articolo giornale di brescia 28 maggio – Testimonianza

articolo giornale di brescia 28 maggio

TESTIMONE

«Ogni anniversario provo ancora una grande commozione»

«Come colpito da un fulmine Salvato dai corpi delle vittime»

Il racconto di Claudio Romano che quella mattina si trovava vicino al cestino con la bomba. Schegge nelle gambe e nell’addome

All’improvviso ho sentito una vibrazione in tutto il corpo, come se mi avesse colpito un fulmine». Sono le 10.12 di martedì 28 maggio 1974 in piazza della Loggia. Claudio Romano è un operaio della Cip Zoo, un’azienda con mille e cinquecento addetti che produce mangimi. Ha 23 anni, è ipovedente, sposato da pochi mesi. Militante del Pci, sindacalizzato, ha aderito allo sciopero generale antifascista. Alle 9 inforca la bicicletta della moglie e lascia la casa di via Chiusure, direzione piazzale Repubblica, sotto la sede della Cgil, da dove partirà il corteo. In piazza della Loggia comincia il comizio. Piove. Come tanti altri dal centro della piazza si sposta sotto i portici, appena un metro e mezzo lontano dal cestino dei rifiuti e dalla colonna di marmo. Davanti ha una fila di persone. Sul palco, da pochi minuti, sta parlando Franco Castrezzati: «A Milano una bomba…». Claudio sente la frase e poi viene investito da quel tremore che lo scaraventa a terra. Le 10.12.

«Non capivo nulla. Mi sono alzato, ho fatto pochi passi in vicolo Beccaria, poi, d’istinto, sono corso verso la piazzetta della Bella Italia. Sono entrato nel negozio di un barbiere. “Gli occhi, gli occhi”, mi urlavano, mi ricordo che io li tenevo coperti con le mani». È sotto choc, esce dal negozio vagando senza meta. Ha il timpano destro perforato, schegge nelle gambe e nell’addome che sanguinano, i pantaloni strappati. Sente voci confuse, grida spaventate. «Ad un certo punto qualcuno mi prese sottobraccio, caricandomi su un’auto con altre due persone ferite». Una Fiat 128 Bianca. «Polizia, perché alla radio di servizio, in via S. Faustino, sentivo parlare di possibili problemi anche in altre parti della città». Incrociano le prime ambulanze dirette in piazza a sirene spiegate. «Sono stato fra i primi feriti ad arrivare al Civile. Non sono sicuro, ma credo che sull’auto con me ci fosse Vittorio Zambarda». Morirà il 15 giugno.

Claudio Romano ci racconta quella giornata. Siamo in piazza, vicino alla colonna dell’eccidio. «Ogni volta mi emoziono, sento un brivido lungo la schiena». È stato per anni presidente dell’Unione Ciechi di Brescia, adesso è un dirigente nazionale. Più volte testimone ai processi per la Strage. «Mi sono salvato grazie a quelle persone che erano davanti a me. Loro sono state falciate dalla bomba». Mentre Claudio viene portato in ospedale, in piazza restano i corpi di Giulietta Banzi, Livia Bottardi, Clementina Calzari, Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi. Luigi Pinto morirà quattro giorni dopo. «Al Pronto soccorso c’era una grande agitazione. Capii dalle parole delle infermiere che stavano arrivando molti altri feriti». Claudio riceve le prime medicazioni e viene parcheggiato in corsia. Non è grave. Alla sera, finalmente, un chirurgo toglie le schegge e cuce le ferite. «Ho ancora una grossa scheggia nell’addome, in profondità. I medici mi dissero che non avrebbe dato problemi, era meglio lasciarla».

Stordito sul lettino, non avverte molto dolore: «La cosa più fastidiosa era il timpano rotto. Sentivo la mia e le altre voci come se avessi l’eco in testa. Insopportabile». Durante il pomeriggio arrivano gli amici, i compagni e i parenti. Rivelano l’origine e le dimensioni della tragedia. «In manifestazione c’erano anche due miei fratelli, che seppero da amici comuni ch’ero in ospedale. Avvertirono mia moglie. Quando arrivò in corsia avevo le gambe coperte da un lenzuolo verde: pensò me le avessero amputate». Il 31 maggio segue i funerali in diretta tv. C’è la contestazione alle autorità. «Fossi stato in piazza avrei fischiato anch’io. Quei fischi manifestavano la sfiducia della gente nello Stato dopo i tanti episodi di stragismo e gli attentati». Il pomeriggio, in ospedale, il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, e il presidente del Consiglio, Mariano Rumor, visitano i feriti. «Mi ricordo che il primario, indicandomi, disse a Leone: “Questo ha avuto le schegge intelligenti”. Già, me l’ero cavata». Dopo dieci giorni, ancora con qualche drenaggio nelle gambe, Romano firma e lascia il Civile. «Appena fui in grado volli andare in piazza Loggia. Volevo fare i conti con ciò che era successo». L’elaborazione del lutto e dell’evento arriva due anni dopo. «C’è un momento preciso. Quando, durante la commemorazione, alle 10.12 dal palco chiamarono i nomi dei Caduti. Piansi come un bambino».

Anche oggi sarà in piazza. «Provo sempre una grande commozione. Per i morti, le sofferenze, ma anche per la capacità della città di ricordare. Per la sua volontà di testimoniare il valore della libertà». La Strage, anche se non è una consolazione, «è almeno servita per accrescere la sensibilità democratica di Brescia contro il fascismo e la violenza. Un aspetto che ha messo profonde radici culturali».

 

Enrico Mirani