Unione. Il perché di una candidatura, di Peppino Re

Autore: Peppino Re

In occasione del XXIII Congresso nazionale dell’Unione, dopo una attenta riflessione, ho deciso di presentare la mia candidatura per il Consiglio Nazionale.
Ora, sì, proprio ora che, a questo evento, non ho nemmeno titolo per partecipare. Dal 1989 fino al 2010, sono stato eletto dalla Assemblea dei soci di Palermo delegato al Congresso. Invece, questa volta… Nemmeno candidato.
Mi presento a questa platea congressuale con una partecipazione alla vita associativa dal lontano 1986, ricco di bei momenti e di belle occasioni vissute, a livello provinciale, regionale e, anche a livello nazionale.
In questo trentennio, per Unione ho fatto di tutto. Una interminabile vita di sezione accanto ai ciechi palermitani, dove ti scontri quotidianamente con la problematica dei ragazzi, degli anziani, dei pluriminorati.
Per Unione ho girato tutte le scuole della provincia dove vi erano alunni minorati della vista, per consigliare, per esaminare, per proporre. Per Unione sono stato da dirigente presso l’Istituto per ciechi di Palermo, imbattendomi nella difficoltà dell’ente di riconvertirsi in qualcosa di importante per i ciechi.
Per Unione, in formato Irifor, mi sono inventato corsi e momenti di riqualificazione.
Per Unione mi sono armato di un registratore ho cercato di cogliere e diffondere il meglio che accadeva dalle mie parti. Ho scritto, detto e scritto, di ciechi, di identità, di storie, di fughe, di ritorni a casa.
E Per Unione, dal 2010 io che sono un moderato, mi sono inventato rivoluzionario. Con documenti di protesta, con programmi, con ripensamenti sull’essere dell’Unione, che mi hanno portato ad avere un ruolo di primo piano nella organizzazione dell’assemblea di Prato, autoconvocata. In quella assemblea finalmente cadeva la sudditanza alle gerarchie e nasceva quel movimento di massa che oggi con Mario Barbuto imposta un Congresso democratico contro quello bloccato di Chianciano del 2010.
Eppure, anche se con una storia infinita, che cercherò di dettagliare meglio in questi giorni, vi è netta la sensazione di… non aver potuto dare in maniera sistematica il meglio di me stesso, a causa di alcune avversità che io non sono stato in grado di superare. Se la vogliamo chiamare per nome, questa difficoltà si è presentata come una sfinge nella mia sezione di appartenenza, Palermo. Volendo chiamarla enfaticamente, si è trattato di “culto della personalità”, un evento che, purtroppo in Unione conosciamo bene e che ha troncato tante altre soggettività di valore. A Palermo questa personalità imprescindibile si è chiamata Tommaso Di Gesaro, e la squadra di sezione, beninteso la squadra della sezione più numerosa di Italia, ha puntato sempre e solo su di lui, inducendo gli altri a comportamenti subordinati per poter esistere. Ecco perché la mia candidatura, oggi non può che essere assolutamente personale, non concordata, e avviene allorché di fatto il sottoscritto, a seguito di un documento ampiamente diffuso e sottoscritto insieme a Maurizio Albanese, si è pubblicamente dissociato da alcune pratiche associative che a Palermo assicurano la continuità eterna della Classe dirigente.
Eppure per un miracolo difficile da raccontare, il percorso con gli amici della sezione è perfettamente confluito nel 2010, in occasione del XXII Congresso.
Finalmente abbiamo parlato e scritto all’unisono di rinnovamento e nella platea di quel Congresso abbiamo sostenuto l’idea di una nuova Unione… Solo che quelle idee sono state sostenute da essi fino al Congresso. Non hanno pagato e sono state abbandonate. Così, questa volta le nostre strade sono diventate incompatibili, e, nel 2015, dopo 29 anni di vita associativa la mia candidatura è il frutto del parere di tanti amici, e non di un gruppo ben organizzato.
Chi sono….
Peppino Re, residente a Cefalù, 58 anni, insegnante di storia e filosofia da 33 anni, in prevalenza al liceo classico di Cefalù…
Cieco assoluto dalla nascita, mi sono formato presso l’Ist. Per Ciechi di Palermo Florio e Salamone. In questo contesto era assolutamente naturale seguire la vita associativa palermitana, e frequentare gli esponenti di rilievo della sezione. In particolare il prof. Gioacchino Di Trapani, e il mio battesimo con la Argolimpia, che mescolava sport e informatica, turismo sociale, rapporti e commistioni di non vedenti con i propri amici. Tramite Argolimpia, dal 1986 sono entrato a far parte del Consiglio regionale siciliano eletto dall’assemblea di Palermo. Comincia così un percorso frastagliato di situazioni e personaggi difficile da descrivere. Quello che conta, dal mio punto di vista, sono alcuni momenti nei quali mi sono particolarmente impegnato.
Sul piano locale mi sono dedicato alla questione Istruzione. In quel momento anche da noi arrivava la temperie dell’integrazione scolastica e dello svuotamento dell’Istituto. L’ambiente associativo palermitano viveva come un trauma questa rottura e, dove poteva cercava di opporsi. Sapendo di non poterla spuntare sul piano ideologico, il sottoscritto ha operato perché si creassero i servizi a supporto dell’integrazione. In particolare i soggiorni estivi, per cercare di far passare competenze. Rimane emblematico il soggiorno del 2004 che ha coinvolto la Sicilia occidentale, con il supporto della Biblioteca di Monza.
Con un bel nucleo di volontari, fra il 1995/98 ho guidato la Univoc, e abbiamo organizzato due stagioni musicali, come concerti da offrire alla città. Lo slogan era quello di superare lo stereotipo del cieco che chiede, ma rilanciare l’immagine del cieco che offre alla città un momento di incontro e di scambio, proprio per stare insieme…
Sul piano nazionale dal 86 al 93 mi sono occupato di gruppo Giovani, insieme a Luisa e al mitico Barausse, del quale ho preso la eredità di coordinare il gruppo. È stata una scommessa, per inserire in Unione idee e personaggi nuovi, da far entrare dalla porta principale. Ho lavorato con la commissione Istruzione di Banchetti e Mazzeo, e ultimamente con il comitato docenti di Lucio Carassale e poi di Paolo Colombo e di Daniela Floriduz.
Nel periodo 2004/10, vicepresidente all’Istituto di Palermo, ho interagito positivamente con la Federazione Nazionale delle Istituzioni per ciechi di Silvano Pagura e Rodolfo Masto, portando l’Ist di Palermo ad avere un ruolo importante come interfaccia di sviluppo. A volerci pensare, in quel periodo abbiamo seriamente provato a dare una svolta all’Ist. Riuscendo ad avviare una potente ristrutturazione dei locali, modificando lo statuto fermo al 38, investendo come permuta il ricavato della vendita di un terreno nella costruzione di un centro per gravi, entrando nel gioco informatico nazionale rilanciando il laboratorio dell’ist e tramite un accordo con Asphi per presentarci nel mondo dell’ E.C.D.L. In quel momento abbiamo cercato di far essere l’Ist. La “casa dei Ciechi”, aperta a tutti, e avevamo pensato di proporre la costituzione del gruppo degli ex alunni.
Cosa vorrei….
In questi lunghi anni mi sono abituato a concepire l’Unione e a viverla come “un mondo a parte”, un mondo dove non sempre si ritrovavano le regole di una normale democrazia. Mi sono abituato a pensarla come lo specchio di un mondo di persone non vedenti, ipovedenti e pluriminorati con tanti bisogni, con tante frustrazioni, con tante emarginazioni; e mi è sembrato che se volevi lavorarci, dovevi accettare cose che nella società normale sono superate. Dico Presidenti che durano trenta o quarant’anni, unanimismi fittizi, contrasti sottobanco, emarginazione di dirigenti che venivano poi evitati come appestati dall’insieme dell’entourage. Mi capitava anche di ridere, allorché nella mia vita, ero diventato insegnante di Filosofia, ossia la controparte dei miei studenti, ma per Unione, a trenta anni diventavo coordinatore dei giovani. E mi facevano sorridere tante delle nostre assemblee, in cui, fra Presidenti, politici, e relazioni lette, non si trovava nemmeno spazio per fare intervenire i soci; troppo facile confrontarle con le assemblee sindacali, in cui, si scontravano davvero idee e personaggi e recuperare una sintesi era davvero una impresa.
Vedevo gli sforzi di Tommaso Daniele per creare dibattito, ma mi rendevo conto che non c’erano proprio gli strumenti culturali, perché i tanti non vedenti che li possedevano erano già scappati, e dovevi contentarti. Già, di cosa? Di quei luoghi comuni eternamente ripetuti che diventavano una retorica povera, anche se gli autori erano stati grandi. Quante volte ci siamo sentiti dire che il lavoro è “luce che ritorna”, che la nostra mappa era stata “dai gradini delle chiese alle cattedre universitarie”; eppure, se ci pensiamo, quanta bellezza c’era in queste espressioni, andata perduta nelle melenze e nelle continue ripetizioni. Ma il punto per me rimaneva sempre quello: accettare queste contraddizioni pur di dare quello che si poteva in termini di contributo, o fare gli intellettuali, chiudere la porta e ridere degli sforzi altrui. Io ho sempre scelto la prima strada e, tante volte gli intellettuali mi hanno chiesto “che ci fai all’Unione”? Ogni iniziativa che si riusciva a fare era la mia risposta, la mia gratificazione, per i tanti treni da pendolare che io non avrei mai dovuto prendere, se è vero come è vero che la mia casa dista dal mio lavoro 40 metri.
La risposta a questa contraddizione per me è stata la nascita del movimento nel 2010. Dentro di me vivevo quasi come un aiuto imprevisto il fatto che la mia sezione, in antitesi con Catania, intendeva sostenerlo e cavalcarlo. Sapevo che non sarebbe durata, ma da Palermo, dalla Liguria, e poi da Mario nasceva un movimento che delineava una “Unione democratica” che si confronta, che ritorna nel mondo dal quale si era isolata. Così la battaglia congressuale, e poi dopo la sconfitta numerica, la decisione con gli altri di tenere duro e di dar vita a un coordinamento per non disperdere le idee e le persone che le sostenevano. E mentre Palermo, a poco a poco faceva il passo indietro, io, Maurizio, Tornabene, Ciro Arnone e pochi altri tenevamo duro, finché da due anni a questa parte veniva fuori con decisione un’altra Sicilia, non allineata, pronta a sfidare e a cambiare.
In questa Unione, con Mario Presidente, si può rischiare, e il sottoscritto intende offrire la propria disponibilità a fare la propria parte, da cittadino, e non più da non vedente che sente di avere un preciso dovere di gratitudine da compiere, comunque, in favore di quella associazione che gli ha dato tanto in precedenza.
Cosa fare….
Intendo presentarmi a questa competizione elettorale, con la mia storia e con il mio passato. In un eventuale Consiglio Nazionale, con una presidenza Barbuto, ritengo di potermi impegnare sugli aspetti nei quali posso dare un reale contributo. La istruzione, la cultura, la presenza nel sociale, i rapporti con altre associazioni.
Ancora oggi, partecipando al Collegio dei Docenti della mia scuola notavo come ormai il mondo delle istituzioni scolastiche si sia allontanato dallo stereotipo formativo che ognuno ricorda ripensando al proprio vissuto scolastico. L’approccio verso il processo di autonomia ha seguito il suo corso, fin con l’ultima legge approvata dal Parlamento la n. 107/2015, così ogni scuola avrà il suo P.O.F. annuale con il quale si presenta al territorio e, da ora anche un P.O.F. triennale, con l’organico potenziato a seconda delle linee strategiche che la scuola vuole seguire e dei R.A.V. (rapporti di autovalutazione) dal quale sono emersi i punti di forza e di debolezza del sistema scolastico.
Pertanto il nostro obiettivo che rimane sempre quello della inclusione scolastica degli alunni minorati della vista, non potrà essere raggiunto con le politiche tradizionali finora seguite, ma, per avere successo, dovranno innestarsi in questo sistema. E il Consiglio Nazionale dovrà impegnarsi nella diffusione nel territorio di questo modello di lavoro.
Oggi e ieri, una dialettica che ricompare eternamente nei nostri discorsi.
Il sottoscritto, come tanti altri docenti non vedenti, negli anni ottanta ha accettato la sfida del trasferirsi da un posto all’altro del paese, imparare a muoversi da solo, a badare a se stesso, a cucinare, a lavare i piatti, a stendere i panni, e a fare il proprio lavoro con stile e tenacia. Queste stesse esigenze oggi si ripresentano per i tanti giovani che sono cresciuti nel mondo del sostegno. Per cui, includersi significa anche impegnarsi per l’autonomia.
Anche in questo ambito dalla nostra Unione dovranno venire politiche che, rifiutando gli anacronismi, si coniughino coni vissuti attuali, le fragilità e gli Apple del momento.
So bene che bisogna impegnarsi per la fruizione delle opere d’arte, per la accessibilità dei testi, perché il mondo della tecnologia non chiuda le strade, anzi scarichi per noi eventi di novità per fronteggiare e superare la nostra eterna minorazione.
Su questi piani so di poter lavorare con un organo che si dà queste priorità e che poi deve concretamente svilupparle.
Coerentemente con il mio passato, so e per quel che mi riguarda mi impegnerò a farlo, che è importante la trasparenza, che le nostre sezioni vanno rispettate finché servono alla base, ma vanno incalzate nella misura in cui si fanno scudo sulla base per gratificare i loro dirigenti e personaggi.
Sono perfettamente consapevole che le vere grandi scommesse che giustificano il valore dell’Unione rimangono l’istruzione, il lavoro e l’assistenza, come tante strade per l’integrazione. Con la crisi delle attività tradizionali, che ormai coinvolge anche la figura degli insegnanti il rischio di uscire dal mercato del lavoro per la gran massa dei giovani si è fatto concreto, e, se al lavoro si sostituisse l’assistenza verrebbe fortemente compromessa l’integrazione sociale. Dopo il convegno di Napoli bisognerà continuare la ricerca e insistere sul lavoro mirato.
Diventerebbe inutile, da candidato ad un organo di rappresentanza, proporsi altro. Spero che la fiducia in quanto ora ho sostenuto, possa derivare da una credibilità nel mio vivere nell’Unione e con l’Unione, nel mio continuare ad esserci malgrado tante difficoltà che, credo, avrebbero indotto tanti altri a rinunciare e a rifugiarsi comodamente nel proprio privato, ossia la scelta che io ho evitato di fare, malgrado le tante porte chiuse da chi, conoscendoti,ha preferito non correre rischi e, senza indugio, tagliarti la strada prima che potesse essere tardi.
“Il mito è la leggenda della religione l’Unione sia la leggenda dell’integrazione”.

Peppino Re