L’arrivo dei migranti sulle nostre coste implica specifiche iniziative di prevenzione delle malattie della vista
E’ cronaca di tutti i giorni l’arrivo sulle coste italiane di migranti che fuggono dai propri paesi natali funestati da guerre e povertà, costretti a cercare in Europa quella speranza di una vita migliore, spesse volte delusa, ma che appare comunque l’unica alternativa possibile.
Non voglio entrare nel merito delle diverse contrapposizioni che animano la nostra politica sull’argomento, ma voglio stigmatizzare alcune ricadute che questo esodo comporta. Nei paesi di origine dei migranti, la sanità è un fatto molto diverso da come lo intendiamo noi: mancano medici specializzati, strumentazione, medicinali e spesso anche una vera e propria cultura a riguardo. Anche se i migranti partono in piena salute, il lungo viaggio che compiono risulta terribilmente debilitante e porta a contrarre malattie di vario genere.
Ed ecco arrivare sulle nostre coste persone portatrici di patologie che nel mondo occidentale spesso sono un lontano ricordo; parlo di patologie di tipo infiammatorio e infettivo, quale ad esempio la tubercolosi, ma sicuramente anche di patologie che riguardano l’apparato visivo. In questo occorre essere pragmatici: se i migranti permangono nel nostro paese o in paesi dell’Europa, la loro salute è un fatto che ci riguarda da vicino: essi hanno diritto a quell’assistenza che l’ONU e le leggi internazionali prevedono.
Il problema è che se non curiamo per tempo le loro patologie, ci troveremo a dover provvedere ad essi non più come soggetti idonei ad esercitare una qualunque attività lavorativa, e quindi a contribuire all’economia italiana, ma come invalidi: tutti noi siamo ben coscienti quanto costi un soggetto cieco alle finanze pubbliche.
Ritengo quindi che sia un dovere non solo civico, ma anche pratico provvedere a far sì che le patologie di cui gli immigrati sono portatori siano prontamente curate grazie all’indiscussa bontà del nostro sistema sanitario. Se così faremo, il risultato sarà che avremo delle persone in grado di portare indiscutibilmente un contributo all’economia, lavorando ed integrandosi nel tessuto sociale.
La dichiarazione di indipendenza di una nazione fondata sull’immigrazione, nel 1776, recitava: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”. Proprio nel, seppur faticoso e non sempre lineare, rispetto di questi principi, offrendo cioè le stesse opportunità a tutti, gli Stati Uniti d’America sono diventati una potenza mondiale, per ricchezza e progresso. La diversità evidentemente è una ricchezza, ma occorre anche essere lungimiranti perché di questa ricchezza si possano cogliere i frutti.
Angelo Mombelli