Torino – UICI/011 – n. 2 – Settembre 2017

UICI/011 – Anno XXXIII n. 2 – Settembre 2017

Comitato di Redazione
UICI/011

Direttore Responsabile
Franco Lepore

Redazione
Francesco Fratta
Sandra Giovanna Giacomazzi
Flavia Navacchia

Hanno collaborato
Martina Desario
Gianni Laiolo
Alessio Lenzi
Silvia Lova
Titti Panzarea
Chiara Pipino
Ivano Zardi
Caporedattore: Lorenzo Montanaro

Per scrivere alla redazione
ufficio.stampa@uictorino.it

Traguardi
Le parole non hanno solo suono. Hanno consistenza, spessore. Hanno sapore. Una giovanissima nuotatrice paralimpica (che a 16 anni ha già stabilito due record del mondo) di sicuro conosce bene il sapore della parola “traguardo”. Lo sente, lo misura ogni giorno, vasca dopo vasca, perché l’ebbrezza del podio dura un istante, ma l’allenamento dura una vita intera. Soprattutto sa che il suo traguardo, come in fondo quello di tutti, è sempre provvisorio. Anche noi dell’UICI Torino cerchiamo di ricordarcene, quando affrontiamo le tante sfide del quotidiano: nell’educazione, nel lavoro, nel progresso tecnologico, nell’impegno per una cultura veramente accessibile (e non solo a parole). Cerchiamo di non fermarci mai, ma anche di imparare a gioire per i piccoli o grandi traguardi.
La redazione

Sommario
Studenti all’opera per un futuro accessibile (pag. 3)
Due nuove applicazioni per chiamare il Taxi (pag. 4)
Carlotta Gilli, fuoriclasse del nuoto (pag. 5)
Torneo “IncluSport” (pag. 6)
I percorsi educativi I.Ri.Fo.R. Torino (pag. 6)
Accessibilità ai beni culturali: qualcuno ci ascolta? (pag. 8)
La visione soggettiva e la forza di essere unici (pag. 9)
Se l’arte coinvolge i cinque sensi (pag. 10)
Più cinema per tutti ( (pag. 11)
La Chiesa di san Lorenzo: un tesoro da toccare con mano (pag. 11)
In viaggio sul Trenino rosso del Bernina (pag. 12)
Quando eravamo emigranti (pag. 14)
La voce dei soci (pag. 15)
Studenti all’opera per progettare un futuro accessibile
L’UICI Torino al “Think-up for disability”

Negli ultimi anni la tecnologia ha migliorato sensibilmente la vita dei disabili visivi. Oggi un cieco può compiere autonomamente molte azioni fino a qualche anno fa inimmaginabili. Ovviamente, questo è possibile solo grazie alla costante ricerca delle case produttrici di strumenti tecnologici e ad una maggiore attenzione alle esigenze delle persone con disabilità.
In questo processo di evoluzione tecnologica e culturale le Università devono avere un ruolo fondamentale. Difatti gli studenti universitari, se opportunamente preparati e adeguatamente informati sul mondo della disabilità, possono diventare gli ingegneri del futuro, capaci, grazie alle loro invenzioni, di contribuire al miglioramento della vita dei disabili.
Negli scorsi mesi UICI Torino ha partecipato al “Think-Up for Disability”, un concorso di idee innovative per l’accessibilità, organizzato da J.E.To.P. (Junior Enterprise Torino Politecnico). In particolare, 7 team di giovani studenti, dopo aver ricevuto alcune direttive per orientarsi nel mondo della disabilità, sono stati chiamati a elaborare progetti di tecnologie indossabili tesi a migliorare la vita quotidiana delle persone disabili.
Il progetto vincitore si chiama “Bel2go”, riguarda la mobilità dei disabili visivi e consiste in una cintura vibrante collegata via bluetooth con uno smartphone. Questo strumento intende agevolare i movimenti dei non vedenti, soprattutto all’interno di grandi strutture precedentemente mappate, come ad esempio gli ospedali. Interagendo con appositi sensori, il dispositivo guida il cieco permettendogli di individuare precisi punti di interesse (ad esempio un reparto o uno sportello). Le indicazioni vengono trasmesse sia attraverso le vibrazioni della cintura (particolarmente efficaci perché a 360°), sia in forma di audio, tramite lo smartphone.
La delegazione della nostra sezione, composta dal presidente Franco Lepore e dal responsabile del Comitato Informatico Alessio Lenzi, ha avuto un ruolo duplice. Nella prima giornata ha illustrato agli studenti alcune criticità legate alla disabilità visiva, soprattutto per gli aspetti riguardanti vita quotidiana e mobilità. Successivamente la nostra rappresentanza (insieme a delegazioni di altre associazioni di disabili) ha fatto parte della giuria interdisciplinare che ha valutato i lavori.
La nostra Associazione è orgogliosa per essere stata invitata a questa importante manifestazione. Iniziative di questo tipo consentono agli ingegneri di domani di confrontarsi con i temi riguardanti la disabilità, grazie anche al contatto con i diretti interessati. Inoltre si attua una grande opera di sensibilizzazione sui temi della disabilità. Ci auguriamo che questo genere di progetti possa trovare maggiore spazio all’interno del mondo universitario e che le idee innovative in materia di disabilità possano beneficiare di risorse sempre maggiori per concretizzarsi.

Franco Lepore
Presidente UICI Torino
A Torino due nuove App per chiamare il Taxi
Arrivano WeTaxi e MyTaxi

Com’è ormai evidente da tempo, gli smartphone stanno diventando oggetti insostituibili nella quotidianità di tutti, ma, soprattutto, stanno assumendo un ruolo centrale nel migliorare l’autonomia delle persone cieche e ipovedenti.
A questo proposito, negli ultimi giorni, sono entrare in funzione a Torino due nuove applicazioni per chiamare in autonomia il taxi ed essere continuamente informati su disponibilità e costi.
Le applicazioni sono Wetaxi e Mytaxi. Pienamente utilizzabili attraverso i lettori di schermo installati sui telefoni, entrambe le App ci permettono di chiamare un taxi, ma naturalmente ognuna di esse ha caratteristiche diverse che andremo brevemente ad illustrare in questo articolo.
Partiamo da Wetaxi. Si tratta di una nuova applicazione, nata a Torino e sviluppata da una società giovane e dinamica. Le caratteristiche salienti di quest’applicazione sono fondamentalmente due. La prima è la possibilità di conoscere in anticipo il costo della corsa, che non varierà, anche in presenza di traffico o soste per problemi sulle strade. L’altra caratteristica decisamente innovativa è la possibilità di condividere una corsa con altri che fanno il nostro stesso tragitto, cosa che consente un notevole risparmio economico.
Per il perfezionamento dell’accessibilità dell’applicazione, gli sviluppatori hanno interagito attivamente con la nostra sezione UICI. Ne è nata una bellissima collaborazione, che ha prodotto un consistente salto di qualità per l’accessibilità di Wetaxi. Fra le novità che siamo riusciti a far introdurre, la possibilità di indicare nel profilo se si è non vedenti, la possibilità di indicare se si hanno animali ed in generale, l’ottimizzazione dell’interfaccia che risulta completamente fruibile attraverso VoiceOver su iPhone o Talckback su Android.
MyTaxi, l’altra applicazione di cui vogliamo parlarvi, è già una grossa realtà a livello internazionale che finalmente ha deciso di sbarcare anche a Torino. Contrariamente a Wetaxi, qui il costo delle corse viene calcolato a tassametro, ma è possibile realizzare un preventivo di quanto andremo a spendere.
Anche quest’applicazione risulta accessibile ed all’interno è possibile specificare nelle note tutte le nostre esigenze, compreso il fatto di essere non vedenti.
Con entrambe le applicazioni è possibile pagare in contanti o con carta di credito, a seconda delle necessità. Al momento, la differenza fondamentale fra Wetaxi e MyTaxi è la disponibilità di vetture. Infatti, Wetaxi si appoggia alla centrale Taxi Torino, importante realtà cittadina con oltre 1500 macchine disponibili, mentre MyTaxi si serve di tassisti svincolati dalla centrale, che per ora non sono molti.
In ogni caso, è molto comodo avere più applicazioni a disposizione e poter scegliere quella che ci piace di più e che a nostro parere funziona meglio.
Per scaricare le applicazioni, entrambe gratuite, si deve far riferimento agli store di Apple per iPhone o di Google per Android.

Alessio Lenzi
Responsabile Comitato Informatico UICI Torino

 

Carlotta Gilli, una fuoriclasse in piscina
Gareggerà per la Nazionale azzurra ai Mondiali di Nuoto paralimpico

 

Da Torino a Città del Messico, passando per Berlino. Grinta, passione, tenacia. Medaglie vinte, nuove sfide sempre più ambiziose e una storia ancora tutta da scrivere. Carlotta Gilli ha solo 16 anni, ma ha già ampiamente dimostrato di essere una fuoriclasse del nuoto, paralimpico e non solo. Ci sarà anche lei nella nazionale azzurra, che tra pochi giorni (dal 30 settembre al 6 ottobre) volerà a Città del Messico, dove si disputeranno i campionati mondiali di nuoto paralimpico. Lo farà con l’entusiasmo tipico della sua età, ma anche con la consapevolezza di avere all’attivo alcuni importanti successi. Nel mese di luglio, Carlotta si è imposta a Berlino, tappa finale del circuito World Series paralimpico, dove ha stabilito ben due record mondiali. Questi successi sono motivo d’orgoglio anche per l’UICI Torino: l’atleta, infatti, è iscritta all’associazione e usufruisce dei percorsi educativi proposti dall’I.Ri.Fo.R. (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione).
Torinese, classe 2001, studentessa di liceo scientifico, Carlotta ha sempre avuto una passione per lo sport. «Da bambina ero un “maschiaccio” – ricorda – Sognavo di giocare a calcio. A otto anni, però, spinta dalla mia famiglia, mi sono avvicinata al nuoto: dicevano che era uno sport sano e completo». Così ha incominciato ad allenarsi, all’inizio senza troppa convinzione. Poi, poco a poco, quel quotidiano contatto con l’acqua è diventato un bisogno, una parte insopprimibile di sé. E, forte anche dei primi incoraggianti risultati, Carlotta ha capito di essere fatta per nuotare. «E’ incredibile come l’essere umano, pur essendo una creatura terrestre, possa trovarsi a proprio agio nell’acqua – riflette la giovane atleta – I diversi stili mi affascinano per la loro complessità, ma anche per la loro naturalezza». Carlotta nuota per la nota società sportiva Rari Nantes Torino. La scorsa stagione si è preparata sotto la guida dell’allenatore Fabrizio Miletto, mentre attualmente a seguirla è Andrea Grassini. A livello nazionale porta avanti due percorsi paralleli. Il primo è con la Fin (Federazione Italiana Nuoto). Nel contempo, in virtù della sua condizione di ipovedente, la nuotatrice si è avvicinata anche allo sport paralimpico (categoria S13) ed è entrata nella Finp (Federazione Italiana Nuoto Paralimpico). «In realtà non noto grandi differenze tra i due mondi. Cambiano alcune modalità, ma i prespposti e gli obiettivi sono gli stessi». Sarà proprio il percorso paralimpico a condurla a Città del Messico, dove si cimenterà con tutte le gare dello stile libero (50, 100 e 400 metri), poi nei 100 dorso, nei 100 delfino e nei 200 misti. In quest’ultima specialità, a Berlino, ha già stabilito il record mondiale. Da notare che la competizione si svolgerà a un’altitudine di 2.400 metri: una condizione dura, capace di mettere alla prova anche i fisici più temprati. Ma Carlotta parte tranquilla, con la serenità e l’assertività proprie del suo carattere. Su di lei il commissario tecnico della nazionale, Riccardo Vernole, ripone molte aspettative, pur senza volerla caricare di eccessive responsabilità.
Da anni le giornate di questa giovanissima campionessa, che ha come modelli Federica Pellegrini e Ilaria Bianchi, sono scandite rigidamente: sveglia all’alba, a volte allenamenti prima della scuola, poi altri allenamenti nel pomeriggio. Ore e ore in vasca, che però non le pesano. Anzi, per lei, che sogna e immagina una carriera da atleta, sono la sola vita possibile. «Qualche volta mi dico “sono pazza”. Ma poi penso che sarei pazza a non farlo».

Lorenzo Montanaro

Torneo IncluSport
Quando lo sport è veramente per tutti

Da sempre UICI Torino e la corrispondente Polisportiva hanno tra i loro obiettivi quello di promuovere ed attuare le attività sportive volte allo sviluppo psicofisico dei non vedenti e degli ipovedenti.
In molti casi il mondo delle persone con disabilità è molto ristretto ed incentrato soprattutto sul contatto corporeo. Pertanto è importante proporre degli interventi che possano aiutare la persona a percepirsi nella sua interezza, a sfruttare al massimo le proprie potenzialità, a comunicare con il mondo esterno.
L’integrazione sociale è un elemento fondamentale e il risultato del corretto sviluppo dell’identità e dell’autostima; essa va promossa e realizzata sia all’interno delle relazioni primarie, che di quelle secondarie. Particolarmente significativa risulta la pratica dell’attività sportiva, poiché lo sport può considerarsi un mezzo privilegiato d’integrazione.
Nel corso della sua esperienza di vita, il disabile si trova a far fronte a numerose difficoltà, sia a livello dell’autonomia personale, sia riguardo alla socio-affettività. Grazie all’attività sportiva si agisce sulle abilità individuali, favorendo lo sviluppo delle capacità innate e l’acquisizione di nuove e diverse abilità. Attraverso lo sport la persona disabile può mettersi in gioco e sperimentarsi, imparare a controllare il proprio corpo, sviluppare il senso di autoconsapevolezza e la fiducia nelle proprie capacità, scoprire di avere abilità inaspettate. Inoltre la pratica sportiva contribuisce anche a formare e rafforzare il senso d’identità. Per un disabile visivo fare sport è una vittoria, perché manifesta la volontà di misurarsi con gli altri e di andare oltre l’ostacolo rappresentato dalla cecità o dall’ipovisione.
In definitiva, lo sport può essere considerato un formidabile mezzo d’integrazione della persona diversamente abile.
Domenica 8 ottobre 2017, presso la Palestra Parri – Via Tiziano 43/b, si terrà un importante evento all’insegna dello sport inclusivo. Prenderanno parte al torneo diverse squadre provenienti da tutto il Piemonte, formate da vedenti e disabili visivi, che si contenderanno il trofeo messo in palio. I partecipanti si affronteranno in diverse discipline sportive tra cui corsa, showdown, rigori a calcio, torball, scherma e tiro con l’arco. I risultati della singola squadra saranno stabiliti in base alla somma delle performances di tutti i componenti. Al termine del torneo verrà stilata una classifica finale che decreterà la squadra vincitrice. Tuttavia la vittoria più grande sarà quella di aver contribuito a promuovere la grande valenza inclusiva che può avere lo sport, in una parola IncluSport.

Franco Lepore – Presidente UICI Torino
Ivano Zardi – Presidente Polisportiva UICI Torino

 

Percorsi educativi I.Ri.Fo.R. Torino
In viaggio verso l’autonomia

Accompagnare verso l’autonomia, aiutare a crescere, progettare insieme. I princìpi che da sempre guidano l’attività dell’I.Ri.Fo.R. (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) si ritrovano con particolare evidenza nel servizio educativo proposto dalla nostra sezione di Torino. Da anni l’ente lavora fianco a fianco con la Città di Torino e con 9 consorzi di Comuni della Provincia, per assicurare un adeguato sostegno ai bambini e ai ragazzi con disabilità visiva. E’ una sfida da giocare metro dopo metro, è un lavoro delicato e affascinante. Gli anni della scuola sono un tempo cruciale: è in questo periodo che la persona disabile impara a “sbattere la testa” contro i propri limiti, ma anche a scoprire insospettabili risorse. Per accompagnare e guidare questo cammino servono progetti mirati e competenze di alto livello. L’I.Ri.Fo.R. Torino può contare su una squadra composta da dieci educatori, un coordinatore (tutti laureati in Scienze dell’Educazione e adeguatamente formati sulla disabilità visiva) e una responsabile amministrativa, che lavorano col costante supporto di tutto lo staff dell’ente. Ne deriva un impegno significativo: 34 casi seguiti (a Torino e provincia) per un totale di 288 ore settimanali. L’obiettivo è semplice quanto ambizioso: lavorare sullo sviluppo globale delle autonomie, per una piena integrazione della persona nei diversi contesti di vita. Gli interventi, quindi, spaziano in tre diversi ambiti: scolastico, domiciliare, territoriale. Già nei primi anni della scuola elementare si punta alla conoscenza degli ausili assistivi, cominciando da quelli informatici. Successivamente, a mano a mano che il bambino estende il proprio raggio d’interesse, si passa alle tecniche di orientamento e mobilità. Tante sono le strategie che si possono mettere in atto per compensare gli effetti della disabilità visiva, dal braille ai libri tattili, dalla sintesi vocale al bastone bianco. Per individuarle e trasmetterle sono necessarie una solida conoscenza, ma anche creatività e inventiva. Da sempre l’I.Ri.Fo.R. punta sulla formazione continua dei suoi educatori, proponendo percorsi differenziati di anno in anno, che approfondiscono ora le tematiche della mobilità personale, ora quelle dell’informatica. Dal 2011, poi, la sezione del capoluogo sabaudo, in collaborazione con la Città di Torino, ha investito molto sulla conoscenza della codifica ICF (International Classification of Functioning), un sistema che consente all’equipe educativa di osservare e descrivere con precisione le capacità di ciascun bambino o ragazzo, così da calibrare meglio gli interventi. «Crediamo molto in questo strumento – spiega Silvia Lova, coordinatrice I.Ri.Fo.R. Torino – anche perché restituisce alla persona il profilo delle sue abilità e non quello delle mancanze. Ed è una base solida su cui costruire».
A scuola, a casa, in giro per il quartiere, il lavoro dell’educatore è fatto di infinite sfaccettature. «Bisogna continuamente mettersi in gioco. Ci sono grandi fatiche e grandi soddisfazioni – racconta Martina Desario, da nove anni membro dell’equipe educativa I.Ri.Fo.R. Torino – Lavorare con bambini e ragazzi non vedenti per me è state una scoperta, mi ha portato a osservare le cose da un’altra prospettiva. Il nostro lavoro non è un “assistere”, ma un accompagnare verso una vita autonoma. Fermo restando il distacco professionale, essenziale per la buona riuscita del percorso, spesso si creano legami forti, soprattutto con le persone che seguiamo da più tempo».
Il servizio, erogato dalla Città di Torino e dai consorzi di Comuni in regime di accreditamento, è rivolto a bambini e ragazzi ciechi (totali o parziali) o ipovedenti gravi. Per maggiori informazioni 011 53 55 67 irifor@uictorino.it

 

Accessibilità ai beni culturali
I buoni frutti ci sono, ma le istituzioni non sempre se ne curano

Son passati più di tre mesi dal convegno “Sensi e parole per comprendere l’arte”, svoltosi al teatro Gobetti di Torino il 25 e 26 maggio scorsi, che ha visto la partecipazione di numerosi e importanti musei dell’area torinese impegnati concretamente da anni sull’accessibilità, nonché di esperti sull’argomento, noti nel nostro paese e nel resto d’Europa.
Quel convegno si era prefisso fondamentalmente due obiettivi: 1) presentare una sintesi dell’intenso lavoro di ricerca e sperimentazione svolto nell’area torinese tra vari musei e associazioni (tra le quali in primis la nostra) con le conseguenti realizzazioni; 2) l’esposizione dei risultati (ovviamente provvisori) della ricerca dalla quale ha preso titolo il convegno, condotta dalla fine del 2013 da un gruppo di lavoro denominato MakingSense e composto da musei (Fondazione Sandretto, PAV), enti pubblci (comune di Torino, Politecnico di Torino) e associazioni (Unione Ciechi e Ipovedenti, Irifor, Tactile vision). A partire da questi esempi di virtuosa sinergia (tra i quali non va dimenticato il partecipatissimo Tavolo sulla cultura accessibile che nel 2012 ha prodotto un importante “Manifesto della cultura accessibile a tutti”), il convegno ha inteso aprire un confronto rigoroso e a tutto campo sulla questione dell’accessibilità, nel momento in cui si moltiplicano le iniziative e quasi ogni giorno si sente parlare di “rivoluzionarie” innovazioni tecnologiche che renderebbero “finalmente del tutto accessibili” le opere d’arte ai disabili, e che in molti casi, ad un’indagine solo un poco più attenta, si rivelano invece di scarsa efficacia e assai poco innovative. E ciò avviene perché in genere non si affrontano in modo serio ed adeguato alcune questioni cruciali.
Il convegno di cui parliamo (e crediamo sia stata la prima volta), tali questioni invece le ha poste esplicitamente, e tutti i relatori che sono intervenuti son stati chiamati ad esprimere il loro pensiero in merito, e lo hanno fatto, portando ciascuno un proprio significativo contributo.
Non si può più prescindere da una accurata riflessione su quale sia la natura del linguaggio e il suo rapporto con i sensi, e sulle attenzioni da assumere affinché la parola sia capace di fornire un contributo specifico ed efficace unitamente agli altri sensi, alla formazione delle immagini mentali. analogamente non è più rinviabile una riflessione che giunga a definire quali debbano essere i requisiti minimi imprescindibili dei vari supporti utilizzati (mappe, riproduzioni in rilievo, ecc.) e sulle tecniche più idonee della loro realizzazione. Urge infine un ponderato ragionamento sul modo più utile ed efficace di utilizzare le tecnologie esistenti in connessione con i contenuti proposti alla fruizione dei disabili. Dunque non basta la sola presenza di una qualsiasi audioguida, di una qualsiasi mappa o di un qualunque tipo di riproduzione in rilievo o di una ennesima App per poter parlare di effettiva e soddisfacente accessibilità, come spesso si legge su articoli a dir poco approssimativi confezionati da giornalisti che per lo più poco o nulla sanno dell’argomento, né si preoccupano di informarsene adeguatamente.
Tutto questo è stato il convegno “Sensi e parole per comprendere l’arte”, molto apprezzato dai partecipanti e dai vari relatori. Peccato solo che – nonostante i comunicati stampa e i numerosi inviti inviati, stampa e istituzioni siano state pressoché del tutto assenti. Le istituzioni in particolare, quali Regione Piemonte e ancor più il Comune di Torino (per altro partner del gruppo di MakingSense), che così, oltre a mostrare una colpevole disattenzione, hanno perso un’occasione preziosa per conoscere e valutare meglio l’immensa ricchezza prodotta e riconosciuta in tutta Italia in tema di accessibilità dai Musei e dalle Associazioni del territorio che amministrano e amministreranno per i prossimi anni. Gli addetti all’informazione, che in tal modo hanno mostrato chiaramente il loro scarsissimo interesse reale per i temi dell’accessibilità, ed hanno perso l’opportunità per informarsi quel tantino in più che basterebbe a far scrivere loro articoli un pochino più sensati e documentati quando per caso devono occuparsene. In ogni caso, d’ora in avanti le parole altisonanti che ricoprono il vuoto e le finte innovazioni, da qualunque parte vengano, avranno un po’ più di difficoltà a trovare ascolto e credibilità presso i disabili.

Francesco Fratta – Direzione nazionale UICI – Responsabile per l’accessibilità a beni culturali e servizi librari
La visione soggettiva
E la forza di essere unici

 

Che cos’è la realtà? Molti risponderebbero che è reale tutto ciò che possiamo vedere e sperimentare
attraverso i nostri sensi. Parrebbe, in questo modo, che la realtà sia uguale per tutti, ma allora perché, di fronte ad un quadro, un paesaggio o un evento quotidiano, non reagiamo tutti allo stesso modo e notiamo particolari diversi?
Fondendo in questo discorso la scienza, la filosofia e la psicologia, possiamo affermare che l’occhio ci permette di vedere, ma la realtà che ci rappresenta è fortemente condizionata da tutto il nostro vissuto, dal luogo in cui siamo nati, dal pensiero religioso, dall’ideologia politica e da tutte le esperienze che hanno caratterizzato la vita di ciascuno di noi.
A livello puramente funzionale, l’occhio è assimilabile a una macchina fotografica: cornea, pupilla, cristallino e retina sono gli elementi costitutivi di questo delicato meccanismo.
Così l’occhio vede. Ma che cosa vede? E come? Se ci riflettiamo sopra, capiremo che (anche non prendendo in considerazione le varie patologie che possono limitare o annullare le capacità visive), il vedere ha sempre in sé qualcosa di soggettivo, derivante dal vissuto personale.
Abbiamo imparato a parlare e a vedere, definendo i vari oggetti, dai nostri genitori, acquisendone inconsapevolmente gusti e opinioni. Per questo la realtà e il concetto di bellezza non sono univoci; successivamente l’educazione scolastica, gli amici e le nostre prime esperienze ci condizionano ulteriormente e finiamo per adattarci alla realtà della maggioranza, soffocando la nostra individualità. Ma, così facendo, rischiamo di sacrificare alla volontà altrui o ai gusti imperanti la nostra personalità, i nostri obiettivi, i nostri sogni. La maggioranza degli uomini si adatta a questo tipo di esistenza. Si lamenta, ma non fa nulla per cambiarla. E invece no: per combattere l’ amargura, un termine portoghese che sta ad indicare amarezza, tristezza, malinconia, risentimento, dobbiamo lottare perché si concretizzino la nostra unicità, i nostri progetti. Questo renderà la nostra vita ogni giorno diversa e bella, anche se ci saranno dei momenti di sconforto, perché l’avremo vissuta pienamente, senza paure, senza pregiudizi, mescolandoci a tutti quelli che, come noi, vogliono veramente vivere.
Per quanto riguarda noi non vedenti, non dimentichiamo che la realtà si percepisce anche attraverso gli altri sensi; anche noi, come gli altri, siamo condizionati dall’educazione familiare e scolastica e, per di più, abbiamo bisogno di avere intorno persone che colmino le lacune derivanti dalla mancanza della vista, accrescendo in tal modo la nostra autostima e il nostro grado di socializzazione. Per questo, più degli altri, dobbiamo lottare per realizzare la vita in cui crediamo, senza lasciarci influenzare dalle decisioni altrui. Solo così avvertiremo meno il peso della nostra minorazione e saremo in grado di costruire il nostro futuro, forse con fatica ma con la gioia di chi ha saputo raggiungere il proprio obiettivo.
Per chi volesse approfondire questo argomento consiglio vivamente la lettura del romanzo dello scrittore brasiliano Paulo Coelho “Veronica decide di morire”.

Flavia Navacchia

 

Quando l’arte coinvolge i cinque sensi
L’esperienza della Summer School in Salento

Tra il 19 luglio e il 4 agosto, presso l’agriturismo “Le Fattizze” di Nardò (Lecce), si è tenuta una Summerschool articolata in 6 incontri della durata di 3 ore ciascuno, dove, insieme a riflessioni teoriche e esposizione di varie esperienze museali dell’area torinese riguardanti i temi dell’accessibilità, si sono svolti anche diversi laboratori dedicati ai cinque sensi. Collateralmente, per tutta la durata del corso, son state esposte ad una esplorazione prima solo tattile e poi anche visiva, alcune opere della scultrice Emilia Pozzo La Ferla, facenti parte della mostra “Vedertoccando”, che presenta corpi in vari atteggiamenti, gesti e volti con diverse espressioni. La Summerschool si è chiusa con una cena al buio che è stata – come tutto il corso del resto – molto apprezzata.
La maggior parte dei relatori che hanno affrontato questioni teoriche o hanno narrato esperienze museali di accessibilità, – Paola Traversi, Anna Laferla, Orietta Brombin, Annamaria Cilento, Fabio Levi, Rocco Rolli, Andrea De Benedetti e il sottoscritto – provenivano dall’area torinese e quasi tutti erano stati relatori al convegno “Sensi e parole per comprendere l’arte”, svoltosi a Torino a fine maggio (si veda l’articolo pubblicato su questo giornale), e con tutti loro la nostra Unione vanta proficue e durature collaborazioni.
Dunque, oltre ai contenuti e agli elementi di riflessione trasmessi esplicitamente dalle relazioni, è sicuramente filtrato anche il metamessaggio di quanto sia utile ed efficace, in termini di risultati concreti, un’assidua collaborazione tra gli enti che la cultura hanno il compito di proporla alla fruizione del pubblico e coloro che di questa offerta son destinatari, specie quando questi ultimi sono persone con disabilità. L’efficacia infatti deriva fondamentalmente dal fatto che il disabile che desidera davvero entrare in contatto significativo col bene culturale, non si può accontentare di un’offerta qualsiasi, ma si fa soggetto attivo e propositivo nella ricerca dei mezzi e degli strumenti più idonei per la soluzione dei vari problemi che gli impediscono una fruizione realmente soddisfacente dell’opera d’arte. Per inciso osserviamo anche che assai spesso le soluzioni trovate per questa via si rivelano estremamente utili anche a molti altri, compresi i cosiddetti normodotati.

Francesco Fratta

 

Più cinema per tutti
Protagonista Carlo Verdone

Dal 2 all’11 ottobre Torino sarà un punto di riferimento per la cultura accessibile. Al Cinema Massimo, infatti, si svolgerà la rassegna “Più cinema per tutti”, sviluppata dall’Associazione Museo Nazionale del Cinema e coordinata da Rosa Canosa. L’evento offrirà una serie di proiezioni attente alle necessità dei disabili sensoriali (con audiodescrizione pe le persone cieche e sottotitolazione per quelle sorde). La sfida è realizzare una manifestazione culturale per tutti. Quindi, non un evento speciale o “dedicato”, ma una proposta inserita nella normale programmazione delle sale. La rassegna sarà dedicata al grande regista e attore romano Carlo Verdone, del quale saranno proiettati 9 film, 7 dei quali pienamente accessibili alle persone con disabilità sensoriale. Lunedì 2 ottobre sarà lo stesso Verdone a inaugurare il ciclo di proiezioni: incontrerà il pubblico e presenterà il film Borotalco (1982), uno dei suoi grandi classici. Sostenuto da Compagnia di San Paolo, il progetto “Più cinema per tutti” è realizzato in collaborazione con le principali associazioni di persone disabili presenti sul territorio. Naturalmente non poteva mancare la nostra Unione, che ha fin da subito appoggiato l’iniziativa con entusiasmo.

 

La chiesa di San Lorenzo: un racconto da toccare con mano
Volontari al servizio dell’arte e della bellezza

Tra le numerose attività che animano il panorama culturale torinese è interessante, per l’attenzione dedicata ad ogni singolo turista, una delle proposte offerte dalla chiesa di San Lorenzo. La volontà di rendere nota ai cittadini e agli altri visitatori la storia dell’edificio ha sempre trovato ampia disponibilità in differenti gruppi di volontari e grande risonanza negli studi sul barocco piemontese. Proprio all’interno di questo fortunato contesto opera un piccolo gruppo di volontari, le Pietre Vive, una comunità di ispirazione ignaziana che, oltre all’accoglienza di quanti desiderano conoscere la chiesa, si propone di garantire un accompagnamento alla visita per persone cieche e ipovedenti. L’idea nasce in seguito ad una collaborazione col settore cultura della nostra sezione UICI Torino, col quale è stato possibile confrontarsi sui temi di cultura e accessibilità, e dal desiderio di valorizzare la chiesa con un approccio completo. In quest’ottica è stata riconsiderata la finalità del servizio: rendere l’edificio “pietra viva” raccontandone i significati cristiani e la storia celati dietro la sua architettura.
Per fornire una visita esaustiva e coinvolgente, il gruppo, oltre a un approfondito studio storico-artistico, ha ipotizzato l’utilizzo di strumenti utili a un approccio che solleciti diversi sensi. Proprio per questo, oltre all’ascolto delle informazioni fornite dai volontari, è prevista anche l’esplorazione tattile di disegni a rilievo (della pianta e della facciata) e di alcuni particolari architettonici al fine di sottolineare i punti di principale interesse.
Il percorso di visita è ancora in fase di sperimentazione, sia perché alcune delle strumentazioni di cui vorrebbe avvalersi il gruppo, tra cui il modellino della cupola, non sono ancora state realizzate, sia perché la verifica del lavoro svolto nasce anche dall’incontro con i turisti. Forse proprio grazie al suo carattere sperimentale e al piccolo contesto in cui operano le Pietre Vive, l’esperienza presenta un duplice valore: promuovere la conoscenza dell’architettura e dei significati religiosi e spirituali di uno dei gioielli del panorama torinese, ma anche creare un’occasione di socialità. Grazie a questa dimensione viene sottolineata l’importanza di una conoscenza del patrimonio condivisa, in cui le peculiarità del gruppo di visitatori sono colte come una ricchezza di prospettive.
Per maggiori informazioni rimandiamo al sito http://pietrevive.altervista.org

Gianni Laiolo – responsabile settore cultura UICI Torino
Chiara Pipino – volontaria gruppo Pietre Vive

 

In viaggio sul trenino rosso del Bernina
Tra vallate e paesaggi mozzafiato

Quest’anno, la gita organizzata dalla nostra sezione UICI Torino e svoltasi nei primi giorni di giugno, ci ha portato, almeno per un giorno, al di fuori dei confini nazionali, in Svizzera, dove, per raggiungere St. Moritz, siamo saliti sul famoso “Trenino Rosso del Bernina”, che ci ha permesso di godere di un’esperienza bellissima ed emozionante. Nel 2008, questo percorso è stato inserito dall’Unesco nel prestigioso Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Ma com’è nato il Trenino? Verso la fine del 1800 i residenti delle vallate circostanti sentirono l’esigenza di potersi spostare liberamente e di svolgere il proprio commercio più agevolmente, soprattutto nella stagione invernale. Così aderirono al progetto di un’azienda inglese che prevedeva la costruzione di una ferrovia di collegamento fra le vallate. I lavori ebbero inizio nel 1906 e si conclusero nel 1913 con l’apertura ufficiale della ferrovia, anche nei mesi invernali, su tutta la linea.
Per quei tempi, un’opera del genere era quanto mai complessa e ardita. La sua realizzazione dimostra, una volta di più, la genialità dell’uomo.
Alle 9.15, dopo una levataccia antelucana per essere puntuali, eravamo tutti alla Stazione di Tirano, pronti a salire con la nostra guida sul famoso Trenino e, comodamente seduti nelle carrozze panoramiche, con vetrate a cupola che permettono una più ampia visuale, abbiamo finalmente iniziato il viaggio.
In poco più di 2 ore il Trenino ci ha portato da un’altitudine di 420 metri ad una di 2.253 metri, dove si trova l’Ospizio del Bernina che segna il confine linguistico fra l’italiano e il tedesco, passando dalla Val Poschiavo alla Val Engadina, entrambe facenti parte del Canton Grigioni. Grazie alla spiegazione della guida abbiamo potuto cogliere, anche se in modo indiretto, la bellezza suggestiva del paesaggio. Mentre il Trenino si arrampicava lentamente a spirale intorno alla montagna, la voce della guida ci descriveva le diverse tonalità della vegetazione: dal verde chiaro delle querce a quello più intenso dei castagni e degli abeti e al verde più scuro delle pareti ricoperte da muschi e licheni, fino ad arrivare alla cima dove i raggi del sole si riflettevano sul bianco dei ghiacciai. Si è trattato di un’esperienza che consigliamo a tutti i non vedenti, purché siano accompagnati da una persona preparata e sensibile.
Scendendo nella Val Engadina, lungo il corso del fiume omonimo, siamo giunti a St. Moritz (1822 metri di altitudine) che nonostante la sua alta quota gode di un clima mite.
Molto piacevole è stata la passeggiata lungo il lago dove ci siamo fermati per il pranzo; nel pomeriggio abbiamo visitato ciò che era possibile tra cui le rovine di un antico castello mai portato a termine e, per contro, il viale su cui si affacciano le bellissime e lussuose ville di alcuni vip.
Con il pullman abbiamo quindi raggiunto Livigno in Valtellina (1816 metri di altitudine), un paese che rispecchia molto l’ordine e lo stile di vita degli svizzeri e come St. Moritz offre degli scorci naturalistici di grande effetto. La guida ci ha raccontato le guerre di religione che si sono svolte nei secoli scorsi tra cattolici e protestanti che, al giorno d’oggi, finalmente, vivono pacificamente.
Nelle sue varie tappe, la gita ha cercato di coniugare le bellezze storiche ed artistiche con quelle paesaggistiche. Queste ultime ci hanno maggiormente colpiti ed emozionati. Anche i partecipanti hanno mostrato il loro gradimento, consigliandoci di organizzare nuovi viaggi, magari in qualche capitale straniera.

Titti Panzarea

 

Quando eravamo emigranti e sbarcavamo a Ellis Island
La memoria in mostra al Galata Museo del Mare di Genova

Nulla è più straziante di una partenza in nave per chi ha appena salutato le persone più care e teme di non rivederle mai più. Lentamente la prua prende il largo verso un mare scuro d’angoscia, mentre il cuore resta inchiodato alla banchina. Gli emigranti che a inizio Novecento si imbarcavano sui piroscafi diretti in America, a volte, al momento di partire, lanciavano verso i loro familiari un gomitolo di lana e si aggrappavano forte a quel filo sottilissimo, finché la nave, allontanandosi, non lo spezzava. Abbiamo scoperto tutto questo durante la visita al Galata Museo del Mare di Genova, tappa della gita organizzata dall’U.N.I.Vo.C. Torino per il mese di maggio. L’intero museo è una miniera di informazioni sulla storia della navigazione e della marineria. Particolarmente toccante, forse anche per i tanti riferimenti alla nostra storia recente e alla contemporaneità, è stata la visita alla sezione MEM (Memoria e Migrazioni), che, con i suoi 1.200 metri quadri di allestimento e oltre 40 postazioni multimediali, ricostruisce sia la storia dell’emigrazione italiana via mare, sia quella, più recente, dell’immigrazione verso l’Italia. Così, grazie anche alla passione e alla preparazione di Lidia (la guida che ci ha accompagnati durante la nostra giornata genovese), abbiamo potuto immergerci in un universo di sofferenze e speranze, vicende tragiche e storie a lieto fine. I viaggi di chi, per oltre un secolo, ha lasciato l’Italia cercando fortuna oltremare, erano esperienze estreme, al limite della sopravvivenza. Le traversate duravano settimane. Si dormiva ammassati a centinaia in spazi angusti, dove in breve tempo l’aria diventava irrespirabile. La probabilità di ammalarsi era elevata: a bordo imperversavano infezioni come il tracoma (che nei casi più gravi portava alla cecità) o patologie polmonari causate dai forti venti atlantici. Spesso i più fragili soccombevano. Chi aveva la fortuna di sopravvivere al viaggio, se approdava negli Stati Uniti doveva superare, al momento dello sbarco, un accurato esame medico. Le persone che risultavano malate, o anche solo debilitate, venivano immediatamente rispedite in patria. Sono entrate ormai nella leggenda le vicende legate a Ellis Island, l’isolotto nella baia di New York da dove transitavano gli italiani in arrivo. Ad attenderli non c’era certo un mondo accogliente, ma una lingua ignota, un presente precario e (nel migliore dei casi) la prospettiva di un lavoro sfibrante, talvolta disumano. Eppure ci sono anche tante storie positive: storie di persone che ce l’hanno fatta e che, con intraprendenza e coraggio, hanno saputo integrarsi in quel melting-pot culturale. Lo sanno bene i tantissimi Americani che oggi portano un cognome italiano. Molte di queste storie si possono ripercorrere visitando il Museo del Mare, grazie a un accurato lavoro di documentazione che raccoglie lettere, immagini e oggetti personali. Sono vicende che non possiamo dimenticare. Sono anche le nostre storie. In fila, tra le figure stanche e disorientate sulla banchina, potrebbero esserci i nostri bisnonni. Non solo: al di là di qualsiasi valutazione politica, nel leggere e ascoltare di quei viaggi estremi, è impossibile non rabbrividire, pensando alle migliaia di persone che oggi lasciano i loro Paesi e rischiano la vita in mare, per inseguire un destino non meno incerto.

Lorenzo Montanaro

 

La voce dei soci
I test d’ingresso alla Facoltà di Fisioterapia siano accessibili ai disabili visivi

Per la rubrica “La voce dei soci”, pubblichiamo il contributo di Gianni Laiolo, consigliere della nostra sezione UICI Torino e responsabile del comitato fisioterapisti. Il suo appello per l’accessibilità dei test d’ingresso tocca un tema di grande rilevanza. In gioco c’è il futuro di una professione storica, che per decenni ha consentito a centinaia di persone cieche e ipovedenti di accedere al mondo del lavoro e dimostrare le loro grandi potenzialità. Ma se non si troveranno soluzioni adatte, questa possibilità rischia di esaurirsi.
Vi ricordiamo che potete contribuire alla rubrica “La voce dei soci” inviando testi brevi (circa 1.000 caratteri spazzi inclusi) all’indirizzo ufficio.stampa@uictorino.it

Vogliamo fare chiarezza sui test d’ingresso alla Facoltà di Fisioterapia dell’università. Attualmente, lo ricordiamo, il solo corso praticabile per i disabili visivi è quello istituito presso la Facoltà di Firenze, che garantisce una riserva di 5 posti.
Da parecchi anni la nostra sezione UICI Torino chiede all’ateneo del capoluogo piemontese di rendere accessibili le prove d’ammissione. Ci sono stati vari incontri con il Preside di Facoltà, ma non si è raggiunto nessun risultato, poiché la materia è di competenza del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca. Nonostante questo, abbiamo comunque cercato di intraprendere una trattativa con l’Università torinese per rendere accessibile il percorso. Il Consiglio provinciale UICI, coinvolgendo la sede centrale, ha fatto tutto il possibile. E’ stato anche scritto un Ordine del Giorno, nel quale si chiedeva un impegno straordinario per rimuovere gli ostacoli esistenti e consentire ai ragazzi con disabilità visiva di avvicinarsi a una professione storica, che tanto ha dato ai ciechi. Nel frattempo abbiamo anche preso contatti con l’Università del Piemonte Orientale e, insieme ad alcuni dirigenti nazionali, abbiamo incontrato il Preside della Facoltà di Fisioterapia di Novara. Forti della sensibilità dimostrata dall’ateneo novarese, abbiamo stilato il progetto per un percorso di laurea sperimentale rivolto a 5 studenti. Purtroppo, anche in questo caso, l’entusiasmo ha avuto vita breve: per attuare il programma, infatti, l’ateneo ha chiesto al Ministero uno stanziamento straordinario, che però non è mai arrivato. Sull’accessibilità dei test d’ingresso si è pronunciato anche il Consiglio Regionale UICI Piemonte, con un Ordine del Giorno datato 2 luglio. Nulla si è mosso fino a fine luglio, quando il quotidiano La Repubblica ha dedicato un articolo alla questione. Secondo i giornalisti, il rettore di Torino, su pressione dell’Assessore alla Sanità della Regione Piemonte, avrebbe finalmente reso accessibili i test d’ingresso agli studenti non vedenti. Ne è scaturito un dibattito tra gli addetti ai lavori e i docenti dei corsi. A fianco dei disabili si sono schierate anche l’Associazione Nazionale Fisioterapisti (Aifi) e l’Organizzazione Europea di Fisioterapia. In particolare, nelle scorse settimane, siamo stati ricevuti dall’Aifi, che, attraverso il direttore regionale Giuseppe Tedesco, ci ha manifestato solidarietà e sostegno. Tuttora, comunque, la questione resta sospesa. Il paradosso è che tra i docenti dei corsi di laurea ci sono già alcune persone non vedenti. Come già osservato, la nostra Unione Ciechi di Torino ha lavorato molto per sanare il problema. Oltre al sottoscritto, che da anni si batte contro questa ingiustizia, va senz’altro citato il prof. Oscar Franco, che ha investito lavoro, impegno e passione. Speriamo che gli anni di lotte portino finalmente ai risultati sperati, dando la possibilità ai nostri giovani di intraprendere una professione che ha saputo rinnovarsi e raggiungere una formazione di livello universitario. Non permettiamo che il nostro lavoro vada perso: quella del fisioterapista è una professione che dà grandi soddisfazioni e ci permette di aiutare il prossimo, dimostrando che una persona disabile della vista, se messa nelle condizioni di lavorare, è un valore aggiunto per tutti.

Gianni Laiolo
Consigliere e Responsabile Comitato Fisioterapisti UICI Torino