Il Braille, una bussola lungo i sentieri della vita, di Pierfrancesco Greco

Il Convegno organizzato dalla Sede Territoriale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Catanzaro, guidata dalla Presidente Luciana Loprete, e svoltosi nella mattinata di giovedì scorso, 21 febbraio, in occasione della XII Giornata Nazionale del Braille, nel proscenio dell’Aula Giovanni Paolo II, all’interno del Campus Salvatore Venuta dell’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, ha rappresentato una tappa fondamentale nel processo critico di verifica riguardo ai diritti di cittadinanza dei non vedenti.

Un momento d’aulico livello accademico, in cui s’è riaffermato il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini rispetto ai diritti, quelli costituzionalmente sanciti, quelli, nello specifico, concernenti l’accesso al sapere, alla lettura, alla cultura; quei diritti che rivestono portata primaria nella costruzione di una società effettivamente proclive alle pari opportunità e, perciò, in grado di valicare la condizione di minorazione e svantaggio connessa alla cecità, colmando quel vuoto che il buio sovente frappone tra idealità e realtà, tra forma e sostanza, in ordine a una piena realizzazione dell’individuo, giacché parte delle assise sociali: il Convegno svoltosi nella mattinata di giovedì scorso, 21 febbraio, in occasione della XII Giornata Nazionale del Braille, nel proscenio dell’Aula Giovanni Paolo II, all’interno del Campus Salvatore Venuta dell’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, ha rappresentato una tappa fondamentale nel processo critico di verifica che la Sede Territoriale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Catanzaro, organizzatrice dell’evento in questione, ha inteso aprire riguardo ai diritti di cittadinanza dei non vedenti, in una fase storica ove la possibilità di seguire le individuali passioni, di promuovere le specifiche attitudini, di realizzare le legittime aspirazioni, di essere, insomma, elementi attivi e propositivi nella società, sulla scorta dei succitati diritti di cittadinanza, rimane spesso un enunciato meramente formale, piuttosto che assurgere a consuetudine sostanziale. Un processo di verifica che “ha visto la nostra associazione impegnata durante questa giornata, con varie iniziative sul territorio regionale – ha asserito il Presidente dell’UICI Calabria, Pietro Testa –, per divulgare il valore di questo metodo di lettura e scrittura unico e insostituibile e per dare massima diffusione a una richiesta di collaborazione e impegno comune sulla strada dell’integrazione”. In particolare, col simposio di giovedì, organizzato in collaborazione con il Consiglio Regionale UICI della Calabria e col patrocinio dell’Università Magna Grecia, la Sede catanzarese dell’UICI, come sempre attiva, grazie al dinamismo della sua Presidente Luciana Loprete, riguardo alle tematiche dell’inclusione, ha posto l’accento sulla centralità del sistema Braille nella sedimentazione concreta di una nuova dimensione di cittadinanza per i non vedenti, orbitante attorno alla condizione di libertà, diritto primario di ogni essere umano, che l’autonomo accesso alla cultura schiude sul presente e sul futuro. “Oggi, con quest’iniziativa – ha spiegato la Presidente dell’UICI di Catanzaro, Luciana Loprete –, abbiamo voluto portare all’attenzione del mondo universitario un’esperienza, qual è, appunto, il Braille: un’esperienza che è metodo, cultura, linguaggio. Un linguaggio che Louis Braille ideò grazie al confronto con le persone del suo tempo e che, perciò, ci ricorda, in ogni attimo, l’importanza della condivisione delle idee e delle istanze, in questo nostro tempo, nel quale abbiamo bisogno gli uni degli altri, nella promozione della nostra umanità e dei nostri diritti”. Un cammino di crescita, questo, salutare per tutta la collettività, non solo per i disabili della vista, e in cui devono essere impegnati i talenti, le menti e le più importanti energie propulsive del consesso civico. Alla luce di tutto ciò, ecco palesarsi ancora più chiaramente il senso che la Sezione catanzarese dell’UICI ha voluto evidenziare attraverso la designazione dell’Ateneo cittadino quale cornice del Convegno: tenendo l’iniziativa in tale luogo, “in questo polmone di cultura”, secondo l’immagine metaforica adoperata da Domenico Gareri, moderatore dell’incontro, si è voluto lanciare un invito alla condivisione dei principi e degli sforzi; tenendola specificatamente presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’UNICZ, laddove il diritto costituisce l’architrave dell’offerta formativa, si è voluta percorrere la strada intrapresa lo scorso anno dall’UICI calabrese, con un Convegno tenuto nell’Aula Magna dell’Università della Calabria e organizzato, anche allora in occasione della Giornata Nazionale del Braille, in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Formazione Primaria e con l’Ufficio Disabili dell’UNICAL. Una strada volta a sensibilizzare, nel merito dei valori e degli scopi connaturati all’elargizione della formazione, gli Atenei, inducendoli a farsi portatori delle nobili istanze portate avanti dall’UICI, dando così forza alla missione che anima questa Associazione: esporre richieste per trasformarle in progetti reali. Quei progetti attraverso cui l’accesso al sapere e, quindi, all’integrazione deve diventare, nei fatti, diritto pieno, riconosciuto, garantito, dando un’opportuna scossa anche al mondo accademico, “che ancora non è riuscito a colmare la distanza intercorrente tra esso e la quotidianità dei ciechi”, come evidenziato da Michele Caruso, membro del Senato Accademico dell’UNICZ. E se la dottoressa Federica Nancy, assegnista di ricerca presso l’Università di Catanzaro, s’è soffermata, dal punto di vista giuridico, riguardo all’accezione di persona come nucleo di ogni civiltà, alla solidarietà come dovere e all’uguaglianza  come diritto, quali capisaldi, morali e costituzionali, della pari dignità sociale, sulla cui base “l’ordinamento tutela le persone con minorazione visiva, ponendosi il problema di mettere i disabili visivi sullo stesso piano del resto della società, proteggendone gli interessi e garantendone la possibilità di agire”, con gli strumenti adeguati, tra cui spicca il Braille, rispetto a cui “andrebbe incoraggiata la ricerca tecnologica, nell’ottica di un’autonomia sempre maggiore e di una piena integrazione”, il professore Umberto Gargiulo, ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università di Catanzaro,  ha posto l’accento sulla necessità di “agire, al fine di dare la possibilità al non vedente di spaziare, aspirare ed entrare nei vari campi professionali, rifuggendo dalla logica limitante di una categoria protetta, quale quella afferente al lavoro di centralinista. Le norme, al riguardo, esistono; norme che danno ai non vedenti la possibilità di accedere ai vari concorsi, utilizzando gli opportuni ausili, in prospettiva che guarda lontano, oltre la ghettizzazione professionale; una prospettiva di riscatto e successo ove l’impegno, lo studio e la tecnologia saranno il viatico alla piena realizzazione delle persone non vedenti, determinando l’incontro tra diritti e possibilità”. Un incontro che potrebbe iniziare ad assumere contorni reali sulle ali di un agevole accesso, da parte dei non vedenti, ai sistemi informatici, “l’utilizzo dei quali – ha, in proposito illustrato Annunziato Antonino Denisi, legale dell’UICI Calabria – costituisce una delle strade verso la realizzazione personale: poter accedere alla rete permette di studiare, di rapportarsi col mondo del lavoro, di dar seguito a quanto disposto nell’articolo 21 della Costituzione, quello sulla libertà di pensiero, e di ritemprare il proprio pensiero in autonomia; quell’autonomia ai cui fini fondamentale è, per i non vedenti, la firma digitale. Ed è fondamentale che anche in quest’ambito telematico germogli la cultura della solidarietà, dello studio, di quell’eguaglianza a cui tutti aneliamo”.  Un obiettivo, quello di rendere effettiva, in ogni campo, l’uguaglianza tra normodotati e disabili visivi, in cui “consta il senso stesso dell’attività dell’UICI – ha asserito Annamaria Palummo, Consigliere Nazionale dell’Unione, durante l’esposizione della sua relazione, dal titolo “Tiflologia e integrazione: l’opportunità del Braille” –, impegnata in un’opera che, oltre a essere motore di sensibilizzazione e di rappresentanza delle necessità, dei bisogni, vorrei fosse patrimonio comune di tutti, non solo dei nostri associati, affinché le norme e i principi, su cui hanno argomentato i docenti e i relatori che hanno preceduto il mio intervento, possano giungere ad aspergere il senso comune della nostra epoca. In particolare, mi ha indotto a riflettere il riferimento al valore della persona umana, che, poi, è il riferimento principale della tiflopedagogia, anzi, nel nostro caso della tiflologia: partendo dall’insegnamento di Augusto Romagnoli, il concetto stesso di persona umana deve indurci a non considerare la nostra minorazione sensoriale visiva, sia essa cecità o ipovisione, come un alibi, in grado di distruggere la nostra personalità, bensì come una condizione esistenziale che, se formalmente inquadrata, anche sotto il profilo del diritto, come fatto in questi anni, e anche del metodo, come abbiamo dimostrato noi come Unione, può sprigionare la meraviglia propria dell’umana unicità. Purtroppo, però, la condizione della disabilità, nel nostro caso visiva, permane ancora in una sorta di limbo, afferentemente alla coscienza e alla considerazione collettiva, facendo sì che tiflologia e integrazione non siano ancora due categorie sociali che noi possiamo definire risolte. Ed è qui che si palesa la straordinarietà del Braille come opportunità: un’opportunità, senza dubbio, in quanto strumento e veicolo di conoscenza e interazione per le nostre sorelle e i nostri fratelli non vedenti; ma un’opportunità, anche giacché modello di valore attraverso cui noi possiamo riflettere e interrogarci sulle cause che rendono ancora irrisolti, e lungi dall’essere patrimonio comune, questi due archetipi del discorso attinente alla piena realizzazione del cieco e dell’ipovedente. Un interrogativo, questo, a cui non è facile dare una risposta, essendo la risposta alquanto scomoda; una risposta che chiama in causa l’istituzione scolastica, di cui parlerò più avanti. A fronte di ciò, risulta, insomma, improcrastinabile una presa di coscienza da parte di tutti, sull’essenza dell’individuo, il quale, a prescindere da ogni condizione o minorazione, è, prima di tutto, una persona, come tutti, con i suoi sentimenti, con i suoi sogni”. Sentimenti e sogni che nella Giornata del Braille vengono percepiti in tutta la loro normale, normalissima bellezza. Anche a ciò serve questa giornata, che è una sorta d’indicatore: se c’è la necessità di costruire attenzione, visibilità, percezione, prosecuzione, prossimità, definizione di passaggi e programmi condivisi, significa che c’è ancora tanto lavoro da fare; significa che la celebrazione di ricorrenze come quella di giovedì rivestono una rilevanza piramidale; significa che l’UICI non vuole, non può e non deve rimanere sola. Soprattutto, non può e non deve rimanere esclusiva responsabilità di un’Associazione di categoria il problema dell’integrazione dei soci e dei non vedenti in genere: ciò presupporrebbe il permanere di un sostanziale disinteresse collettivo rispetto alla questione dell’integrazione, il che andrebbe a frustrare il proposito di poter vivere un giorno in una società veramente inclusiva, mortificando il principio del bene comune, della condivisione delle opportunità, del poter concorrere alle opportunità, a quelle pari opportunità che non potranno realmente sussistere fin quando la questione dei diritti e dell’integrazione rimarrà limitata esclusivamente nell’ambito d’interesse dei ciechi e dell’Associazione che li rappresenta. Ecco perché è importante il lavoro di sinergia,  di formalizzazione e interpretazione dei bisogni, il corollario paradigmatico delle modalità e dei soggetti, con cui attivare programmi, procedure, sistemi, comportamenti, azioni, buone prassi, interventi mirati, affinché risulti sempre più facile condurre un bambino non vedente dalla sfera familiare fino all’Università, accompagnandolo nel suo cammino d’istruzione, a partire dalla scuola materna, aiutandolo a diventare una persona libera, capace di adoperare appieno gli ausili necessari al compimento del suo percorso didattico, al suo essere autonomo, nel lavoro, nel privato, nella vita sociale, nella mobilità. Ausili che sono stati il fulcro della mostra itinerante che l’UICI di Catanzaro ha allestito sul territorio cittadino nelle giornate di mercoledì, giovedì e venerdì; per l’UICI, del resto, è importante spiegare le modalità del lavoro che la vede impegnata ogni giorno, volto a rendere fruttuosi i valori insegnati e i risultati raggiunti in quasi cento anni di esistenza, mostrando le attività, gli strumenti che si adoperano, la didattica che si adotta, con i testi, le esperienze nei laboratori e nei campi, i progressi raggiunti riguardo alla possibilità di far cogliere e toccare la bellezza a coloro i quali non vedono: bellezza come quella alitante dalle opere d’arte, che il progetto AIVES si propone di raccontare, far immaginare, sentire, con gli opportuni metodi, essendo l’arte un miracolo “che si può vedere con l’anima”. Insomma, attraverso questi allestimenti e queste dimostrazioni si è potuto prendere visione del metodo, dell’approccio, del comportamento connesso all’apprendimento guidato, reso possibile dal materiale, dalla strumentazione tiflodidattica, dalla strumentazione tecnologica, dai vari supporti e, ovviamente, soprattutto dal Braille; “il Braille – ha proseguito la dottoressa Palummo –, che è indispensabile per rendere le persone cieche e ipovedenti libere, autonome e soprattutto consapevoli. Il braille, che è ancora più importante per rendere il vedente persona disposta a comprendere, rispettare e amare l’altro, senza più barriere. Il braille, che crea armonia; il braille, con la sua poesia, che è senz’altro un fatto umano, senz’altro una questione valoriale. Quel Braille che, contestualmente al grande mosaico dell’integrazione, a principiare da quella scolastica, è un fattore dirimente, decisivo: senza il braille non è possibile rappresentare un panorama di elementi certi per la piena integrazione; senza il braille non si può crescere; senza il braille si resta al buio; e al buio non si può e non si deve restare. Il braille è il più vivido antidoto a questo buio; un antidoto che – ha evidenziato la dottoressa Palummo –, per sortire incisivamente i suoi effetti, deve, ritornando su quanto ho detto poco fa, trovare linfa nell’ambito scolastico. Lo reitero: la mancata, o quanto meno incompleta, inclusione sociale dei non vedenti parte da lontano, dalla scuola, dove sono tuttora insufficienti strumenti e competenze. Al riguardo, da queste giornate, durante le quali si sono confrontate figure che concorrono a garantire l’elargizione della formazione e della cultura, in una prospettiva inclusiva, è emersa la fondamentale importanza del ruolo del tiflologo, di colui che stabilisce modalità, strumenti, ausili, comportamenti, pedagogia per l’apprendimento. Una figura, quella del tiflologo, che per le nostre ragazze e i nostri ragazzi ciechi e ipovedenti non è solo un insegnante: il tiflologo è una guida, di più, un compagno di viaggio, che – ha concluso la dottoressa Palummo –  aiuta a orientarsi, a trovare i retti sentieri in una foresta ombrosa, dove i sentieri non si vedono”. Sentieri che il braille, alla stregua di una bussola, svela, permettendo di cogliere la bellezza, la straordinarietà, la poesia che l’esperienza umana regala non solo e non tanto ai nostri sensi, non solo e non tanto ai nostri occhi, ma alla nostra voglia di vivere, di conoscere, di amare.

Pierfrancesco Greco

Una fase del Convegno

Pietro Testa, Presidente Regionale UICI Calabria