Si è soliti dire che la vita è un dono e come tale deve essere accolto e coltivato. É un'affermazione sinceramente sentita e condivisa o non si tratta piuttosto di un principio appreso come tale, ma lontano dall'essere percepito e vissuto come necessità assoluta?
Non si tratta di una domanda peregrina e tanto meno retorica dal momento che è facile constatare come le politiche sociali dei numerosi stati europei non tengano in alcun conto questo assioma, ma tentino soltanto di provvedere, spesso in modo dissennato, alle situazioni del presente senza tener conto del passato e tanto meno del futuro di questa nostra società in costante cammino verso nuovi orizzonti e realizzazioni sempre più avanzate.
Così la vecchiaia finisce per perdere il suo vero significato e la sua reale importanza e si trasforma in un "peso sociale", un carico gravoso che ostacola l'indiscutibile necessità di spazi e attenzione che richiede l'età giovanile. Si ritiene pertanto che la giovane età sia un dono reale e che la vecchiaia sia soltanto l'odiata conclusione di un tempo già consumato.
Perciò si tralascia di far memoria di un passato anche recente, magari ricco di attività fruttuose e determinanti per costruire il futuro di chi viene avanti con la naturale foga della giovinezza.
Si sostiene ancora, sospinti dal timore di un futuro tutt'altro che consolidato, che i vecchi non lascino posto alle nuove risorse umane, in pratica ai loro figli e ai loro nipoti. E tutto questo va a confluire in un torrente insabbiato e paludoso di affermazioni, di assunti economici e di disposizioni di legge che non solo impediscono la realizzazione di una vecchiaia attiva, ma ancor più impediscono quelle nuove aperture indispensabile perché i giovani possano effettivamente superare gli ostacoli creati dalla rincorsa all'improvvisazione.
<Eppure di anziani particolarmente avveduti ed attivi ve ne sono molti, in tutti i settori socialmente rilevanti, dal presidente della repubblica all'ultima nonnina che sostiene la propria famiglia sempre più aperta ai propri figli e ai propri nipoti.
E non si creda che questo non si verifichi anche nell'ambito della disabilità, anzi! Certo la categoria dei disabili in genere e di quelli visivi in particolare vive situazioni estremamente diversificate, difficilmente catalogabili in un'unica fascia omogenea. Del resto le condizioni sociali individuali sono logicamente differenti risentendo delle diverse condizioni di vita della incessante variabilità di disposizioni legislative che tentano in modo disomogeneo di tamponare le falle sociali sempre più evidenti.
Tuttavia nella pratica quotidiana credo si possano distinguere, forse estremizzando, due condizioni per certi aspetti contrapposte in cui vivono le persone anziane. Persone che, come ben sappiamo, quando sono costrette ad assommare le normali conseguenze dell'età avanzata ad eventuali ulteriori disabilità, si vedono impegnate a raddoppiare il loro sforzo per affrontare dignitosamente e costruttivamente la loro giornata.
Vogliamo qualche esempio? Eccone alcuni soltanto che sono di mia diretta conoscenza:
Alfredo, 81 anni. Divenuto cieco gradualmente. Da sempre impegnato nella diffusione, controllo di prodotti editoriali, sposato con figli e già nonno, non solo aiuta la moglie in cattiva salute, ma si prodiga in lavori di manutenzione, accudisce al proprio orticello, pratica la cyclette per un'ora al giorno e frequenta assiduamente amici e conoscenti con i quali scambia esperienze e condivide giochi di gruppo.
Olando, perfetto conoscitore della lingua inglese, impegna molto tempo nella lettura e provvede a tutte le necessità familiari avendo la consorte costretta a letto offrendo altresì la propria collaborazione a riviste socialmente impegnate.
Luigino, 67 anni, completamente cieco, segue con amore un campo perfettamente coltivato lasciatogli dal nonno.
Umberto 80 anni, che avendo perduto completamene la vista per una grave maculopatia, segue la sorella affetta da alzheimer, cura l'orto di famiglia, effettua lunghe passeggiate quotidiane con il proprio cane guida, dipinge quadri interessanti che rappresentano, tra l'altro, il linguaggio dei fiori.
Marisa75 anni,che oltre a curare la propria abitazione, seguire assiduamente il libro parlato, amministra egregiamente le proprie giornate mantenendo frequenti relazioni sociali.
E qui mi fermo per non tediare, ma potrei continuare per intere paginecon una elencazione che ci dimostra quanto si debba considerare più che mai attiva e produttiva la vita di tanti disabili anziani. Ma come potrebbero continuare a distribuire le loro risorse e il loro impegno costante se venisse a mancare l'indennità di accompagnamento, indispensabile per superare le loro reali difficoltà quotidiane? Come potrebbero esprimere la loro vita spesa con chiara utilità personale e sociale se non potessero avere il necessario sostegno economico? In effetti molti di noi si ritroverebbero in situazioni assolutamente non affrontabili perché, lo sappiamo bene, che per vivere attivamente in una qualsiasi comunità, è indispensabile poter sostenere le spese che questa stessa attività comporta ad una persona disabile.
Perciò dobbiamo pur convenire che l'assistenza economica e, laddove sia indispensabile, quella sociale da parte dei comuni di appartenenza sono assolutamente indispensabile proprio per consentire una vita attiva.
L'Europa giustamente rilancia il concetto di una società attiva particolarmente rivolgendosi alla popolazione anziana con problemi aggiuntivi, ma deve altrettanto prodigarsi per diffondere e garantire la realizzazione della Carta dei diritti degli anziani: diversamente sarebbe inutile parlare di integrazione e, dico di più, sarebbe assurdo pensare ad un concreto rinnovamento comunitario.
Mi sono soffermato su esemplificazioni positive per dimostrare che la possibilità di vivere meglio e di affermare positivamente il valore e il significato più vero di una vecchiaia attiva è possibile, ma sappiamo altrettanto per certo che non è tutto oro quel che luce: sono molti gli anziani che, a seguito delle vicende personali, vivono in condizioni di isolamento, di precarietà e di insopportabile solitudine ed è proprio nei confronti di costoro che dev'essere sviluppato il nostro maggiore impegno: non avere la possibilità di giovarsi una badante, qualcuno che ti aiuti nelle necessità elementari quotidiane, non poter provvedere correttamente all'accesso all'informatica, alle relazioni sociali e, molto spesso ormai, alle necessità famigliari, azzerano, giorno dopo giorno, la voglia di vivere e di lottare. E se i nostri governanti non comprendono questo, se neppure si pongono il problema che a tante persone disabili non è neppure possibile vivere la propria giornata nemmeno come "barboni", allora la disgregazione dilagherà inesorabilmente nell'intero corpo sociale e i nostri amati giovani non potranno più essere, nemmeno loro, motivo di speranza,.
Non si tratta di far nascere più figli e tanto meno di accelerare la scomparsa dei vecchi, ma dobbiamo convincerci che la ricostruzione avviene partendo dalle fondamenta,, diversamente il tetto non ha senso: il terremoto sociale è forse peggiore e più devastante di quello tellurico, ma dipende da noi, da tutti noi e fortunatamente è prevedibile. Il nostro inderogabile impegno è dunque nel lottare instancabilmente per tentare di evitarlo. Convinciamoci che è possibile ed aiutiamoci a vivere, non a sopravvivere.
Cesare Barca