Centro di Documentazione Giuridica: Licenziamento disabile: obbligo di doppia verifica della inidoneità, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Con sentenza 4757/2015, la Cassazione ha affermato che risulta illegittimo il licenziamento disposto per inidoneità sopravvenuta del lavoratore allo svolgimento delle mansioni sul presupposto del solo accertamento compiuto dal medico competente e senza aver atteso gli esiti del successivo riesame da parte della commissione sanitaria.
La Corte ha ulteriormente precisato che l’illegittimità del provvedimento espulsivo è motivata dal fatto che il datore non ha dato prova dell’impossibilità di reimpiegare il lavoratore altrove nell’ambito dell’azienda.
Il presupposto da cui muove la decisione è che, avverso la valutazione del medico competente circa l’idoneità/inidoneità parziale, temporanea o permanente del dipendente al disimpegno di una determinata attività, è consentito presentare ricorso, entro 30 giorni dalla comunicazione del giudizio medico, all’organo di vigilanza territorialmente competente.
Nel caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Suprema corte, l’intimazione del provvedimento espulsivo era intervenuta prima che la commissione sanitaria si fosse pronunciata sull’opposizione del lavoratore al giudizio espresso dal medico competente.
La Cassazione non si è, tuttavia, arrestata a questo accertamento, ma ha rilevato che l’invalidità del licenziamento emergeva anche sotto il profilo del mancato accertamento circa la possibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni disponibili in azienda, compatibili con le sue ridotte condizioni psico-fisiche.
La sentenza conferma che, in presenza di un licenziamento motivato con la inidoneità fisica al lavoro, il datore è chiamato a dimostrare l’impossibilità di utilizzare il dipendente in mansioni equivalenti e in un ambiente compatibile con il suo stato di salute, essendo il medesimo datore tenuto, inoltre, a confutare le allegazioni espresse dal dipendente circa il suo possibile repêchage in altre mansioni nell’ambito della compagine aziendale.
La Suprema Corte ha precisato che, in tale contesto, non costituisce violazione del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica la decisione del giudice di dichiarare l’illegittimità del licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione, se il datore non ha preventivamente valutato la possibilità di assegnare al dipendente mansioni diverse e di pari livello.
Questa conclusione, ad avviso dei giudici, può essere superata unicamente se la riassegnazione del lavoratore ad altre posizioni possa indurre un’alterazione dell’organizzazione aziendale o un trasferimento di altri lavoratori.
In questo caso, come riconosciuto da un consolidato indirizzo, al datore di lavoro non può farsi obbligo di ricollocare il dipendente risultato inidoneo alle specifiche mansioni, atteso che una diversa conclusione comporterebbe una ingerenza sull’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’impresa.
In allegato il testo della commentata sentenza.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

cdg Sentenza n. 4757-2015