La formazione dei dirigenti, di Katia Caravello

Autore: Katia Caravello

L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti è una grande associazione, e in questa sede non mi riferisco al suo passato glorioso, ma molto più prosaicamente al fatto che è una Onlus presente su tutto il territorio nazionale e che, in quanto tale, deve sottostare a leggi e normative.
Gestire secondo le regole ed in maniera efficiente una sezione territoriale, e vale a maggior ragione per i Consigli Regionali e per la struttura nazionale, non è una cosa semplice; spesso la buona volontà non è sufficiente, sono necessarie competenze e conoscenze.

Per il buon funzionamento di una sezione, per quanto piccola sia, è opportuno che i suoi dirigenti abbiano, almeno, un’infarinatura in ambito:
legislativo/normativo, dovrebbero conoscere:
le principali leggi nazionali in tema di disabilità (ad esempio, legge 113/85, 68/99, 104/92, 138/01);
le normative nazionali e regionali relative al riconoscimento dell’invalidità, all’ottenimento di agevolazioni fiscali e nell’utilizzo di servizi (ad esempio il trasporto pubblico), l’assegnazione di ausili (tramite il nomenclatore tariffario e/o leggi regionali);
amministrativo/contabile: è importante che abbiano una visione aperta sulle progettualità a medio e lungo termine, alle quali si riconnette la stima dei flussi delle uscite e dei proventi nell’arco dell’anno.
Potrebbe sembrare che le conoscenze sopra citate siano superflue per un dirigente dell’UICI, ma non è così: Pur non pretendendo che diventino tutti avvocati o contabili, avere le competenze sopra descritte mette i dirigenti nelle condizioni di rispondere in maniera efficace alle esigenze dei nostri soci e tutelati… e ciò rappresenta la principale mission del nostro sodalizio.

Ma non è sufficiente avere capacità manageriali per essere un “buon” dirigente, sono anche necessarie delle buone abilità relazionali sia sul versante esterno (rappresentanti di altre associazioni di disabili e non, di uffici amministrativi o di forze politiche, di enti vari), sia sul versante interno, soci e utenti in primo luogo, ma anche personale dipendente, volontari e collaboratori vari.
Si rende quindi necessaria una formazione anche in quest’ambito, con l’obiettivo di promuovere l’adozione di atteggiamenti e comportamenti appropriati durante l’espletamento della funzione di rappresentante dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti onlus, evitando il più possibile l’adozione di atteggiamenti piagnucolosi, volti a generare pietà o a giustificare, in assenza di adeguate argomentazioni, proprie manchevolezze, o, all’opposto, atteggiamenti arroganti o pretenziosi, che presentano le nostre ragioni come valide a priori e quindi indiscutibili. Atteggiamenti simili, oltre ad essere poco efficaci, offrono un’immagine del cieco e dell’ipovedente assai negativa.

Sul versante interno, avere delle buone capacità relazionali è utile per riuscire a coordinare con successo il gruppo di collaboratori (a partire dal consiglio direttivo). Infatti, la gestione di una sezione – ma vale lo stesso per i Consigli Regionali e la struttura nazionale – non deve essere in mano ad una singola persona, ma ad un gruppo… e qui arrivano i problemi.
Lavorare in gruppo è tutt’altro che semplice: è necessario avere la capacità di collaborare, di mettersi in discussione e di dare il giusto peso ai problemi e alle conflittualità che inevitabuilmente insorgono, rispettando l’altro ed attribuendogli dei valori, ascoltando e cercando di comprendere le sue opinioni e riconoscendo i propri limiti.
E’ quindi di fondamentale importanza ai fini della realizzazione di un buon lavoro di gruppo e, di conseguenza, di un buon funzionamento della struttura territoriale, regionale o nazionale, che il personale dirigente (il Presidente in primis) sia in grado di gestire i conflitti in maniera efficace, ascoltando e rispettando il pensiero e la sensibilità di ciascuno, senza ricorrere all’esercizio del potere, ma individuando una soluzione realmente accettabile per tutte le parti in causa.

Non bisogna infine dimenticare che i dirigenti associativi – specie quelli che operano nelle sezioni territoriali – hanno anche un altro compito importantissimo che va ben oltre il rispondere alle domande e il gestire il lavoro: l’accoglienza e il rapporto con i soci, i tutelati e le loro famiglie.
Tra le attività svolte da un dirigente, da un certo punto di vista, questa è quella che dà le gratificazioni più grandi, la vera motivazione alla base dell’essere un consigliere dell’Unione… ma è anche quella più difficile e, a tratti, più dolorosa, perché ascoltare ed essere d’aiuto a persone che stanno vivendo un momento di sofferenza, che spesso hanno storie molto drammatiche, non è così scontato come si potrebbe pensare… neanche quando , almeno in parte, si conoscono le difficoltà e le paure dell’altro perché sono state o sono anche le proprie.
Quante volte, nonostante le buone intenzioni, si dicono o fanno cose che non andrebbero dette o fatte… vanificando, in tutto o in parte, l’efficacia del proprio intervento?
Non serve essere dei professionisti delle relazioni d’aiuto per svolgere un buon ascolto ed essere di conforto, è sufficiente sapere che spesso alcuni metodi tradizionali di aiuto sono inefficaci e conoscere le possibili alternative… il che è alla portata di chiunque.
Per raggiungere gli obiettivi sopra descritti, è necessario che la formazione non sia un evento estemporaneo, ma un’attività modulare, ripetuta nel tempo e affidata a personale esperto (interno o esterno all’Unione). Sarebbe anche auspicabile giungere alla costituzione di un’anagrafe delle competenze – ovviamente non per quanto riguarda le abilità relazionali – a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno: si potrebbe infatti predisporre per ciascun ambito specifico (autonomia e mobilità, informatica e tecnologia, pluridisabilità ecc.), un elenco, comprensivo di recapiti, di esperti in un dato settore, che siano disponibili a mettersi al servizio delle sezioni, ad esempio, della propria regione o di una regione limitrofa (evitando alle strutture più piccole – che spesso già fanno fatica a trovare chi accetta di entrare in consiglio – di dover necessariamente individuare un referente per ciascuna area, con il rischio che più persone siano costrette ad occuparsi di più settori– senza magari averne le reali competenze – con il risultato di fare tutto male).

Rispetto alla metodologia, secondo me, un buon percorso formativo non può essere svolto esclusivamente per via telematica, soprattutto per quanto concerne gli aspetti relazionali: si dovrebbero organizzare seminari regionali, caratterizzati da un’elevata interattività sia con il docente sia con gli altri partecipanti… è questo che consente di superare il livello informativo per raggiungere, per l’appunto, quello formativo.
Per esigenze varie, è molto probabile che tali incontri debbano svolgersi durante il fine settimana: so per esperienza diretta che impegnare in questo modo il proprio tempo libero è un sacrificio, ma credo anche che chi ricopre la carica di consigliere (sezionale, regionale o nazionale che sia) abbia il dovere di acquisire le conoscenze e le competenze che gli consentano di farlo nel migliore dei modi… anche se costa fatica.

Katia Caravello