LETTERA APERTA DI TOMMASO DANIELE
Il fenomeno dei falsi invalidi e dei falsi ciechi è un dato oggettivo che nessuno può negare. E’ presente a tutte le latitudini del territorio nazionale. L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ne è consapevole e da sempre combatte il fenomeno costituendosi, come parte civile, nei processi penali contro i falsi ciechi: infatti, ciò che viene usurpato dai falsi ciechi, viene tolto ai ciechi veri.
Tuttavia, troppo si grida al falso cieco con motivazioni ritenute logiche solo da chi non conosce la realtà dei non vedenti, il loro quotidiano, il loro inserimento nel mondo del lavoro: infatti, si sostiene che una persona che pota un albero non può essere cieca, una persona che cammina speditamente con il bastone bianco non può essere cieca, una persona che evita un camion che sta fermo non può essere cieca, una persona che fa segno con la mano ad un autobus di fermarsi non può essere cieca, e gli esempi potrebbero continuare.
Tutta questa disinformazione è frutto del pregiudizio che da sempre esiste nei confronti dei ciechi che spesso sono considerati dei poveretti incapaci di fare qualunque cosa.
Si è verificato in queste ore un nuovo episodio che l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti vuole denunciare. A Siracusa, a conclusione delle indagini effettuate dalla Procura del capoluogo siciliano con l’ausilio della Guardia di Finanza, si delinea il rinvio a giudizio di sedici presunti “falsi ciechi” e di un solo Medico Oculista vicino alla categoria dei non vedenti siracusani.
La perizia redatta dai consulenti medici della Procura, anche quando gli esami eseguiti in quella sede sono confacenti con quelli che hanno portato alla dichiarazione di cecità assoluta o parziale, conclude sostenendo che l’esito degli esami, posti in relazione con i filmati dei pedinamenti, devono essere considerati artatamente falsati dalla non collaborazione consapevole dell’esaminato, il quale ha, così, indotto in errore la Commissione.
La Procura quindi accusa 16 persone di essere “falsi ciechi”, non prendendo in considerazione che l’autonomia più o meno ampia del non vedente acquisita con la riabilitazione, la tecnologia e/o con la volontà reattiva e positiva di non rimanere chiusi tra quattro mura, anche con la assunzione del rischio della incolumità personale, costituisce, oramai, elemento tipico del privo della vista, il quale vuole aprirsi al mondo per vivere, lavorare ed essere utile a se stesso e agli altri. Gli indagati, infatti, sono stati filmati mentre operavano al computer, formavano numeri al cellulare, camminavano con passo più o meno sicuro, mettevano la chiave nella toppa dopo aver individuato l’uscio con sicurezza, qualcuno addirittura mentre operava al bancomat.
Nella valutazione di tutto ciò non si tiene conto del fatto che si tratta, spesso, di attività ripetitive e ripetute nel tempo, di percorsi e di movimenti oramai memorizzati con la memoria ancor più viva del non vedente. Non si tiene conto, inoltre, che spesso si tratta di patologie gravi che lasciano comunque fessure e spazi limitati di visione più o meno nitida che consentono quella limitata autonomia tramutata in finzione messa in atto anche ingannando la macchina per la misurazione del campo visivo percentualizzato. Non si tiene conto infine della legge 138 del 2001 la quale consente di dichiarare ciechi, nei vari gradi, soggetti che si trovano nelle condizioni sopra descritte.
Con questa indagine, pertanto, viene messa in serio pericolo la corretta applicazione presente e futura della normativa, partendo tra l’altro dal presupposto che già ora si verifica un maggiore irrigidimento delle commissioni e dei medici certificatori nel timore di vedersi incriminati per il solo fatto di avere valutato applicando la legge. Occorre a questo punto acquisire elementi medico-scientifici anche di natura psicologica e comportamentale che possano aiutare a demolire l’assurdo sillogismo del tipo “ti muovi da solo e sei apparentemente autonomo, quindi ci vedi”.
Vorrei cogliere l’occasione per spiegare che esistono diverse tipologie della disabilità visiva: i ciechi totali, i ciechi parziali e gli ipovedenti. Di questi soltanto i ciechi totali hanno diritto all’indennità di accompagnamento. Naturalmente, la gente che incontra un disabile visivo pensa che deve essere necessariamente un cieco totale e quando incontra qualcuno che si muove con una certa autonomia ritiene che si tratti di un falso cieco.
E’ evidente che il problema è eminentemente culturale; i ciechi in Italia sono una minoranza sociale e nonostante il costante impegno dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti la conoscenza delle loro problematiche è ancora a livelli molto bassi.
Ma ora basta. Se uno è cieco per davvero non può essere trattato come se fosse un finto cieco.
IL PRESIDENTE NAZIONALE – Prof. Tommaso Daniele