale di primo soccorritore.
Crediamo sia una bella sfida e faremo del nostro meglio per portarla avanti.
Sonia Guarino, Volontaria della Croce Rossa Italiana (Comitato Provinciale di Bologna)
Monitore di Primo Soccorso.
Il punto di vista di un’allieva
Sonia ha già raccontato tutto del corso, io voglio solo completare questo esaustivo articolo, parlando di questa esperienza dalla prospettiva di chi ha imparato. L’idea di questo corso è nata da un incontro a cui io e mio marito, entrambi ciechi, abbiamo partecipato. Si trattava di una lezione di disostruzione pediatrica per genitori, tutti i genitori erano vedenti, tranne noi. L’insegnante, volontaria della croce rossa, non si aspettava che tra gli allievi ci fossero anche dei non vedenti, ma nonostante questo ci ha dedicato un po’ di tempo per mostrarci in modo dettagliato le manovre per liberare le vie respiratorie ostruite sia di un lattante, sia di un bimbo più grande. Ho pensato che avrei voluto ampliare le mie conoscenze sul primo soccorso e che forse ad altri ciechi la cosa potesse interessare. Ho anche valutato, in base a questa e esperienza, che un corso fatto per allievi vedenti è ricco di slide, di dimostrazioni visive e che per un cieco era necessario un approccio diverso. ecco allora che, supportata dal Consiglio sezionale che ha accolto la mia proposta, ho contattato la croce rossa di Bologna per cercare di organizzare il corso, sperando che suscitasse la curiosità di molti soci. Quel dubbio e quelle paure di cui Sonia parla nell’articolo, le ho percepite quando ho preso i primi contatti, la paura di non essere in grado, che fosse necessario modificare il linguaggio o selezionare cosa spiegare e cosa no. Insieme a Vito La Pietra ho preso parte ai test preparatori, che poi non sono stati altro che due incontri molto informali in cui abbiamo provato soprattutto il modo migliore per far comprendere le corrette manovre da mettere in pratica in determinate circostanze. lezione dopo lezione dubbi e paure dei docenti sono svaniti, mentre qualche allievo ha manifestato il dubbio di riuscire davvero a mettere in pratica ciò che ci è stato insegnato, soprattutto in ambienti non conosciuti. Altro dubbio che abbiamo è di riuscire, pur dimostrandoci competenti, ad essere ascoltati, visto che spesso si associa la disabilità all’incapacità e ci vuole molta personalità per far comprendere che davvero si parla in modo consapevole. rimane però il fatto che abbiamo appreso tantissime nozioni utili nel nostro quotidiano, che potrebbero esserci utili con i nostri figli, i nostri genitori e con noi stessi. Il mio auspicio è che questa esperienza si possa replicare in molte altre sezioni e anche qui a Bologna, perché credo sia davvero fondamentale, tanto da poter salvare realmente delle vite, avere le nozioni di base per affrontare le situazioni rischiose più comuni. Spero non ci troveremo mai a dover mettere in pratica ciò che abbiamo appreso, ma ringrazio di cuore per tutto ciò che ci è stato insegnato e mi complimento con Sonia e con tutti i suoi collaboratori per l’impegno e la voglia di mettersi in gioco che hanno dimostrato in questa circostanza.
Irene Balbo