Siena – Visto! Numero 8 novembre 2015

Insieme tutto è possibile
C’è la parola “insieme” ad aprire il motto della due giorni organizzata dall’Unione italiana ciechi e
ipovedenti di Siena .
“Insieme” per scalare le vette più difficili, “Insieme” per imparare l’uno dell’altro e l’uno dall’altro. “Insieme” perché, come ha spiegato il presidente Massimo Vita, le cose non si devono fare per i disabili, ma insieme ai disabili”.
E così “Insieme per le pari opportunità” non è più solo uno slogan ma un obiettivo possibile da raggiungere.
Il secondo Memorial Maria Ramira Scarpellini è la dimostrazione di tutto questo. E’ l’unione di persone volenterose per la fase della preparazione, ed è l’unione di cuori disponibili nel giorno della realizzazione. Perché fantini, dirigenti di contrada, carabinieri, polizia, vigili del fuoco, giornalisti e medici, ogni anno dimostrano di averlo davvero questo cuore buono.
Il campo ha decretato la vittoria delle Forze dell’ordine, al termine di una combattuta finale contro i medici oculisti allenati da “mister” Frezzotti, mentre fantini e dirigenti di contrada si sono vendicati a suon di gol sulle penne spesso taglienti dei giornalisti senesi.
Schermaglie, qualche calcio e tanti sorrisi e strette di mano. E la voglia di capire, di immedesimarsi nelle problematiche dell’altro, come quando il presidente dell’associazione stampa Andrea Sbardellati e il fantino Dino Pes si sono cimentati, bendati, in un match di showdown.
Pochi giorni prima il presidente Massimo Vita aveva invitato a riflettere su quanto le barriere più importanti siano proprio quelle ideologiche. “Tra chi vede c’è una paura ancestrale del buio – aveva
detto Vita – ecco perché c’è, di fondo, una mancanza di cultura sulla disabilità visiva”.
Il volerci provare, il volersi immedesimare, è stato forse il gesto più bello di una manifestazione ormai entrata nel cuore dei senesi. Se ci fosse stato qualche posto occupato in più in tribuna sarebbe stato davvero tutto perfetto….
Susanna Guarino

Brick·a·Braille – Sistema didattico modulare
Che cos’è?
Brick-a-Braille è un insieme di dispositivi didattici costruiti con mattoncini LEGO, accompagnati da un metodo didattico specifico, per insegnare ai bambini non vedenti o ipovedenti la spazialità, la lateralizzazione e l’alfabeto Braille. L’idea chiave è rendere tangibile la suddivisione in decadi dei simboli dell’alfabeto Braille e la loro intrinseca struttura modulare, facilitando il processo di apprendimento anche per bambini in età prescolare.
I soliti sussidi didattici per i non vedenti sono spesso datati e poco invitanti.
Invece, usare il materiale LEGO piace a tutti ed divertentissimo per i bambini! I colori degli elementi favoriscono l’integrazione dei non vedenti o degli ipovedenti con gli altri bambini della classe.
Come è nato?
Recentemente c’è stato un certo fermento sul web intorno alle parole “LEGO” e “Braille”, ma in questo caso non stiamo parlando di un dispositivo elettronico, anche se il nome dell’inventore Daniele Benedettelli è per lo più conosciuto nella comunità web per le sue creazioni LEGO robotiche.
Il sistema Brick-a-Braille è l’implementazione di Daniele dell’idea rivoluzionaria di Massimo Vita che, oltre a essere il Presidente della sezione di Siena dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, è un fan dei LEGO e costruisce incredibili modelli originali riconoscendo i pezzi LEGO al tatto.
Il metodo didattico è stato sviluppato da Valentina Morrone, insegnante con grande esperienza con i bambini non vedenti.
Maggiori informazioni sul sito: http://robotics.benedettelli.com/braille/
Come funziona?
Tutti i simboli dell’alfabeto Braille sono composti da una matrice 3×2 di punti che possono essere in rilievo o meno. Questi 64 simboli sono suddivisi in decadi, gruppi di dieci simboli ciascuna.
Nella maggior parte dei simboli Braille, questi 6 punti possono essere suddivisi in un sottogruppo di 2×2 punti, e in un altro sottogruppo dei rimanenti 2 punti.
I simboli Braille del sistema Bricka-Braille sono costruiti usando elementi modulari che possono essere manipolati e assemblati, e sfruttano i tipici bottoncini dei pezzi LEGO come punti in rilievo.
Alcuni di questi elementi modulari presentano su un lato un motivo tattile diverso per ciascuna decade, il che permette ai non vedenti di riconoscere al tatto la decade di appartenenza del simbolo costruito con tali elementi.
Tutti questi simboli possono essere disposti ordinatamente su una tabella dai bordi spioventi.
Per insegnare ai bambini i concetti di spazio, destra/sinistra, alto/basso, il metodo fa uso di una versione ingrandita di una cella Braille per gli esercizi preliminari.
Infine, una volta che i bambini hanno imparato l’alfabeto Braille usando i simboli modulari, possono cominciare a leggere e a scrivere incastrando degli elementi conici LEGO su una tavoletta suddivisa in celle 2×3.
Come averlo?
Il metodo didattico sarà rilasciato gratuitamente in formato stampabile e come sito Wiki, mentre i dispositivi verranno distribuito in kit a seguito di una campagna di crowd funding.

TI CONSIGLIO UN FILM
Cosa succede se mescoli cinque emozioni con un ingrediente segreto?
Gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto, queste le cinque emozioni fondamentali o primarie che lo psicologo statunitense Paul Ekman, individua come guide del nostro sentire e comportarci nel mondo.
Tutti questi elementi vitali danzano nella testa di Riley, una ragazzina di 11 anni, andando a costituire l’avvincente trama dell’ultimo film della Disney Pixar dal titolo “Inside out”.
Proviamo adesso insieme a navigare fuori e dentro queste emozioni che ognuno di noi, in modo più o meno consapevole, attraversa ogni giorno.
La paura ad esempio ci permette di evitare i pericoli, può salvarci la vita, ci fa agire con prudenza, ma se diventa troppa e pervasiva trasformandosi in panico ci paralizza.
Se pensiamo alla rabbia, è indubbio che può essere una preziosa molla per aiutarci a reagire nelle varie situazioni della vita, è un’efficace alleata nella lotta in caso di ingiustizie, quando però è eccessiva e mal gestita diviene ira distruttiva e senz’altro fa del male a noi stessi e a chi ci sta intorno.
Similmente il disgusto potrebbe apparire sconveniente e maleducato in qualche circostanza, ma d’altra parte è proprio questa emozione che ci consente di discriminare ciò che ci piace, togliendo di mezzo ciò che al contrario non ci è gradito, dal cibo che mangiamo fino ad arrivare alle scelte grandi della nostra vita.
Prendendo infine in considerazione il binomio gioia/tristezza, sfido chiunque a non scegliere la gioia: quell’emozione che ci fa sorridere, vivere con entusiasmo e brio, è grazie a lei che apprezziamo gli aspetti della vita quotidiana e gli avvenimenti importanti. Non può però esserci solo gioia, altrimenti essa sarebbe una maschera che copre tutti gli altri colori dell’emotività, un’euforia cieca e incosciente che ci renderebbe più pazzi che pieni di vita. Ecco allora che abbiamo bisogno anche della tristezza, la quale ovviamente non deve essere la costante tinta spiacevole della nostra vita, se così fosse sarebbe solo tutto nero e angosciante, ma nella giusta dose rappresenta un motore essenziale per analizzare le situazioni difficili, facendoci mobilitare risorse e trovare strategie opportune per affrontarle.
Sarà proprio la “collaborazione” tra la gioia e la tristezza a far crescere Riley, ad insegnarle che può cambiare idea, fare scelte giuste e diventare più matura e consapevole.
La danza di queste 5 emozioni nel capolavoro di casa Disney ci schiude uno stupendo spaccato su come funziona il collegamento tra la nostra testa e il comportamento, accomunandoci in parte anche con il mondo animale che condivide con noi tutta la forza dell’emotività.
“Inside out” ci insegna che nessuna emozione è negativa o positiva come ci potrebbe sembrare a prima vista, ma viceversa sono tutte importanti.
In ogni ricetta che si rispetti però, oltre ai 5 elementi fondamentali di base fin qui descritti, non può
mancare l’ingrediente segreto, quel di più rappresentato dal personaggio di Bing Bong: senza di lui Riley resterebbe imprigionata, bloccata, incapace di sbocciare.
Per sapere che cosa si inventerà Bing Bong, versare qualche lacrima e diventare un po’ più consci di come funziona il nostro cervello, non vi rimane altro da fare se non guardare “Inside out”, un film godibile da bambini ed adulti in modo diverso ma ugualmente profondo e arricchente.
Elena Ferroni

IMMAGINI E PAROLE
di Martina Medori e Rossella Miccichè
Due amiche, una comune passione per il cinema, la letteratura e il racconto di come le parole diventano immagini. In questo numero ci parlano del film La casa degli spiriti, tra esoterismo e realtà La pellicola di Bille August “La casa degli spiriti” del 1993 si ispira al primo romanzo della scrittrice cilena Isabelle Allende, pubblicato nel 1982 e tradotto in italiano l’anno successivo.
La storia si ambienta in una non precisata zona del Cile e attraversa un arco di tempo che dagli anni
Venti giunge fino al 1973, anno del colpo di Stato di Pinochet.
La trama ruota attorno al personaggio di Esteban Trueba e alle tre generazioni di donne che hanno fatto parte della sua esistenza.
All’inizio della vicenda Esteban, fidanzato della bella Rosa, figlia della famiglia alto borghese Del
Valle, sogna di costruirsi un futuro solido con lei e lavora duramente in miniera per raggiungere il suo obiettivo. Ma i suoi desideri vengono infranti dalla morte accidentale della ragazza, avvelenata per errore al posto del padre, mira dei suoi oppositori politici. Dunque l’uomo decide di trasferirsi nella sua tenuta di campagna “Le Tre Marie”, restaurata grazie alle fatiche degli anni di lavoro da minatore.
Gestisce la tenuta con pugno di ferro mettendo al lavoro i mezzadri che abitavano i dintorni, approfittando a volte delle loro debolezze e, soffrendo la solitudine, violentandone le donne.
Matura poi l’idea di volersi sposare a ogni costo e torna dalla famiglia Del Valle a chiedere la mano della sorella minore di Rosa, Clara.
Interpretata da Meryl Streep, il personaggio di Clara è sicuramente la figura centrale di tutta la narrazione.
La ragazza è una creatura particolare, con il dono della chiaroveggenza e la capacità di far levitare gli oggetti. Vive rinchiusa nel suo mondo, tra le sue fantasie fuori dall’ordinario. Nella sua vita matrimoniale con Esteban e nell’educazione dei figli che verranno poi, Clara riesce costantemente a tenersi distante e al di sopra della rigidità caratteriale del marito e del suo atteggiamento calcolatore e venale. Trasferitisi alle Tre Marie, la sorella di Esteban, Fèrula, finora dedita totalmente alla cura della ormai defunta madre, entrerà a far parte della loro famiglia. La donna, da sempre privata di qualsiasi tipo di affetto, si lega in modo profondo e quasi morboso alla cognata, dedicandole tutte le sue cure e attenzioni. Esteban, sempre più geloso di questo connubio, arriverà a cacciare di casa la sorella, che morirà in seguito completamente in solitudine. Intanto, Clara aveva dato alla luce Blanca, ma dopo alcuni anni il padre la manda in collegio per farle avere un’educazione consona al suo status sociale e per allontanarla dall’amato figlio del mezzadro Pedro Segundo García. Durante una lite tra i due coniugi, Clara, nell’intento di difendere la figlia, viene colpita in viso dal marito e decide in quel momento di chiudersi nel suo silenzio e non rivolgergli più la parola, trasferendosi definitivamente nella casa dell’ ”angolo” in città.
Blanca continua a incontrare ogni estate Pedro Terzo e avrà da lui una figlia, Alba. Nonostante le controversie tra padre e figlia, la bambina ha un rapporto speciale con il nonno, soprattutto in seguito alla morte di Clara, avvenuta pochi anni dopo la sua nascita.
Nel frattempo Esteban decide di candidarsi per la destra e ottiene la carica di senatore, ma i conservatori subiscono una clamorosa e inaspettata sconfitta che li porterà a organizzare e portare a termine un colpo di Stato, avvenuto precisamente nel 1973.
Si viene a creare nel Paese un clima di terrore causato dal potere dittatoriale delle forze militari che coinvolgerà anche la stessa famiglia Trueba, tanto che Esteban sarà costretto a far fuggire la figlia e il compagno Pedro Terzo in Canada. Abbandonato dalla sua stessa fazione politica e ormai anche dalla famiglia, Esteban finirà per morire in solitudine, con il fantasma di Clara come unica compagnia.
Il film è abbastanza fedele al libro, anche se alcuni dettagli e personaggi di un certo peso sono modificati o omessi allo scopo di rendere più scorrevole la pellicola stessa.
Grazie alle musiche di Hans Zimmer vengono evocate le atmosfere insieme magiche, esoteriche (come nella scena in cui Ferula appare da fantasma a tutta la famiglia riunita) e crude, e la fotografia di Jorgen Persson mediante le infinite e brulle vallate cilene esprime con forza la potenza silenziosa, sublime e terrificante di quella terra e delle vite che si snodano intorno alla sua storia travagliata.

La giornata del cane guida
Una giornata per celebrare un già di per sé nobile compagno di vita che, in questo caso, svolge un compito ancora più nobilitante: essere gli occhi del proprio padrone.
Ecco perché siamo giunti quest’anno alla decima Giornata Nazionale del cane guida.
Un modo per celebrarlo e per rendere i non vedenti consapevoli di una grande opportunità e i vedenti di come rapportarvisi. Ad esempio: sapevate che il cane guida ha il diritto di entrare in qualsiasi luogo aperto al pubblico? Impedire loro l’accesso, significa, come ha tenuto a specificare il Presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti ONLUS, Mario Barbuto “una violazione dei nostri diritti umani basilari”.
Il cane guida presta il proprio livello di attenzione visiva alla persona non vedente. Diventa uno strumento per orientarsi nel mondo. Potremmo dire che assolve a tre grandi funzioni: visiva, socializzante e affettiva.
Vede e presta attenzione per il padrone. A differenza del bastone bianco non si scontra con l’ostacolo, non fa barriera tra il non vedente e il mondo, ma diventa un tramite. E chiaramente la funzione affettiva. Chiunque di noi, disabile e non, che ha un cane, sa che posto importante occupa nel nostro cuore. Tutti noi quando ci troviamo in difficoltà, o semplicemente ci sentiamo tristi, sappiamo che c’è qualcuno a quattro zampe in grado di strapparci un sorriso. Infatti l’UICI della Toscana, in collaborazione con la Scuola Nazionale cani guida per ciechi di Scandicci, sarà nelle scuola media Dino Compagni per presentare il ruolo del cane guida e i suoi diritti.
Vi aspettano i cani guida e i loro padroni in Piazza della Repubblica, per dimostrare, grazie agli addestratori, come disabile e cane vengano reciprocamente adattati l’uno all’altro e per rispondere alle vostre domande o semplicemente per regalarvi un sorriso e sì, anche una buona dose di scodinzolii!
Selene Bisi Fineschi
L’articolo e la fotografia sono stati ripresi da SienaNews del 16 ottobre 2015 – http://sienanews.it/salute/la-giornata-del-cane-guida/

Sette note solidali nella Chiocciola
E’ stata la contrada della Chiocciola ad ospitare “Sette note solidali”, serata di solidarietà che ha visto l’esibizione del Coro della sezione. “Abbiamo accettato con piacere la richiesta dell’Unione ciechi di usare la nostra sala delle vittorie per una serata di beneficienza, ed è stata un’occasione particolare e molto gradita”, ha commentato il priore Mauro Sani.
“La solidarietà – ha proseguito Sani – è uno dei valori che coltiviamo nella nostra contrada e l’associazione è stata bravissima ad organizzare questo appuntamento”.
Marta Marini, nota mandolinista, e Lisetta Luchini, cantante di musica popolare, hanno incantato il pubblico con la loro graditissima esibizione e Mario Ghisalberti ha fatto ridere con le sue barzellette.
Ma il momento clou della serata è stata l’esibizione del Coro dell’Unione ciechi, che attendeva con ansia questa performance pubblica dopo settimane e settima di prove.
Del Coro fanno parte soci di tutte le età, ed anche due mamme che hanno voluto cimentarsi nel canto insieme ai figli.
Il “Concerto di Musica e Parole” ha riscosso grandi applausi, ed una menzione speciale è andata alla più giovane cantante del Coro, Lucia, al più anziano, Vincenzo, a Federico e alle mamme.
La serata era con ingresso ad offerta e il ricavato sarà destinato ai servizi di accompagnamento, socializzazione e consulenza che la sezione offre a tutti i disabili visivi della provincia di Siena.
Susanna Guarino

SPENNELLATE DI CUCINA
di Fabrizio Mazzieri
Il cavolfiore
Le bianche e compatte giuncate del cavolfiore hanno fatto parte della dieta europea fin dall’antichità.
I romani li conoscevano e li apprezzavano, chiamandoli cauliflora.
Nel XII secolo, in Spagna, venivano coltivati spesso, allo stesso tempo a Cipro e in Italia, venivano selezionate varietà più grosse.
Il cavolfiore sembra essere arrivato dal medio oriente, è tipicamente invernale da novembre a febbraio, anche se oggi in commercio si trova tutto l’anno.
Il cavolfiore fa parte della famiglia delle crocifere, insieme a broccoli e cavoli, e più nello specifico alla varietà brassica oleracea.
Questo ortaggio ha un basso contenuto calorico, in quanto contiene pochissimi grassi e carboidrati; è ricco di sali minerali (potassio, ferro, fosforo e rame) vitamina A e vitamina C.
Alcune ricerche scientifiche hanno dimostrato che il cavolfiore, la verza, i broccoli e i cavoletti di Bruxelles hanno proprietà antiossidanti.
Spesso il consumo di questi ortaggi viene limitato dal fatto che durante la bollitura emanano un odore molto forte e particolare che si diffonde in tutta la casa.
Una curiosità, per evitare questo inconveniente, prendete una fetta di pane con tanta mollica la imbevete di aceto e la mettete insieme all’acqua di cottura.
Crostini con cavolfiore
Ingredienti:
1 cavolfiore di circa 1kg,
8 fette pane toscano,
2 spicchi d’aglio,
olio extravergine di oliva,
sale e pepe.
Preparazione: Lavate e lessate il cavolfiore in acqua bollente e salata, fino a quando risulti cotto ma non spappolato. Abbrustolire le fette del pane strofinarle con l’aglio, metterle in un vassoio adagiarci sopra il cavolfiore tagliato a spicchi. Condire con l’olio sale pepe aceto a piacere

Cavolfiore conservato
Ingredienti:
2 Kg di cavolfiore,
un litro di aceto,
un quarto di vino bianco,
pepe in grani,
una scorzetta di limone,
3 foglie di alloro,
una stecca di cannella,
foglie di dragoncello.
Preparazione: Pulite 2 Kg di cavolo e dividetelo in cimette. Fate bollire un litro di aceto con un quarto di vino bianco, 10 grani di pepe, una scorzetta di limone, 3 foglie di alloro, una stecca di cannella e una presa di sale.
Immergete le cimette e scolatele 5 minuti dopo la ripresa del bollore.
Sistemate in 3 vasi di mezzo litro, unite qualche foglia di dragoncello e coprite di olio. Chiudete i vasetti, unendo, se occorre, altro olio se occorre e conservare per 3 mesi in luogo buio

Polpettine di cavolfiori
Ingredienti: 2 piccoli cavolfiori, oppure uno grosso, 60 g di pecorino grattugiato, un uovo, un ciuffo di prezzemolo, 3 cucchiai di capperi sott’aceto, pangrattato, olio extravergine d’oliva, 2 spicchi di aglio, olio per friggere, sale e pepe.
Preparazione: Dividete i cavolfiori a cimette, lavatele accuratamente e lessatele in acqua bollente salata per circa 8-10 minuti finché saranno tenerissime; scolatele, mettere in una padella antiaderente con l’aglio intero e 3 cucchiai di olio e fatele saltare schiacciandole ripetutamente con una forchetta finche avrete ottenuto un purè omogeneo. Eliminate l’aglio, insaporite il purè con sale e pepe e togliete il recipiente dal fuoco.
Trasferite il purè in una ciotola capiente, lasciatelo intiepidire, poi incorporate l’uovo, il pecorino, i capperi e il prezzemolo tritati, e 4 cucchiai di pangrattato fino ad ottenere un composto abbastanza sodo. Copritelo e lasciatelo riposare per mezz’ora in frigo. Riprendete il composto, prelevandolo a piccole porzioni, e formate con le mani tante polpettine della dimensione di una noce. Passate nel pangrattato mescolato con un po’ di prezzemolo tritato e friggetele in olio ben caldo finché saranno dorate. Servitelo decorandolo con foglie di belga

Dona un’ora del tuo tempo per il volontariato a favore dei disabili visivi.
Per farlo chiama il numero 0577 46181 o visita il sito www.uicisiena.org

Il baseball che ha conquistato l’America vedenti tanto da non essere riconosciuto sport paraolimpico.
Questa è la storia di una donna e della sua passione per un diamante. Lo so, il pensiero va immediatamente alle pietre preziose, quelle così belle da lasciare letteralmente a bocca aperta.
Un altro diamante, però è in grado di suscitare forti emozioni, stiamo parlando di quello tracciato con la terra rossa su un prato verde, specialmente per chi pratica il baseball per ciechi.
Francesca, la protagonista, si è appassionata nel 2004 cominciando a seguire partite e allenamenti per cominciare a giocare l’anno successivo.
“Il BXC è nato da un idea di Alfredo Meli, un ex giocatore di baseball di Bologna, che
radunò alcuni ex-atleti, che
avevano giocato con lui,
assieme ad alcuni non vedenti
della sua città”.
“Tutti insieme cominciarono a
sperimentare come poter adattare
questo bellissimo sport alla
fruizione da parte dei non vedenti.
La sperimentazione andò avanti dal
1994 al 1997, quando venne
organizzato il primo campionato
con tre squadre”.
“Nel 1998 nasce l’associazione Italiana Baseball per Ciechi; questo sport inizia ad essere praticato
sempre di più fino ad arrivare alle otto squadre del campionato attuale” sorride Francesca.
Poi riprende: “Il baseball comincia a diffondersi in tutta Europa: sono nate squadre in Francia, in Germania e pian piano si sta ampliando sempre di più”.
La forza del baseball per ciechi è nelle squadre, che sono formate da un mix di uomini, donne; vedenti e non vedenti.
Racchiudendo così in se stesso un magnifico esempio di inclusione sociale.
“Questo è uno dei motivi che mi ha spinto a praticare il BXC” dichiara la protagonista, a confermare il tutto.
A questo punto si dipana quella che è la parte più interessante di tutta la chiacchierata.
“Due giocatori italiani, uno di Roma e l’altro di Milano sono andati in America, la patria del baseball, ad insegnare il BXC.
Quello praticato negli U.S.A. era uno sport troppo assistito da vedenti tanto da non essere riconosciuto sport paraolimpico.
Quando gli americani hanno giocato il nostro baseball, durante una partita a Central Park (New York); gli statunitensi hanno esclamato: That’s Baseball! (Questo è il baseball!). Un po’ come se un bolognese andasse a Napoli per insegnare a fare “‘a pizz’”. Il BXC è all’80% uguale a quello per normodotati. La squadra in cui gioca la protagonista di questa intervista è la Fiorentina BXC che quest’anno ha vinto il campionato e la Coppa Italia, tanto che è stata ricevuta in Comune e premiata dall’assessore allo sport Andrea Giani.
La squadra parteciperà anche al “gran galà dei diamanti”, manifestazione nazionale dove vengono premiate le vincitrici dei campionati di tutta Italia.
Ora che per impegni personali, come il lavoro e la necessità di avere le domeniche libere da trascorrere con il suo ragazzo e gli amici, Francesca sta per appendere le scarpette al chiodo siamo sicuri che la passione per quel diamante di terra rossa rimarrà per sempre dentro di lei.
In conclusione Francesca invita tutti gli sportivi a provare questa bellissima attività.
Antonio Garosi

Una questione di vita che si fa passione
“Insieme con noi e non per noi.”
Questo è il motto che ho fatto mio da quando sono nella responsabilità di dirigente associativo.
Mi pare un motto che segnala con semplicità la nostra linea di comportamento nel relazionarsi con l’opinione pubblica.
Questo motto è un principio della convenzione O.N.U. sui diritti delle persone con disabilità.
Spesso mi chiedo se ho scelto quello che faccio o se sono stato condizionato da tanti esempi di uomini e donne che ho incontrato nella mia vita.
L’associazione che ha reso Cittadini i ciechi e gli ipovedenti in Italia è per tutti noi una ragione di vita che si è trasformata in passione.
Io frequento questa famiglia dal lontano 1975 e il dirigente che mi fece amare l’associazione fu Enzo Tomatis il quale mi disse: “tu devi dare agli altri quello che altri hanno dato a te.”
Quella consegna fu per me come un vaccino che si inoculò nel mio sangue e ha fatto in modo che io mi impegnassi anima e corpo per il futuro della categoria.
Non so se ho dato tutto quello che potevo ma so per certo che quanto ho dato l’ho dato con il mio massimo impegno e la mia massima passione.
Lavorare con passione è determinante per far fronte alle mille problematiche che i disabili visivi affrontano nel quotidiano.
Oggi che ci apprestiamo a vivere un congresso nazionale importante sento, come tutti i dirigenti, una grande responsabilità che impegna cuore e ragione al fine di dare all’associazione un futuro pieno di soddisfazioni a ciechi e ipovedenti, a sordo ciechi e a ciechi e ipovedenti con minorazioni aggiuntive.
In questi giorni sto anche preparando la relazione programmatica per la nostra assemblea di novembre e sinceramente provo sensazioni contrastanti perché la programmazione è sempre difficile ma lo è ancora di più in mancanza di risorse certe e costanti.
Tuttavia, sono più che convinto che facendo conoscere l’associazione e la categoria, potremo proporre alla gente di scegliere noi per i loro atti di liberalità e per il volontariato a nostro favore.
In questa occasione voglio ribadire quanto l’associazione ha garantito ai disabili visivi dalla sua fondazione a oggi.
Aurelio Nicolodi fu colui che riuscì a comprendere quanto fosse importante riunire i disabili visivi sotto un’unica bandiera per sconfiggere uniti il buio della incapacità giuridica.
Chi non vedeva era considerato incapace di agire e veniva considerato persona da tenere nascosta magari negli ospizi.
Nicolodi e dopo di Lui Paolo Bentivoglio posero al centro della politica associativa l’istruzione e il lavoro.
Non mi soffermo sulle mille battaglie: sull’occupazione di sala Borromini, sui tanti scioperi contro gli attacchi all’indennità di accompagnamento.
Segnalo che tutti i presidenti che hanno guidato questa nostra famiglia e con loro i gruppi dirigenti hanno saputo interpretare l’evoluzione dei tempi guidando la categoria in mari molto tempestosi.
Si sono fatti anche errori spesso poco comprensibili in termini di rapporto tra dirigenti nazionali, dirigenti locali e soci.
Siamo per troppo tempo, rimasti chiusi nel nostro guscio quasi timorosi e non lo abbiamo fatto solo nei confronti di persone non appartenenti alla categoria ma anche nei confronti dei disabili visivi e questo, soprattutto negli ultimi dieci anni ci ha portato a un dimezzamento dei soci.
Oggi però soffia un venticello nuovo perché un nuovo gruppo dirigente si fa avanti e lo vedremo a Chianciano dal cinque all’otto novembre.
Siamo difronte a un congresso molto al femminile e con tre candidati alla presidenza nazionale.
Chi scrive ha da tempo scelto il suo candidato ma certamente tutti i tre candidati sono rispettabili e contribuiranno alla sempre maggiore volontà di riscatto della categoria.
Un’assise congressuale che si rispetti deve programmare il futuro cercando di saperlo anticipare, se possibile, ma certamente cercando di predisporsi a coglierne le sfide che annuncia e noi in tanti anni di storia siamo stati capaci di fare tutto questo.
Abbiamo saputo sostituirci al pubblico quando questo mostrava di non essere capace ad affrontare le emergenze sociali; ci siamo impegnati in attività formative, riabilitative e di sostegno psicologico quando in Italia non se ne parlava ancora e così abbiamo lanciato la sfida della prevenzione per offrire ai cittadini un mezzo per evitare la cecità o l’ipovisione.
Spero che anche questo congresso di Chianciano saprà dire parole chiare sul futuro della categoria e dell’associazione.
Mi piace salutare il congresso con quanto scrisse un amico per l’occasione del mio diploma:
“Caro Massimo, hai superato una delle tante prove della vita e di questo ne sono contento e mi complimento con te. Voglio però ricordarti di non tenere solo per te questo successo ma di condividerlo con chi questi successi fa fatica a conseguirli. Il tuo impegno deve essere a favore degli ultimi perché ultimo non sei”.
Io auguro all’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di essere sempre vicina a chi è ultimo in una società che gli ultimi li emargina.
Massimo Vita