Il Braille non è pezzo da museo, di Antonio Quatraro

IRIFOR, Biblioteca di Monza, IAPB, Federazione delle Istituzioni pro Ciechi, centro Helen Keller), ha fatto il punto sul lavoro degli ultimi 5 anni.

Grazie all’impegno dei soci fondatori e di molti dirigenti associativi, il Braille gode di ottima salute. Nella sua attività il Club ha cercato di mettere in pratica i sani principi che fin dalla fondazione della nostra Unione hanno ispirato i nostri padri: farsi conoscere fra il grosso pubblico, rivolgersi ai giovani in formazione, per far conoscere il nostro Braille come uno strumento per la libertà e per l’autonomia, e come una meravigliosa opera d’ingegno, che sa liberare anche chi non ha la vista dai ceppi dell’analfabetismo. Ma soprattutto il camminare insieme, tutti insieme ciascuno con il proprio passo, verso un obiettivo comune, ossia affermare la dignità della persona che non vede e la sua capacità di essere cittadino fra cittadini, se riceve l’aiuto giusto.

Il club ha cercato di inserire le proprie attività non come qualcosa di estraneo ai tempi, o come richiesta di attenzione perché così vuole la nostra Costituzione, ma collegandosi ai principali eventi nazionali, nell’ottica della inclusione sociale. Di qui la scelta di celebrare la giornata del Braille nelle città capitali europee della cultura (Pistoia, Matera), di qui la scelta di presentare il Braille nei luoghi di formazione, coinvolgendo i bambini ed i giovani (scuole, università).

Tutte le iniziative del club poi sono il frutto di un parto “plurigenitoriale”, si può dire? Nel senso che fin dal concepimento delle varie idee, sono state coinvolte tutte le istituzioni che hanno dato vita al club stesso.

Negli ultimi 5 anni infine è aumentato il consenso delle nostre sezioni, e questo non può che incoraggiarci. Ma la strada da fare è ancora lunga, perché ancora troppi sono coloro che vivono il Braille come una iattura, o come un inutile gingillo, retaggio dei tempi passati.

Perché faticare ad imparare il Braille se con la voce sintetica posso leggere di tutto? Perché imparare il Braille se posso leggere con caratteri ingranditi? Proporre il Braille ad un bambino ipovedente grave, per molte famiglie e molti insegnanti è come chiamare il pronto soccorso quando il bimbo ha solo 37 e mezzo di febbre.

La vera difficoltà è quella di comunicare correttamente l’utilità di questo meraviglioso congegno, che ci consente di fuggire dal labirinto, come fece Icaro, e tornare a riveder le stelle.

Come tutte le cose belle, anche il Braille è affascinante a prima vista, ma richiede grande fatica per impararlo bene. Ma anche fare musica è così: tutti più o meno sappiamo cantare o suonare qualche strumento, ma pochi lo sanno fare come si conviene.

Provate voi a leggere un prospetto statistico in forma di tabella solo con la voce.

Voi sapreste giocare a carte senza conoscere il Braille? E sapreste trovare il farmaco giusto senza conoscere il Braille? E ancora: scrivere correttamente è ancora un buon biglietto da visita. Se sbaglia un vedente, lo fa perché è distratto, ma se sbaglia un cieco, lo fa perché è un povero cieco. Si scrive 4 anni fà, o 4 anni fa?

E per dire che qualcuno ha un ruolo importante di mediazione, si scrive alla francese trait-d’union, oppure all’inglese “trade union”? La voce dice più o meno la stessa cosa, ma le due espressioni hanno un significato molto diverso.

Vivrà il Braille? Sì, se i nostri giovani, ciechi o ipovedenti gravi, lo impareranno, lo mostreranno senza pudori e lo ameranno.