Decreto sull’inclusione e continuità didattica: una “presa in giro”?, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Come ho già avuto modo di osservare più volte sulle pagine di questo giornale, anche in risposta ai docenti specializzati riunitisi nel gruppo dei cosiddetti “Partigiani della scuola pubblica”, ho sempre ritenuto assolutamente indifferibile e necessaria la riforma dell’attuale sistema italiano del sostegno didattico.
A mio modesto avviso, infatti, la riflessione sul Decreto 378, approvato dal Governo Gentiloni lo scorso 14 Gennaio (schema di decreto per la promozione dell’inclusione scolastica), in questi 60 giorni che ci separano dalla pubblicazione del testo finale, non può essere animata dalla voglia di “trincerarsi” nella tutela ad ogni costo dell’esistente o in rimpianti di un passato che poteva essere e che non è stato, da parte delle nostre Associazioni di e per disabili più rappresentative e delle loro famiglie.
E’ tempo, invece, di guardare avanti, anche se con “realismo”, perché solo così si riuscirà finalmente a garantire il migliore futuro possibile all’inclusione scolastica degli alunni/studenti disabili italiani.
E proprio questo “pragmatismo” (unitamente al mio eterno ottimismo) mi inducono a giudicare “sufficientemente” condivisibile il “neonato” Decreto sull’inclusione, perché va nella direzione, da noi tanto auspicata, di:
1) una formazione iniziale ed in servizio specifica sulle diverse disabilità da parte non solo dei docenti specializzati, ma anche di tutto il personale scolastico (docenti curricolari, personale ATA ed anche dirigenti scolastici).
Da ora in poi, per i futuri docenti per il sostegno saranno necessari 120 cfu e non più solo 60 sulle tematiche della Pedagogia speciale e della Didattica inclusiva;
2) una scansione chiara e con tempi ben definiti della procedura di certificazione della disabilità degli alunni;
3) una semplificazione documentale (un solo documento) per la quantificazione delle ore di sostegno didattico per gli alunni/studenti con disabilità;
4) il rafforzamento del carattere “pedagogico ed educativo del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e l’integrazione del Piano Annuale di Inclusione (PAI) con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF);
5) la definizione di prestazioni “essenziali” ed indicatori di qualità dell’inclusione scolastica degli allievi disabili;
6) una “parziale” continuità didattica, con l’istituzione di 4 ruoli per il sostegno (infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado) e con l’obbligo di permanenza per gli insegnanti specializzati sul posto di sostegno per 10 anni e non più cinque, prima di transitare nei posti “comuni”.
Ecco, forse proprio su tali ultimi due punti, previsti rispettivamente dall’art 3 del Decreto (prestazioni e competenze), dall’art 4 ( valutazione ed autovalutazione della qualità dell’inclusione, e dall’art 16 (continuità didattica), il testo mi pare un po’ “lacunoso” ed “emendabile” dalle competenti Commissioni parlamentari che lo esamineranno in queste settimane, tenuto conto però che esse potranno esprimere soltanto pareri non vincolanti per l’Esecutivo.
Sulle “prestazioni “essenziali” in capo allo Stato, alle Regioni ed agli Enti Locali e sui criteri di valutazione in materia di inclusione scolastica mi cimenterò in un altro mio contributo, mentre con il presente articolo vorrei soffermarmi sulla delicata e “spinosa” questione della “continuità didattica” da garantire agli allievi con disabilità
In proposito, dopo aver letto la nota dell’AICE, intitolata “Continuità didattica e schema del Governo? Una presa in giro”, non posso che condividere e associarmi al loro rammarico ed alla loro amarezza nell’aver appreso e dovuto prendere atto della mancata previsione del vincolo per i docenti per il sostegno di permanenza con il medesimo alunno/studente disabile per tutto il suo segmento d’istruzione.
Infatti, se è vero, come sopra accennato, che l’art 12 del D.Lgs 378 obbliga il docente specializzato a rimanere sul posto di sostegno per 10 anni e non più per soli 5 anni, prima di transitare sul posto comune, è altrettanto vero che, durante questi dieci anni, tuttavia, purché restino in quel comparto, essi potranno senza limiti chiedere d’essere trasferiti da Torino a Napoli o da Trento a Palermo senza dover renderne conto all’alunno disabile, ai loro genitori, alla loro scuola.
«È questa la continuità didattica prevista dalla legge e richiamata ripetutamente dalla ministra Fedeli?
E’ questa la domanda che mi sorge subito spontanea e con la quale si interroga preoccupata anche la rivista specializzata Tuttoscuola.com che in questi giorni, con un suo recente dossier, ha posto il dibattito sullo «tsunami» nelle classi di sostegno.
I numeri sono allarmanti: se oltre 2 milioni e mezzo di alunni (il 33% dell’intera popolazione scolastica) si trovano quest’anno con almeno un insegnante nuovo in classe, è andata ancora peggio agli alunni con disabilità, perché – secondo i calcoli del dossier di Tuttoscuola – almeno 100 mila di loro (il 43% dei 233 mila alunni disabili presenti quest’anno nelle classi di ogni ordine di scuola) hanno cambiato il docente di sostegno.
Questa grave situazione determina di fatto l’impossibilità di assicurare agli allievi disabili quella continuità didattica che risulta essere un fattore determinante per favorirne il successo formativo.
A mio parere, tale problema scaturisce dal fatto che numerosi posti di sostegno sono attribuiti a docenti con contratto a tempo determinato: la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH), l’anno scorso, ha stimato che quasi il 40% dei posti sono coperti tuttora da docenti precari.
A ciò si aggiunga che il Piano straordinario di immissione in ruolo, previsto e realizzato dalla legge n. 107/2015, non ha risolto, con le circa 25.000 assunzioni effettuate sui posti di sostegno, il suddetto problema.
Un’ulteriore delusione in tal senso è arrivata dal numero dei posti che sono stati banditi per il sostegno con l’ultimo concorso: 5.766 (in tre anni), quando se ne aspettavano almeno il doppio.
Per non parlare poi delle tantissime mancate ammissioni di quest’ultimo concorso – il cosiddetto “Concorsone” – e dell’enorme domanda di insegnanti di sostegno (circa 120.000 in servizio di cui circa il 60% di ruolo), che hanno letteralmente mandato in tilt il sistema scolastico territoriale.
Si ricordi a tal proposito la Nota Ministeriale Protocollo n. 24306 del 1° settembre 2016, che recitava testualmente: «In caso di esaurimento degli elenchi degli insegnanti di sostegno compresi nelle graduatorie ad esaurimento, i posti eventualmente residuati sono assegnati dai dirigenti scolastici delle scuole in cui esistono le disponibilità, utilizzando gli elenchi tratti dalle graduatorie di circolo e d’istituto, di prima, seconda e terza fascia». Migliaia di cattedre di sostegno sono state perciò affidate a docenti senza alcun tipo di specializzazione, costringendo in tal modo le famiglie di persone con disabilità a ricorrere sempre più spesso ai giudici per dare un’istruzione adeguata ai loro figli.
Temo proprio che, stante così il Decreto sull’inclusione scolastica e cioè senza alcuna modifica parlamentare o “governativa”, i numeri sopra riportati ed il mancato “vincolo” del docente per il sostegno con il suo alunno/studente con disabilità per l’intero suo “grado” di istruzione non potranno garantire di certo un’effettiva continuità didattica e faranno in modo che si perpetui il sistema attuale, sulla base del quale la maggior parte degli allievi disabili sono costretti, ogni anno, a cambiare docente di sostegno e a ricominciare tutto da capo (relazione educativa, nuovo metodo di insegnamento, relazione docente-classe-alunno disabile …).
Un’”ancora di salvezza” potrebbe arrivare dall’assunzione di un numero maggiore di docenti, in modo da abbassare considerevolmente l’attuale percentuale di posti attribuiti a supplenza.
Infatti, se la previsione dell’art 12 del nuovo Decreto sull’inclusione del “vincolo decennale” per i docenti specializzati su loro “posto” va finalmente nella “sacrosanta” direzione di evitare di utilizzare la “via”del sostegno come scorciatoia per anticipare i tempi di immissione nei ruoli ordinari dell’insegnamento, a mio modesto avviso, sono tre le “condizioni necessarie ed ineludibili”, senza le quali, risulterà impossibile garantire la tanto declamata continuità didattica:
la modifica dei criteri di costituzione degli organici dei docenti specializzati a livello nazionale;
l’assunzione di un numero elevato di docenti di sostegno;
l’obbligo del docente specializzato di seguire l’alunno per l’intero segmento d’istruzione seguito (infanzia, primaria e secondaria di primo e di secondo grado).
Il vincolo, pertanto, oltre che essere legato ad un numero predeterminato di anni (e l’obbligo di permanenza decennale ci va benissimo), deve corrispondere anche e soprattutto al percorso dell’alunno con disabilità: un docente per il sostegno della scuola primaria, ad esempio, dovrebbe poter chiedere la mobilità professionale e/o territoriale dopo cinque anni, od un insegnante specializzato della scuola media potrebbe chiederla dopo che l’allievo disabile consegua la licenza, anzi scherzavo, non consegua la licenza media, come pare che dovrebbe sorprendentemente succedere per gli allievi disabili con il nuovo Decreto 384 sulla valutazione degli alunni, approvato lo scorso 14 Gennaio.
Ma questa è un’altra triste storia!
Solo realizzando concretamente le tre condizioni “strutturali” di cui sopra, sarà possibile garantire un’effettiva continuità didattica e realizzare pienamente l’inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità del nostro Paese.
La certezza è che, di fronte a tali evidenti carenze e criticità del Decreto 378 appena partorito dal Governo, la FAND , la FISH e le famiglie degli allievi con disabilità non rimangano inerti e neutrali in questi giorni di discussione del testo presso le Commissioni della Camera e del Senato.
Tutti insieme dobbiamo innalzare la bandiera della “resistenza” e batterci per una diversa visione dell’inclusione scolastica, che rovesci i meccanismi “perversi” dell’attuale sistema e ponga finalmente l’alunno/studente con disabilità, con la sua dignità ed i suoi bisogni educativi, al centro di un modello di “Buona Scuola”, veramente di qualità ed “inclusiva” per tutti e per ciascuno.