Nei giorni scorsi, con la sentenza “pilota” n. 2023 redatta dal giudice Francesco Gambato Spisani, il Consiglio di Stato ha evidenziato come “l’inserimento e l’integrazione nella scuola – con l’ausilio dell’insegnante di sostegno – anzitutto evitano la segregazione, la solitudine, l’isolamento” e “rivestono poi fondamentale importanza sociale, perché rendono possibili il recupero e la socializzazione”.
La sentenza del CDS prende le mosse da un caso verificatosi in Toscana e sollevato dalla madre di un minore disabile: la donna aveva chiesto che la scuola per l’infanzia alla quale il figlio è iscritto, riconoscesse le ore di sostegno per l’anno scolastico 2015-2016. Il dirigente scolastico ha prima fatto presente all’Ufficio scolastico regionale che al minore dovevano essere attribuite 25 ore settimanali di sostegno; poi, acquisite le determinazioni dell’Ufficio scolastico regionale, ne ha attribuito soltanto 13.
Preso atto del numero ridotto di ore, la madre del bambino non si è arresa: ha impugnato la decisione al Tar Toscana, che nel marzo 2015 le ha dato ragione, ordinando a Miur e Usr Toscana di attribuire immediatamente 25 ore; inoltre ha nominato due commissari ad acta in caso di inadempimento.
Ministero dell’Istruzione ed Ufficio regionale hanno impugnato la sentenza del Tar di fronte al Consiglio di Stato. Il quale, ora, ha respinto l’appello.
Tra le principali motivazioni addotte dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Luigi Maruotti, possiamo leggere: “L’attività ed un significativo numero di ore di lezione degli insegnanti di sostegno comportano evidenti vantaggi non solo per i disabili”, “ma anche per le famiglie e per la società nel suo complesso”.
Quanto stabilito dal Consiglio di Stato è molto importante, in quanto conferma la “storica” sentenza n. 275 del 2016 della Corte Costituzionale che ha sancito l’”intangibilità” del diritto allo studio degli alunni con disabilità, con riguardo anche alle misure di assistenza previste per loro dalla legislazione vigente, ivi compreso il servizio di trasporto.
In sostanza, viene ribadito che è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione.
Tuttavia, non mi sento di esultare e di essere entusiasta per sentenze come questa, che ritengono di garantire il diritto all’inclusione, assegnando lo stesso numero di ore di sostegno pari al numero di ore di lezione. Esse, invece, finiscono per contraddire lo spirito più autentico della nostra normativa sull’inclusione scolastica, fondata sull’ICF dell’OMS del 2000 e sulla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, privando gli allievi disabili dell’imperdibile opportunità di un reale ed efficace percorso di autonomia e di vita indipendente.
Ciò sta provocando il consolidarsi degli attuali “mali” del nostro sostegno e cioè: la progressiva ed inarrestabile “deresponsabilizzazione” dei docenti curricolari per il progetto inclusivo, il crescente perverso meccanismo della delega al solo docente per il sostegno del processo di inclusione degli studenti con disabilità e la conseguente triste “ghettizzazione” di questi ultimi nelle cosiddette “aule di sostegno”. Oggi, infatti, sempre più genitori considerano l’insegnante specializzato, indipendentemente dalle sue competenze, l’unica risorsa a disposizione dei loro figli, parlando addirittura del “loro” docente di sostegno e sentendosi dunque quasi in “dovere” di ricorrere ai giudici per ottenere il massimo di ore di sostegno possibile.
Quanto da me sopra esposto non deve far credere che noi vogliamo “eliminare” gli insegnanti per il sostegno che, al contrario, riteniamo una “preziosa” risorsa al servizio degli alunni/studenti con disabilità. Però, l’errore di fondo del nostro presente sistema di inclusione è quello di dimenticare sempre più spesso che, come previsto dalla legge 517/77, dalla 104/92 e dalla più recente Convenzione ONU sui diritti dei disabili, essi devono essere di sostegno alla classe, ai colleghi curricolari, a tutti gli Organi Collegiali ed all’intero “contesto” per la progettazione e realizzazione di attività scolastiche ed extrascolastiche veramente “inclusive” per “tutti e per ciascuno” e non solo per gli allievi con disabilità.
Insomma, fossi nelle famiglie dei nostri ragazzi, piuttosto che “battagliare” nelle aule dei tribunali per ottenere tante ore di sostegno quante sono le ore di insegnamento, mi batterei al contrario per una seria ripresa della formazione iniziale ed in servizio di tutto il personale scolastico sulle Didattiche inclusive e per la garanzia di una “sacrosanta” continuità didattica per i loro figli.
La cosa più deludente è che neppure la tanto “celebrata” recente Delega della Buona Scuola sul sostegno sembra voler perseguire tali “virtuosi” obiettivi, con buona pace di un proficuo processo di inclusione degli alunni con disabilità del nostro Paese.
Più ore di sostegno non sempre garantiscono più inclusione, di Gianluca Rapisarda
Autore: Gianluca Rapisarda