Bambini di 5 anni portati in braccio a scuola, ragazzi adolescenti vestiti dalle madri, giovani uomini imboccati dai padri.
Di queste scene se ne vedono sempre più frequentemente, persone disabili, per lo più’ bambini, adolescenti, giovani, capaci di potersi muovere, nutrirsi, pensare e decidere secondo gusto, completamente sostituiti dalle famiglie. Ciò che maggiormente lascia amareggiati è la disinvoltura con cui questi giovani sono rassegnatamente abituati. Proiettati con la mente chissà dove, mentre alzano un braccio per essere vestiti o aprono la bocca per essere imboccati. Giovani perfettamente in grado di curarsi di se,nel rispetto dell’handicap senza un minimo accenno di ribellione..
Perché non lo fanno?
Perché nel tempo in cui questi ragazzi hanno reclamato il diritto all’autonomia, piangendo e arrabbiandosi per i loro tentativi falliti, sono stati interpretati con l’ingiusto parametro “dell’impossibilitato“, dimenticando di insegnare loro, invece, come sarebbe stato possibile fare da soli. È su questo parametro che i bambini, poi diventati adolescenti ed oggi adulti, si sono sentiti giudicati e da li, hanno ritenuto inutile la loro ribellione, abituandosi a non approfittare della gioia di fare da soli, di superare la difficoltà e fare nuove scoperte. L’autonomia è una richiesta naturale che appartiene ad ognuno di noi quando ad un certo punto della vita sentiamo una spinta dall’interno che ci spinge a fare da soli, al pari di camminare è un percorso che va guidato dai genitori o chi li sostituisce. Una richiesta spesso male interpretata, ritenuta nel migliore dei casi, un capriccio o un bisogno da soddisfare in fretta. Quei momenti però, diminuiscono di frequenza lasciando spazio all’abitudine di essere accudito e gli stimoli all’autonomia non saranno più percepiti, ritenuti come un ingiustificato ammonimento di chi ha sempre fatto per lui. I gesti quotidiani che possono essere svolti in autonomia diventano incombenze pesanti e difficili da risolvere e al loro posto subentra la richiesta, sia essa esplicita o frutto di una tacita aspettativa consolidata dalle abitudini. Poi arriva il giorno in cui il genitore, stanco o invecchiato prende coscienza di avere un figlio adulto che non regge il confronto con una buona parte di coetanei disabili quando si tratta di autonomia. Tutto questo per cosa? Per non alzarsi mezz’ora prima al mattino, per non arrivare a casa un po’ più tardi, per non aggiungere ansie genitoriali a quelle che già ci sono per condizione. Eppure io sono fortemente convinto che i sacrifici che i genitori devono compiere siano la necessaria componente al raggiungimento dell’autonomia e l’autostima che devono essere riconosciute anche alle persone disabili.