Rottamare la buona scuola? Così, tanto per fare?, di Giovanni Taverna

Autore: Giovanni Taverna

Ho letto con molto interesse l’articolo del dott. Rapisarda sul giornale del 17 aprile, sulle intenzioni rottamatorie di un eventuale nuovo governo e non posso esimermi dal fare un commento: è ora di finirla. Per essere meno criptico, affermo recisamente che è ora di finirla con il fatto sotto gli occhi di tutti, costituito dal ripetersi della situazione per cui ogni nuovo governo che entra in carica immancabilmente mette le mani nella scuola e la stravolge secondo intendimenti che troppo spesso si mostrano figli di un unico pensiero: risparmiare sull’istruzione. Anche quando le intenzioni dichiarate siano condivisibili e non basate esclusivamente sul risparmio, il prodotto non cambia: negli ultimi 20 anni abbiamo avuto un tentativo di sconvolgimento della scuola in media ogni 4 anni, oltretutto spesso con un andamento ondivago che contrastava apertamente con quanto stabilito pochi anni prima. Verissimo, io non sono uno specialista in materia e non ho certo le competenze dell’amico Rapisarda, ma 15 anni di presidenza di sezione mi hanno costretto giocoforza a vedere, si fa per dire, tutti i guai possibili; per di più mia moglie è insegnante di ruolo nel sostegno dal 2006 e referente per il sostegno, ora inclusione, di IC dal 2011, quindi obbligatoriamente sono al corrente del minuto effetto di tutte le varie leggi scolastiche che sono sopravvenute; insomma il classico osservatore “buon padre di famiglia”. Pensiamo veramente che questo turbinare di riforme a ciclo continuo, anche con tutte le buone intenzioni del caso, porti effetti benefici o invece costituisca un ammasso di norme spesso contraddittorie tra loro e che producono una confusione che crea ulteriore confusione, e via spiraleggiando? Sto farneticando? Esaminiamo un esempio. Nell’articolo dell’amico Rapisarda si afferma che ormai abbiamo raggiunto il rapporto 1 /2 tra insegnanti di sostegno e disabili e pare però questo comporti che molti genitori debbano ricorrere al tribunale per ottenere tutte le ore di sostegno previste per i propri figli ; la colpa viene attribuita al sistema delle deroghe. Orbene L’amico Rapisarda sa benissimo che questa situazione non è generata per autopoiesi, ma è frutto guarda caso della ennesima riforma scolastica , una delle tante,, che appunto stabiliva quel rapporto standard senza minimamente tener conto che altra legge prevedeva invece che i disabili gravi e gravissimi avessero diritto al rapporto 1 a 1; in pratica se una scuola ha 50 alunni disabili la legge di cui parliamo gli da al massimo 25 insegnanti di sostegno; ma se 20 di questi alunni sono gravi o peggio, 20 insegnanti vanno riservati per legge a loro e gli altri 5 restanti vanno ripartiti tra i 30 disabili rimasti, con quali risultati per la copertura delle ore di sostegno richieste lo lascio decidere al lettore. Le deroghe, per balzane che siano, hanno lo scopo di rettificare in parte questa situazione certo non ragionevole e spesso è proprio questa mancanza di copertura oraria a determinare il ricorso legale da parte dei genitori. Si tenga conto che la maggioranza dei possibili rottamatori è costituito oggi esattamente da coloro che hanno creato la situazione che ha richiesto la creazione delle deroghe. Mi pare proprio che non sia il caso di lasciargli ripetere questo tipo di geniali riforme o rottamazioni che si chiamino. Ulteriore osservazione: non so da dove il dott. Rapisarda tragga il valore di 1600 euro come stipendio medio degli insegnanti di sostegno; personalmente il conto non mi torna, perché la moglie citata sopra, dopo 12 anni di ruolo percepisce a malapena 1300 euro, ben lontani quindi dalla cifra citata come media, ma può anche darsi che più della metà degli insegnanti di sostegno percepisca 1900 euro mensili, che sarebbe la cifra necessaria per ottenere la media citata; ho qualche dubbio in merito ma non do mai per certo un dato se non ho le prove in mano, anche se ognuno ricorda il paradigma statistico del singolo italiano che in media mangia mezzo pollo al giorno. Ma torniamo un attimo al discorso centrale, cioè a questa mania governativa che impone a qualsiasi neofita ministeriale una bella riforma della scuola. Rapisarda presenta molti punti dolenti che vanno certamente affrontati senza se e senza ma. Resta però da dimostrare che buttare all’aria la legge 66 serva a risolvere quei problemi. Non lo credo, per la semplice ragione che ogni riforma e riformina del passato ventennio in realtà non ha mai fatto altro che sovrapporre norma a norma già esistente e magari contraddittoria. Insomma, nessuna riforma fatta finora ha mai posto il problema di cancellare quanto fatto prima se non corrispondeva agli stessi principi; comincio a pensare seriamente che l’operazione necessaria da farsi non sia rottamare la 66 per magari tornare alla situazione normativa precedente con qualche modanatura barocca di abbellimento, ma sia una vera e propria tabula rasa di tutto il sistema legislativo scolastico, compresi le linee didattiche, la disposizione delle aule, l’architettura stessa della scuola, ancora impostata sul modello ottocentesco della trasmissione del sapere. Se inventassimo una macchina del tempo e portassimo qui un personaggio dell’ottocento, questi non riconoscerebbe nulla delle nostre città, delle poste, delle banche, degli ospedali, ma se entrasse in una classe scolastica tirerebbe un sospiro di sollievo perché troverebbe ancora le classi costituite da banchi e cattedre, con magari l’unica differenza di una lim al posto di una lavagna di mica. Questo taglio tra scuola e società attuale, l’inserimento limitatissimo del sapere reticolare basato su internet, l’arretratezza della strumentazione rispetto al mondo del lavoro, questi sono i problemi da affrontare una volta per tutte, anche per gli alunni disabili. E non credo proprio che i presunti “rottamatori” abbiano intenzione di farlo, come non lo ha fatto chi li ha preceduti. Certo, dove troviamo i soldi? Ma tra le sognanti riduzioni delle tasse al 15% e gli altrettanto sognanti redditi di cittadinanza, forse una riforma radicale della scuola sarebbe un investimento ben più fruttuoso per il nostro futuro anche per gli alunni disabili, che finalmente, non vivono in un altro pianeta.