Tenutosi a Bologna giovedì 18, al Dipartimento di Scienze dell’educazione il convegno “Disabilità e formazione degli insegnanti specializzati: lo stato dell’arte e gli scenari possibili”, si è concluso nel pomeriggio, con una tavola rotonda sulla PDL presentata da FAND e FISH che propone, alla luce dell’esperienza di questi anni, alcune innovazioni nel processo di inclusione ed il cui contenuto dovrebbe essere ripreso in uno dei decreti delegati previsti dalla legge sulla Buona scuola. “Dopo 40 anni dall’inizio di questo processo di inclusione è il momento di tracciare una riga e chiederci cosa vogliamo per il futuro, senza farci intrappolare dal presente – ha detto il nostro presidente Mario Barbuto, presente alla tavola rotonda, in rappresentanza di Fish e Fand. Le disabilità non vanno livellate ma trattate caso per caso, per questo servono percorsi più attenti alla specificità delle persone”. Sostenendo la linea delle due federazioni secondo le quali alla figura di sostegno va assegnata una specifica classe di concorso e richieste maggiori competenze specifiche. “Se il mio insegnante di sostegno non conosce il braille, mi renderà analfabeta” ha puntualizzato Barbuto.
Il convegno, nel suo insieme, è stato ricco di riflessioni interessanti, anche se le tensioni attualmente presenti tra i docenti hanno più volte spostato il focus degli interventi della sala sulla contestazione alla DDL sulla Buona scuola.
Personalmente avrei voluto sapere dai docenti se oltre a dire di no a qualsiasi riforma e ha chiedere, come sempre, l’aumento delle ore di sostegno avessero e quali fossero le loro proposte utili a migliorare il loro servizio a sostegno degli alunni disabili.
La sensazione complessiva che ho ricavato dal dibattito è che, tutti siamo d’accordo che il modello di inclusione, valido come principio, così come si è venuto realizzando, al di là di “isole felici” mediamente ha però dato modesti risultati sul piano della reale inclusione scolastica e sociale dei disabili. I vari interventi hanno inoltre confermato che:
l’impegno economico richiesto dall’attuale organizzazione per il sostegno è difficilmente sostenibile nel tempo; l’aumento delle ore di sostegno non è direttamente proporzionale al miglioramento del processo di inclusione; l’efficacia del modello aumenta con l’aumentare delle competenze generali e specifiche dei docenti curriculari e di sostegno; il contesto spesso non è inclusivo (a mio parere lo è meno di 40 anni fa quando abbiamo avviato i primi inserimenti).
Occorre partire dall’esame della “verità effettuale” dei risultati di quarant’anni del processo di inclusione, non vastano le eccezioni come quella, estremamente positiva, presentata nel suo intervento dal prof. Bagni presidente del CIDI, (quanti sono i docenti di scuola superiore che agiscono come lui?). Fossimo stati all’avvio della sperimentazione dell’inclusione scolastica il suo avrebbe potuto essere un esempio importante di buona prassi, oggi, dopo oltre 40 anni dai primi inserimenti, è stata solo la conferma della bontà del principio di inclusione e la dimostrazione della possibilità della sua concreta realizzazione ma nel contempo esso rappresenta la conferma del fallimento di un sistema che ha inserito i ragazzi con disabilità nella scuola di tutti, ma poi non è stato capace a elaborare un modello (pur possibile) perché essi potessero essere “inclusi”.
La proposta di legge FAND-FISH, prefigura la costituzione del ruolo di sostegno specializzato, facendo uscire questa figura dall'”ambiguità” e dalla “precarietà” del ruolo (i docenti di sostegno non fanno parte dell’organico della scuola in cui operano, ma di un organico provinciale) e della funzione (docenti esperti della didattica disciplinare o docenti di supporto al docente della disciplina per l’attuazione di una didattica inclusiva?).
Da questa precarietà ed ambiguità, nascono: la considerazione dei docenti di sostegno come insegnanti di serie B e la scelta del sostegno quasi mai come scelta definitiva, ma come scelta di ripiego in attesa di un ruolo ed una funzione meglio definiti. Forse la nostra proposta non risolverà tutti i problemi: il futuro ce lo dirà, ma una cosa è certa l’attuale situazione non li ha risolti in quarant’anni ed allora “errare humanum est, perseverare…”.
Per questo, riteniamo utile l’avvio di un tavolo tecnico paritetico per un sereno confronto tra i pedagogisti che agiscono “a monte” del processo di inclusione, i DS che hanno la responsabilità della sua attuazione e ne sono i garanti dei risultati, i docenti che agiscono nel processo e le nostre federazioni che del processo sono “a valle” e ne “verificano” quotidianamente i risultati, sulle persone con disabilità.
In ogni caso, ringrazio gli organizzatori del convegno per l’occasione di confronto fornita, solo con il confronto diretto si possono comprendere le ragioni dell’altro.