Una bussola per orientarsi- La creatività: un aiuto contro la disabilità, di Katia Caravello

Autore: Katia Caravello

Rubrica per genitori.
In questo numero, parleremo di “creatività” e di come essa può essere un valido aiuto contro la disabilità e, conseguentemente, come possa contribuire ad elevare l’autostima ed il livello di benessere psico-fisico dei bambini e dei ragazzi ciechi e ipovedenti.
Lo scopo di queste pagine è quello di stimolare una riflessione sulla creatività e su come essa possa aiutare le persone con disabilità-specie quelle più giovani-a superare i limiti che ancor oggi ostacolano la piena espressione delle proprie potenzialità nella costruzione dei personali progetti di vita e lo farò partendo dalla definizione del termine “creatività”.
La “creatività” è la “virtù creativa, capacità di creare con l’intelletto, con la fantasia. In psicologia, il termine è stato assunto a indicare un processo di dinamica intellettuale che ha come fattori caratterizzanti: particolare sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, originalità nell’ideare, capacità di sintesi e di analisi, capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze”. Da questa definizione, tratta dal vocabolario on line Treccani, si desume la prima informazione importante: la creatività è una “capacità”, quindi un’attitudine che può essere appresa, non dipendente esclusivamente dalla genetica (i geni, infatti, non sono capaci di gestire i cambiamenti fisici e mentali che si manifestano nell’arco di una vita).
Nel pensiero comune, la creatività è una qualità ad appannaggio di pochi (artisti, inventori, designer) e vengono definiti “creativi” idee ed atteggiamenti semplicemente diversi, strani, bizzarri o trasgressivi, sovrastimandone la componente di novità e sottostimando, se non addirittura ignorando, caratteristiche rilevanti come l’efficacia e l’adeguatezza, in assenza delle quali non è possibile definire pensieri e comportamenti come davvero creativi. recentemente, si è arrivati persino ad utilizzare l’aggettivo “creativo” in un’accezione negativa, per etichettare soluzioni tanto spettacolari quanto discutibili (ad es. finanza creativa).
Non trattandosi semplicemente di una dote innata, bensì di una capacità, la creatività è un qualcosa che va coltivato, sviluppato e fatto crescere sfruttando tutte le opportunità e le casualità offerte da un ambiente adeguato: in termini di sviluppo della creatività, dotazione genetica ed ambiente interagiscono costantemente, compensando o accentuando le reciproche influenze, sia in senso positivo che negativo.
La creatività, quindi, è la capacità di sfruttare la plasticità del cervello per rispondere alla complessità degli eventi, mettendo in funzione le molteplici ed articolate funzioni intellettive di cui ciascuno è geneticamente dotato. Come un blocco di marmo prende la forma pensata dalla creatività dello scultore, così il cervello umano può essere potenziato da noi stessi, migliorando coscientemente le funzioni intellettive, ed acquisendo in tal modo un benessere derivante dalla fiducia nelle proprie naturali capacità creative.
Essere creativi non significa solo inventare qualcosa di nuovo o essere originali per forza, ma essenzialmente significa trovare soddisfazione nell’utilizzare al meglio le potenzialità di sviluppo del proprio cervello.
La creatività è uno stile di pensiero che si esprime in processi mentali caratteristici. Procede essenzialmente per associazioni tra idee, concetti, fatti, e dà origine a idee e concetti nuovi, invenzioni, scoperte: quindi a risultati tanto originali quanto efficaci.
L’intuizione che la creatività sia uno stile di pensiero, che deriva da un altrettanto specifico atteggiamento mentale e comportamentale, nasce agli inizi del Novecento (i primi studi importanti sul fenomeno risalgono agli anni ’20).

Quando ci si trova di fronte ad un problema, ad una difficoltà o, più in generale, ad una situazione che esige una soluzione e, per qualsiasi motivo, ci si trova nell’impossibilità di agire in conformità con il comportamento adottato dalla maggioranza delle persone, ci si blocca e si esclude l’esistenza di risposte alternative (o si ha paura di metterle in atto perché diverse da quelle normalmente adottate. Il pensiero ed il comportamento umano, infatti, nella maggior parte dei casi, è guidato da quello che J.P. Guilford (1950) definì “pensiero convergente”.
Il pensiero convergente consiste essenzialmente nel riconoscere e riprodurre una sola possibilità di soluzione giusta. Il “pensiero divergente”, al contrario, si muove in più direzioni e porta a molte soluzioni individuali tra cui quella universalmente definita come “la risposta corretta” non rappresenta che una delle strade possibili. Adottare un pensiero divergente corrisponde quindi alla possibilità di generare idee nuove, indipendenti, originali e per nulla scontate. Alcuni studiosi hanno approfondito il legame sottile che unisce il pensiero divergente alla creatività umana.
L’uso del pensiero divergente-definito anche “pensiero laterale” o “processo analogico”-può aiutare l’individuo, e in particolar modo il bambino, ad ampliare e a promuovere la propria creatività. Le “persone creative” sono quelle che manifestano ingegno, che riconoscono nessi generalmente trascurati ed ignorati, che propongono soluzioni insolite ai soliti problemi.
Secondo il medico psicologo Edward De Bono, è consigliabile adottare un atteggiamento volto a utilizzare in modo sinergico e complementare il pensiero laterale al fine di riconoscere e modificare i criteri e le idee dominanti: esse, infatti, polarizzano la percezione di un problema, impedendo di cercare nuovi punti di vista per valutarlo; in questo modo non è possibile rendere più flessibile il controllo rigido del pensiero logico-lineare e, di conseguenza, si frena lo sviluppo della creatività.
Pensare in maniera “creativa” vuol dire farsi domande e affrontare problemi o quesiti a partire da solide conoscenze , ma adottando nuove prospettive, con l’obiettivo di trovare soluzioni innovative ed efficaci qualsiasi sia l’ambito di applicazione. Questo stile di pensiero si esprime in un processo che ha andamenti non sempre lineari, e consiste nel raccogliere, selezionare e riconfigurare le informazioni necessarie tra tutte quelle disponibili, individuando connessioni utili a generare conclusioni nuove.

La creatività è quindi un’abilità trasversale, non limitata a un singolo settore privilegiato dell’attività umana, ma che, al contrario, può essere applicata a campi diversi (arti, scienze, tecnologia, impresa): in quest’ottica, si può definire la creatività come La qualità alla base dell’attitudine umana di adattarsi alle circostanze e di adattare le circostanze a sé…ed è qui che il tema della creatività si intreccia con quello della disabilità.

Al fine di riflettere sul legame tra creatività e disabilità, dopo aver già definito la prima, ritengo utile dare una definizione della seconda.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) definisce la disabilità come “qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano”. Da tale definizione si desume che la disabilità non è un indicatore oggettivo, ma che, al contrario, varia da soggetto a soggetto: ad una stessa menomazione-quindi ad uno stesso danno organico-possono corrispondere livelli differenti di disabilità.
Una persona portatrice di una menomazione fisica o sensoriale ha sicuramente dei limiti oggettivi, il suo livello di disabilità dipenderà dalla sua capacità di superare ed aggirare tali limiti.
Per illustrare meglio questo concetto utilizzerò un esempio: una persona cieca assoluta che desidera leggere un libro. Per una persona vedente questa è un’operazione semplice-è sufficiente che lo vada a comprare o lo prenda in prestito, lo apra ed inizi a sfogliarlo-, ma per le persone non vedenti la faccenda si complica, la versione cartacea è inaccessibile (limite oggettivo) e, per soddisfare il proprio desiderio, dovranno necessariamente trovare un modo per superare tale inaccessibilità. Mettiamo a confronto tre ipotetiche persone, tutte ugualmente cieche, e constatiamo come, in presenza del medesimo deficit sensoriale, il loro livello di disabilità sia differente: l’individuo A è in possesso di un lettore MP3, sa utilizzare il computer con sintesi vocale, ma non ha uno scanner, non sa navigare in internet e non conosce il braille; l’individuo B conosce il braille, sa utilizzare il computer, ha uno scanner…e ha anche uno smart phone; l’individuo C non ha né le competenze né gli strumenti che hanno A e B. Valutando il livello di disabilità di questi tre soggetti sulla base di quanto sono limitati nell’attività della lettura, si può osservare che: il soggetto A sarà meno disabile di C, ma più di B, in quanto ha più possibilità di leggere un libro di quanto non abbia C (potrà ascoltarlo mediante il lettore MP3 oppure leggerlo grazie al computer sia in formato audio che testo), ma ha meno possibilità di quelle che ha B, il quale, in aggiunta, può anche procurarsi un volume in braille, scaricare autonomamente gli audiolibri da internet, digitalizzare autonomamente il libro cartaceo e può anche acquistare l’ultimo best seller con lo smart phone); il soggetto C, infine, come unica possibilità, ha quella di chiedere ad un’altra persona di leggere per lui, ma ciò limita fortemente la sua libertà di leggere, in quanto deve, innanzitutto, trovare chi è disposto a farlo, stare ai suoi tempi ed orari, senza dimenticare che un essere umano si affatica e ad un certo punto deve fare una pausa (che magari, potendo leggere autonomamente, C non farebbe).
Può sembrare strano parlare di creatività riferendosi alla lettura di un libro, ma quando tale attività, a causa di un deficit visivo, diventa un problema, la creatività è quella abilità che consente ad una persona cieca o ipovedente di non fermarsi di fronte all’impossibilità di leggere un libro semplicemente sfogliandolo e che le permette, invece, di soddisfare il proprio desiderio di leggere, al pari delle persone vedenti intorno a lei (anche se con qualche difficoltà in più).
La lettura di un libro è una difficoltà relativamente semplice da superare, per la quale non è necessaria una grande creatività, ma ci sono tante tante altre attività della vita quotidiana che per un individuo con un deficit fisico e/o sensoriale rappresentano dei problemi, che vanno ad inficiare la qualità della sua vita, abbassando il livello di autostima e di benessere psico-fisico.
E’ per tali situazioni che il pensiero creativo può costituire un valido aiuto ed è per questo che è importante promuovere la creatività nelle persone con disabilità, soprattutto nei bambini e nei ragazzi.
Favorire lo sviluppo della creatività di queste persone significa dare loro uno strumento per superare i propri limiti o, quanto meno, per aggirarli e ciò, come già detto, si ripercuote positivamente sul livello di autostima e sul benessere.
La creatività è uno stato mentale che, se esercitato nella ricerca di soluzioni per problemi di piccola entità, potrà diventare l’atteggiamento abituale con cui affrontare tutte le difficoltà della vita.
Essere in grado di non fermarsi davanti alle difficoltà, individuando soluzioni efficaci per superare gli ostacoli nei quali ci si imbatte quotidianamente (ed una persona cieca o ipovedente si scontra spesso con mille di queste difficoltà), oltre a consentire di portare a termine ciò che si deve o che si desidera fare, fa sì che ci si senta meno lontani dalle persone che si hanno intorno e ciò permette di vivere meglio la propria diversità.
Più si è creativi, più numerose saranno le occasioni in cui si riesce a risolvere efficacemente un problema, dando origine ad un circolo virtuoso che contribuirà a far aumentare la fiducia in se stessi e migliorerà il proprio stato di benessere generale.

A questo punto, dopo aver visto come la creatività possa aiutare a ridurre la disabilità e, conseguentemente, quanto sia importante promuoverne lo sviluppo in coloro che hanno una disabilità fisica e/o sensoriale, vediamo ora cosa si può fare in concreto.
Innanzitutto, è essenziale comunicare sicurezza e fiducia a coloro che manifestano un particolare grado di pensiero divergente, perché solo così si creeranno i presupposti sociali per lo sviluppo del pensiero creativo.
Il bambino che saprà di potersi rivolgere ad un adulto disponibile ad accoglierlo quando è minacciato dalla pressione sociale del gruppo, sarà un bambino che accetterà la propria creatività come costruttiva e positiva, e non come qualcosa di sbagliato che lo isola dagli altri.
Un educatore che sceglierà di esercitarsi nell’utilizzo di quello che è stato definito pensiero divergente, sarà un educatore in grado di fornire risposte comunque corrette, ma più adeguate ai livelli evolutivi dei bambini, poco scontate e più originali, più insolite e… meno noiose. Utilizzare il pensiero divergente significa accogliere in maniera non giudicante le idee e le soluzioni del bambino, per quanto esse possano essere bizzarre e stravaganti, senza riportarlo per forza su di un piano di realtà. Questo modo di agire permette al bambino di sentirsi libero di esprimersi, senza avere paura della disapprovazione dell’adulto e ciò lo aiuterà ad aumentare la fiducia in sé stesso.
In questi ultimi passaggi, ho parlato sempre di “bambino”, ma lo stesso vale anche per i ragazzi un po’ più grandi (preadolescenti ed adolescenti), che sentono maggiormente la pressione del gruppo (che acquisisce un’importanza crescente nella loro vita), iniziano a prendere consapevolezza della propria condizione e che, essendo in fase di costruzione della propria identità, hanno un estremo bisogno di sperimentarsi e di acquistare fiducia in se stessi.

Dott.ssa Katia Caravello
Psicologa-Psicoterapeuta. Opera in Lombardia nell’area della disabilità visiva, lavorando con ragazzi ciechi e ipovedenti e con i genitori. Componente del Gruppo di Lavoro per il Sostegno Psicologico ai Genitori dei ragazzi ciechi e ipovedenti.
e-mail: caravello.katia@gmail.com