Responsabile operativo Commissione nazionale istruzione
Mentre il processo di inclusione scolastica è ormai una realtà generalizzata e consolidata in tutto il paese, restano alcuni aspetti critici nell’inclusione dei disabili visivi che, in questi ultimi anni si sono venuti acutizzando.
I ragazzi ciechi o ipovedenti gravi rappresentano una piccola minoranza in relazione alla totalità dei disabili frequentanti i diversi ordini di scuola: su oltre 200.000 ragazzi con disabilità presenti nella scuola, essi sono meno di 5.000. Una piccola minoranza con però specifici bisogni educativi. Purtroppo, però, in una società dove, badando spesso più alla quantità che alla qualità ,”contano i numeri”, è sempre più difficile far conoscere i bisogni dei piccoli gruppi. Così, via via negli anni, le necessità educative specifiche dei disabili visivi sono state “oscurate” dai bisogni derivanti dal gruppo di maggioranza rappresentato dai soggetti con difficoltà di apprendimento: si è passati dai corsi di formazione monovalenti specifici sulla disabilità, a quelli polivalenti dove la trattazione degli aspetti tiflologici si ridusse a una piccola parte del monte ore complessivo, per passare alle SIS dove a volte l'”informazione” (non si può certo parlare di formazione) sulla disabilità visiva si riduceva a una decina di ore.
Questo, nonostante l’impegno dell’U.I.C.I. e delle organizzazioni ad essa vicine (Biblioteca Italiana per i ciechi, Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, I.Ri.Fo.R.), per fornire consulenza e formazione a genitori e docenti, rende oggi spesso inadeguate le loro conoscenze e competenze specifiche nell’educazione dei disabili visivi.
Precisato che una recente ricerca svolta a livello nazionale dall’I.Ri.Fo.R. ha evidenziato che oltre il 43% dei ragazzi con problemi di vista inseriti nei vari ordini di scuola, presenta anche altre disabilità, è indispensabile rifocalizzare la formazione dei docenti sui problemi specifici nell’educazione del non vedente o dell’ipovedente grave, sapendo che essi non sono quelli derivanti dalle difficoltà di apprendimento, ma dalla sua impossibilità a utilizzare la vista: per comunicare, per la propria autonomia personale, di lavoro e di movimento.
L’intervento di sostegno deve essere in grado di focalizzare l’azione educativa dei genitori prima, e l’azione didattica dei docenti poi, al superamento di questi problemi e deve porsi come obiettivi primari:
– l’insegnamento di un codice e di un metodo di lettura e scrittura capace di rendere autonomo lo studente nel suo lavoro;
– l’educazione all’autonomia personale nella gestione del lavoro didattico (prendere appunti, redigere il diario, svolgere prove scritte, studiare le lezioni, ecc.);
– l’educazione all’autonomia di movimento (sapersi muovere autonomamente nell’aula, nell’andare ai servizi, nel muoversi all’interno della scuola, fino ad arrivare a essere capace di percorrere autonomamente il percorso casa-scuola).
In presenza di un ragazzo con disabilità visiva senza altri problemi, non si tratta quindi di attuare una didattica differenziata, né di “semplificare” o ridurre gli insegnamenti, né di esonerarlo da qualche tipologia di prova o dalla frequenza di alcune discipline, ma di saper fornire al ragazzo con disabilità visiva ed ai suoi docenti, gli strumenti e le indicazioni perché egli possa seguire in “pari opportunità” le lezioni con i compagni.
Un grande strumento di “pari opportunità” per il disabile visivo è rappresentato dalle TIC: il loro utilizzo, rendendolo completamente autonomo nella lettura e nella elaborazione scritta dei testi “in nero”, (gli stessi utilizzati dai normovedenti), gli consente la comunicazione diretta con compagni e docenti.
L’uso del PC permette al cieco e all’ipovedente grave di scrivere, e correggere autonomamente, un qualsiasi testo che sarà immediatamente leggibile da chiunque, parimenti gli rende possibile consultare un libro digitalizzato, un sito in internet, un messaggio di posta elettronica leggendoli direttamente in braille attraverso il display braille collegato al suo computer o ascoltandoli con la sintesi vocale, il che, in una società sempre più “digitalizzata”, lo rende sempre più autonomo. Tutto risolto quindi.
Purtroppo no, la battaglia per l’inclusione assomiglia alle fatiche di Sisifo: quando si pensa di aver risolto un problema, esso torna a ripresentarsi nuovamente ed in modo più preoccupante. È questo che sta succedendo nell’utilizzazione delle nuove tecnologie spesso “non accessibili” utilizzate nel processo di “dematerializzazione” delle nostre scuole con l’acquisto di sofware per i registri elettronici non accessibili, con la realizzazione di siti non accessibili, con l’introduzione di LIM non accessibili e con l’adozione di libri digitali non accessibili.
La promozione della formazione tiflopedagogica e della “cultura dell’accessibilità”: questi i due fronti che hanno caratterizzato il nostro impegno nell’anno appena trascorso con pressioni politiche sul MIUR ed interventi tecnici in tutte le sedi: osservatorio permanente sull’inclusione scolastica, seminari e convegni.
Relativamente alla formazione, concretamente nel 2013, dopo anni di assenza di significative iniziative di aggiornamento specifiche, abbiamo ottenuto:
– l’avvio, con finanziamento da parte del Ministero, di cinque Master/corsi di perfezionamento su Didattica e Psicopedagogia per alunni con disabilità sensoriali, rivolti a docenti di sostegno e curriculari, che saranno avviati nel mese di gennaio/febbraio nelle Università statali di Torino, Venezia, Bologna, Bari e nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli;
– l’attivazione di due Master di I livello per “assistenti alla comunicazione per disabili sensoriali”, promosso uno dall’Università La Sapienza di Roma e l’altro in FAD realizzato dall’Università IUL di Firenze;
– la realizzazione con l’I.Ri.Fo.R., di un corso di 116 ore, (cinque moduli in FAD intervallati da quattro in presenza), per la formazione tiflopedagogica di base dei docenti educatori, che ha visto la partecipazione di circa ottocento iscritti.
Mentre, relativamente all’accessibilità, i nostri interventi in tutte le direzioni, hanno cominciato a dare i primi importanti risultati sul piano normativo:
– nel Decreto 169 (“Decreto crescita 2.0 “convertito in legge il 12.12. 2012) dedicava l’intero articolo 9 rendendo più cogenti le norme sull’accessibilità;
– il Dm del 20 marzo 2013, pubblicato sulla GU lo scorso ottobre, ha reso operative le nuove indicazioni, aggiornando il precedente regolamento della “Legge Stanca”;
– il Decreto MIUR 26.03.2013 sui libri di testo digitali, contiene uno specifico allegato sulle condizioni di accessibilità dei libri di testo.
Si tratta ora di passare dalla “norma” alla “prassi”.
In questo senso fanno ben sperare le due giornate di approfondimento sull’editoria digitale e scolastica tenutesi al MIUR nel mese di dicembre: nell'”Incontro di informazione e formazione per Dirigenti Scolastici e docenti delle 20 scuole appaltanti, rappresentanti delle 38 Scuole 2.0 e degli Uffici Scolastici Regionali”, presenti gli editori, la specifica sezione sulle caratteristiche dell’accessibilità dei prodotti digitali rappresenta un importante segnale verso una reale attenzione al superamento del problema.
Luciano Paschetta