In queste settimane è in corso sia attraverso liste di discussione, sia attraverso la stampa associativa, un dibattito, per me, molto arricchente e partecipato sulle necessità educative e formative degli allievi ciechi, ipovedenti e con disabilità aggiuntive; attraverso tale discussione e, alla luce delle informazioni fornite da Gianluca Rapisarda sul network per l’inclusione, di Luciano Paschetta sulle varie figure di supporto agli alunni con disabilità visiva, di Marco Condidorio sullo sviluppo che va assumendo la costituzione di una cattedra universitaria di tiflologia, da più parti viene la proposta di organizzare un incontro di studio per confrontarci e mettere in comune esperienze, buone prassi, competenze acquisite sia nelle attività associative che in quelle professionali.
Personalmente riterrei utile accogliere con favore tale proposta, così fortemente sostenuta anche da dirigenti associativi da sempre impegnati nei problemi dell’istruzione e formazione come Antonio Quatraro, Salvatore Maugeri ed altri: ciò, perché, ci troviamo in un momento di transizione del sistema scolastico ed il dibattito sulle cose da fare e le proposte da fornire agli addetti ai lavori è, a mio modesto avviso, ancora troppo ristretto in ortus conclusus.
Ad esempio, tornando al tiflologo e le scienze tiflologiche: mi domando e domando: “perché la tiflologia, nella sua terza fase, come la definisce Rapisarda, non può rientrare tra le scienze umane di cui sono parte pedagogia, psicologia, filosofia, antropologia? E’ proprio vincente l’ipotesi di una compartimentizzazione della tiflologia sotto il nome di scienze tiflologiche?”
“E, ancora, la settorializzazione della tiflologia non parte di una vasta visione dipartimentale, acquista prestigio e specificità? o rischia la separatezza di uno specialismo da consultare ove lo si introduca ope-legis, ma che nella progressività evolutiva ed adattiva del processo educativo e formativo potrebbe non fare rete?
E, ancora: come garantire ai ragazzi ciechi, ipovedenti e pluridisabili, il diritto allo studio, alla crescita multilaterale della persona e personalità con la presenza di tutte le figure di sostegno, docenti specializzati, assistenti alla comunicazione ed autonomia, assistenti allo studio domestico, tiflologo, facendo, però, in modo che tutte queste persone non divengano una barriera di protezione escludente invece che includente? Proprio qualche settimana fa ho avuto da una studentessa del terzo anno di un liceo linguistico napoletano una testimonianza diretta del disagio che prova verso le compagne nel sentirsi così iper compressa dalle tante protezioni e che, sue parole, per fortuna, un giorno, uscendo prima del previsto dalla scuola per una circostanza accidentale, ha chiesto di aspettare l’orario conclusivo con le sue compagne e finalmente ha scoperto che mangiare un gelato fuori dalla scuola insieme ai coetanei, non solo è bello, ma anche più, veramente inclusivo che prendere tanti buoni voti”.
Certo, sono tanti i fattori che giocano nel divenire di un ragazzo, e, noi che ci siamo dati un compito impegnativo nell’occuparci di istruzione e formazione penso che dovremmo realmente trovare un modo per ritrovarci tra persone che, aldilà dei ruoli istituzionali ricoperti nell’associazione, sanno, vogliono e possono mettere in comune esperienze fatte, saperi consolidati, competenze acquisite.
Credo che assumere come metodo l’apertura all’ascolto e all’apporto di quanti vogliano contribuire, indipendentemente dall’essere componenti di una o nessuna commissione di lavoro, costituisca un valore e corrisponda al bisogno di sburocratizzazione di cui tanto si è parlato in concomitanza dell’ultimo congresso nazionale.
Silvana Piscopo
Continuiamo il dibattito su scuola inclusiva e figura del tiflologo, di Silvana Piscopo
Autore: Silvana Piscopo