La vita non è un sogno, di Cesare Barca

Ada Fama e la sua splendida realizzazione umana e culturale.

È Questo il titolo che devo necessariamente utilizzare per l’incontro che avremo mercoledì  p.v. 26 febbraio alle ore 18 nella nostra sala virtuale anziani n.916562 per vivere un respiro rigenerante con una giovane donna che ha saputo lottare per conquistare una meta culturale e sociale di particolare rilievo.

Ma lasciamo che sia lei stessa ha parlarcene in questo suo breve profilo carico di simpatica vivacità.Chi avesse necessità di conoscere il pin d’ingresso potrà contattare Ignazio Cozzoli cell.338 500 31 88 o Nunziante Esposito cell. 349 672 3351 o interpellare il sottoscritto tel. 329 20 50 972

Grazie per l’attenzione e….non mancate, sarebbe un grave errore!                                                                                                                                                                                                                                                 Cesare Barca

“Sono Ada Fama e sono nata in Albania nel 1991. A poco più di quattro anni, con l’aiuto di angeli che sono tutt’ora tra i nostri amici più cari, sono arrivata in Italia con mio padre per cercare di dare una svolta alla malattia che mi stava portando via la vista: porto di Trieste, un uomo e una bambina, tante valigie piene di regali (modesti ma colmi di gratitudine) per gli amici che ci avrebbero ospitato da lì e per gli anni a venire, ogni volta che saremmo tornati.

Così, per cinque anni sono stata una pendolare un po’ speciale: da Korçe (Albania) dove viveva la mia famiglia, all’ospedale Borgo Trento di Verona, dove mi avevano in cura medici, infermieri e altri pazienti che facevano le collette per regalarmi giocattoli.

Finalmente, nel 2000 anche mia madre e mio fratello sono riusciti a venire in Italia e ci siamo stabiliti ad Arco, in provincia di Trento. È lì che ho iniziato un percorso di studi finalmente stabile, senza parentesi d’ospedale e con insegnanti preparati e volenterosi che tanto mi hanno dato.

Ho frequentato il liceo classico a Riva del Garda: la prima non vedente in Trentino, una dei primi – se non la prima – in Italia ad usare il computer per leggere e scrivere l’alfabeto greco. Le difficoltà sono state tante: non era semplice mettere appunto un software che rispondesse alle mie esigenze e, in verità, il supporto degli organi preposti a darmelo non è stato molto, ma – grazie anche all’incoraggiamento dei miei genitori e delle professoresse di greco – il percorso è stato comunque soddisfacente.

Mi sono iscritta alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bologna perché volevo uscire da casa, subito dopo le scuole superiori. Bologna mi ha insegnato molto sulla vita autonoma, ad esempio a non vergognarmi quando sbagliavo qualcosa mentre andavo in giro con il bastone o – mio limite ancor più grande – a chiedere nel momento del bisogno.

Il percorso di studi, dal canto suo, è stato impegnativo ma davvero stimolante. Con display Braille, sintesi vocale e scanner come fedelissimi alleati, ho infilato gli esami uno dopo l’altro, con più o meno passione (dall’amore viscerale per il diritto costituzionale all’insofferenza per l’economia politica e il diritto tributario) e a luglio del quarto anno ho finito tutti gli esami obbligatori. Essere in corso ed avere una media molto alta mi ha permesso di partecipare al progetto di partnership tra Università di Bologna e King’s College London, che permette ai migliori studenti della facoltà di trascorrere il quinto anno a Londra per frequentare un master; in tal modo lo studente ottiene la doppia laurea, italiana e inglese.

L’anno a Londra è stato incredibilmente formativo, sia dal punto di vista didattico che dal punto di vista personale. Lì, per la prima volta, ero davvero sola e, nonostante l’enorme quantità di amici con cui avevo stretto legami, ho dovuto misurarmi con tutti gli aspetti della mia disabilità.

Ne sono uscita più forte di quando sono partita, tanto che ho deciso di fare domanda di dottorato a Londra per prolungare la mia permanenza lì. Ho vinto un dottorato con borsa di studio al King’s College London ma, dopo quasi un anno, ho capito che non era la mia strada e ho scelto di tornare in Italia per seguire il mio sogno di sempre: fare il magistrato.

Per poter partecipare al concorso in magistratura, ho seguito un tirocinio formativo presso la Corte d’Appello di Bologna: un’esperienza di diciotto mesi che – tolte le difficoltà di misurarsi con un ambiente ancora troppo basato sulla carta stampata anziché sul digitale – mi ha insegnato forse di più di cinque anni di università.

A giugno ho partecipato al concorso in magistratura e sono in attesa dell’esito. A dicembre ho anche sostenuto l’esame per l’abilitazione alla professione di avvocato e, anche in questo caso, aspetto gli esiti. Ad entrambe le prove, comunque, ho preteso di partecipare con i codici (codice civile, codice penale e codice amministrativo) in formato elettronico anziché cartaceo. Non è stato semplice convincere le commissioni che un file *.pdf o *.txt può essere controllato come qualsiasi stampato cartaceo e che, quindi, non mi avrebbe agevolata rispetto ai miei colleghi, ma infine ci sono riuscita.

Da poco più di un anno ho lasciato Bologna e sono tornata ad essere una pendolare speciale: mi sposto tra Riva del Garda, dove vive ancora la mia famiglia, e Rieti, dove vivo con il mio ragazzo, anche lui non vedente. Le difficoltà della vita quotidiana si sprecano, ma le sfide piacciono molto ad entrambi, quindi ce la spassiamo un mondo!”.