Riduzione personale dipendente – Quesiti, di Tommaso Daniele

Autore: Tommaso Daniele

Unione Italiana dei Ciechi
e degli Ipovedenti – Onlus
Sezione Provinciale di Chiavari

C.A. Presidente Maria Cristina Minerva

e-mail minecri@winguido.it
uicchi@uiciechi.it

 

 
In riferimento al quesito di cui alla e-mail 23.5.2013, si fa presente che la materia è ovviamente molto complessa ed è stata sottoposta a recenti modifiche legislative introdotte dalle leggi “Riforma del mercato del lavoro”(L. 92/2012), “Misure urgenti per la crescita del paese”(L. 134/2012) e dalla legge di stabilità (L.228/2012), che hanno dato adito ad alcuni dubbi applicativi.
In massima sintesi, si può dire che in un rapporto di lavoro subordinato (ex art. 2094 c.c.), il potere di licenziamento costituisce l’esercizio del diritto di recesso da parte del datore di lavoro.
Nel caso di aziende/enti che occupino meno di 15 dipendenti non si applica la procedura prevista dalla legge n. 92/2012 (c.d. Legge Fornero), ma si deve fare riferimento alla legge 15 luglio 1966, n. 604.
In generale il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa, ai sensi dell’articolo 2119 del Codice civile , o per giustificato motivo.
In base alle interpretazioni fornite dalla dottrina e dalla giurisprudenza, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Pertanto, in base alle pronunzie giurisprudenziali, le ragioni che legittimano il licenziamento individuale per giustificato motivo obiettivo sono riconducibili o a specifiche esigenze aziendali che impongono la soppressione del posto di lavoro (c.d. esigenze obbiettive d’impresa), oppure da comportamenti o situazioni facenti capo al prestatore di lavoro, purché costituiscano una ragione di risoluzione del rapporto (c.d. circostanze incolpevoli inerenti al lavoratore). Tra le prime rientrano, ad esempio, le soppressioni di posti di lavoro a causa di riassetti organizzativi, oppure per una riorganizzazione dovuta alla necessità di contenere i costi aziendali, casi assimilabili alla situazione descritta nel quesito.
In tal caso, si ricorda che, secondo l’art. 2 della legge 604/1966, il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro quindici giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto. Il licenziamento intimato senza l’osservanza di tali disposizioni è inefficace.
Sul punto si richiamano anche l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori – legge 20 maggio 1970, n. 300, e la legge 11 maggio 1990, n. 108, che disciplina i licenziamenti individuali, secondo le quali nel caso di licenziamento il lavoratore ha la facoltà di ricorrere contro il provvedimento entro 60 giorni. In dibattimento spetterà al datore di lavoro l’onere della prova per la giusta causa e la giusta motivazione.
I rischi che un datore di lavoro che occupa meno di 15 dipendenti, come nel quesito prospettato, corre in caso di licenziamento illegittimo o inefficace si possono così sintetizzare.
Se alla conclusione del giudizio di fronte al giudice del lavoro dovesse essere accertata l’illegittimità del licenziamento, si potrà applicare nei confronti del lavoratore (ricorrente) il regime della cosiddetta tutela obbligatoria.
La tutela obbligatoria, disciplinata dall’art. 8 della citata L. n. 604/1966, stabilisce che in caso di licenziamento adottato in difetto di una giusta causa o un giustificato motivo, il datore di lavoro deve decidere se riassumere il lavoratore o se corrispondergli, in sostituzione, un’indennità che può essere quantificata da un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione percepita (se il lavoratore ha prestato servizio per oltre dieci anni, avrà diritto a 10 mensilità); il requisito dimensionale generale per l’applicazione della tutela obbligatoria è, a livello aziendale, un numero di dipendenti non superiore a 15.
Per completezza di informazione, si rammenta che l’Unione ha anche la possibilità di ricorrere all’istituto della Cassa integrazione guadagni in deroga (CIG), previsto per il caso in cui il datore di lavoro stia affrontando un periodo di crisi per eventi imprevisti ed improvvisi, comunque a lui non imputabili, e rappresenta un intervento straordinario di sostegno al reddito a beneficio di lavoratori sospesi temporaneamente dall’attività lavorativa per motivi riconducibili a crisi di mercato, di fatto analoghe a quella segnalata.
La procedura di CIG richiede necessariamente che il datore di lavoro inoltri richiesta di consultazione sindacale alle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano provinciale (come previsto dall’art. 5 della legge 164/1975). Raggiunto l’accordo con le parti sindacali per la sospensione dei lavoratori, l’ente procede con la compilazione e l’inoltro all’Agenzia del lavoro della domanda di CIG in deroga, utilizzando l’apposita modulistica, nella quale saranno specificati il periodo di sospensione, i lavoratori interessati ed il numero di ore di CIG richieste. La domanda potrà essere presentata entro il termine perentorio di 20 giorni di calendario dalla data di inizio della sospensione.
Al riguardo si ricorda che l’Ufficio Personale della Presidenza Nazionale potrà fornire informazioni dettagliate sulle procedure di Cassa integrazione e la relativa modulistica INPS, avendole già poste in essere per il personale dipendente della sede centrale.
Infine, data la complessità della materia e considerate le possibili conseguenze anche di ordine giudiziale, si consiglia comunque di valutare se fare riferimento ad un consulente del lavoro prima di procedere ad alcun atto formale nei confronti del personale dipendente.
Cordiali saluti.

IL PRESIDENTE NAZIONALE
(Prof. Tommaso Daniele)