Le riflessioni e le proposte a suo tempo pubblicate di Luciano Paschetta che prendevano spunto dall’esperienza di Brescia di integrazione scolastica dei ragazzi ciechi, destano polemiche e hanno suscitato vecchi e nuovi malumori e inquietudini che sono fonti e hanno alimentato anche altre proposte alternative all’attuale sistema di inclusione.
Da qualche parte vengo sollecitato a pronunciarmi in merito. Non conosco l’esperienza di Brescia e pertanto non posso esprimere alcuna valutazione, sebbene mi paia esagerato il giudizio di eccellenza e di unicità e soprattutto ingeneroso verso altre situazioni.
Posso invece dire quale è l’esperienza dell’Istituto Chiossone di Genova. Come è ben noto la rivolta degli studenti del 1971 ha portato il Chiossone – diversamente da quanto avvenuto in altri Istituti – a convertire il collegio in servizi di supporto. Questi sono cresciuti e si sono evoluti nel tempo fino estendersi oltre l’ambito scolastico: età prescolare e neonati, anziani, ipovedenti, pluridisabili, interventi ambulatoriali, domiciliari, extramurali, residenziali e semiresidenziali. Tutto questo come prestazioni multidisciplinari comprese in programmi individualizzati erogati in convenzione col servizio sanitario nazionale e quindi come diritto del singolo utente, in un processo di “presa in carico” globale e longitudinale.
Ovviamente anche il supporto al percorso scolastico del bambino e del ragazzo disabile visivo rientra in questo sistema, con l’erogazione non solo di prestazioni dirette all’utente, ma anche alla famiglia e agli insegnanti, compreso, naturalmente l’insegnante di sostegno.
Questo sistema funziona. Allora perché rinunciare all’insegnante di sostegno? Certo sono sempre possibili critiche, e spesso purtroppo giustificate, ai singoli docenti, ma anche alla scarsità e inadeguatezza della loro preparazione specifica. Basta questo per rinunciare ad una risorsa e a un sistema che ha il vantaggio di rappresentare la “presa in carico” dell’alunno e l’assunzione di responsabilità dell’istituzione scolastica per l’integrazione del disabile?
Concordo che in taluni casi, soprattutto nelle scuole superiori, alcuni studenti possono e anzi debbano fare a meno dell’insegnante di sostegno; ma non si deve generalizzare e sono convinto che debba essere la scuola, nell’ambito della propria responsabilità, a decidere quando e quanto insegnante di sostegno assegnare, valutando ogni singolo caso nelle sue particolarità.
A questo proposito sottolineo che non si deve credere che possa esistere una regola e una soluzione uguale per tutti, soprattutto quando siamo in presenza di casi molto diversi: i bambini ciechi o ipovedenti monodisabili sono sempre meno e assistiamo alla forte crescita dei casi di disabili visivi pluridisabili.
Inoltre la proposta di sostituire l’insegnante di sostegno con un centro di supporto ha il sapore antico di cercare una soluzione speciale ad un bisogno che si reputa unico e diverso da quello di tutti gli altri. Molto spesso i gruppi di individui connotati da elementi molto caratterizzanti e percepiti come fortemente anomali sono stati oggetto di interventi, disposizioni, istituzioni speciali – sovente anche richieste o accolte con favore, o addirittura entusiasmo, dagli stessi individui destinatari – a motivo della particolarità di quelle specifiche condizioni. Salvo poi accorgersi – come hanno fatto quasi tutti i ciechi – che i presunti privilegi ottenuti di fatto si trasformavano in limiti e condizionamenti.
Non dobbiamo invece abbandonare il sistema solo perché ha qualche pecca e smettere di lottare per superarla. Dobbiamo chiedere più sistema, ottenere servizi che vadano bene per i disabili visivi ma anche per altri che abbiano difficoltà nel percorso scolastico. La fornitura di supporti specialistici non deve introdurre corpi estranei al sistema e non deve deresponsabilizzare la scuola italiana che ha enormi meriti e potenzialità inclusive e deve correggere errori e investire in formazione e aggiornamento dei propri operatori.
A questo proposito ricordo che nel 2013 è stata elaborata una proposta, presa in esame anche dalla Direzione nazionale dell’UICI e dalle Presidenze della Biblioteca nazionale Braille e della Federazione pro ciechi, per integrare i centri tiflodidattici dipendenti dalle due istituzioni nella rete dei Centri Territoriali di Supporto (CTS) istituiti dal Ministero dell’Istruzione a livello provinciale nell’ambito del progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”.
Su questa proposta bisognerebbe tornare a riflettere per arricchirla e migliorarla. Ovvero c’è bisogno di un disegno che razionalizzi, generalizzi, coordini e renda organiche e funzionanti le risorse esistenti, senza rinunciare agli insegnanti di sostegno che comunque rappresentano una conquista.
Ricordo che negli anni passati ho duramente polemizzato con l’amico Davide Cervellin che aveva proposto di respingere al mittente – Ministro dell’Istruzione – gli insegnanti di sostegno: evitiamo passi falsi.
. Mi chiedo se nel processo che Luciano Paschetta aveva descritto di progressiva istitutizzazione dell’istruzione degli alunni ciechi, avvenuta negli anni cinquanta e sessanta – dalla scuola di tutti a quella speciale dentro gli istituti – non sia da riconoscere una logica e una volontà degli stessi istituti per ciechi, rivolta alla propria crescita di ruolo, piuttosto che a una interpretazione oggettiva dei bisogni dei propri assistiti. Come lo stesso Luciano afferma c’è stata una volontà di tutelare le istituzioni speciali. Vediamo di non fare lo stesso errore e di far tornare gli alunni ciechi competenza di una struttura speciale, rifiutando un sostegno offerto dal sistema di tutti.
Claudio Cassinelli
Presidente Istituto David Chiossone di Genova.